domenica 4 dicembre 2011

MEGLIO IL MARE


Grazie a RAI NEWS abbiamo conosciuto in diretta i punti della manovra di Monti e la conferma che è proprio necessario CAMBIARE PROGRAMMA. Ma non nel senso di non guardare martedì quella schifezza di P a P.
La manovra del governo di salvezza nazionale è proprio indigeribile. Perché? Perché l’equità più volte ricordata come uno dei fondamentali principi ispiratori della manovra non c’è affatto. I ricchi non pagano, persino quell’uno e mezzo per cento di tassa aggiuntiva sui furti di danaro all’estero che B e il suo ministro avevano graziato con lo scudo è insignificante rispetto alla mannaia che si abbatte su milioni di pensionati con la deindicizzazione delle pensioni: salvano quelle sotto i 960 euro lordi mensili, come se quelli che stanno un po’ sopra possano considerarsi benestanti. C’è stata persino la cerimonia delle lacrime del ministro mentre annunciava la misura accreditandola col termine di “sacrificio”. Una misura oscena che ha assunto le pensioni, presenti e future, come fonte per fare cassa. Una scelta vergognosa. 

Le tasse sulla casa hanno uno squilibrio molto forte, perché è imparagonabile la condizione di reddito fra chi ha soltanto la casa dove vive (per molti ancora sotto mutuo) e chi di case ne ha diverse. È la rinuncia a una vera patrimoniale che, quella sì, avrebbe potuto introdurre qualche riequilibrio nel senso dell’equità.
La lotta all’evasione si riduce a una tracciabilità sopra i mille euro, non proprio la spesa dal panettiere o dal lattaio. Poca cosa la estensione dell’imposta di bollo sulle transizioni finanziarie. Nulla invece sulla assimilazione ai redditi da lavoro di tutte le altre fonti di reddito, e in primo luogo di quelle finanziarie, che restano tassate al 12,5%. E pura fantasia l’aumento ventilato delle aliquote IRPEF sui redditi oltre i 75.000 euro (non proprio una pensione minima!). La destra non lo permetteva. Domanda: perché il centro-sinistra dovrebbe permettere tutto il resto?
Ma la cosa più indisponente della presentazione è stata la farsa sulla riduzione delle spese della politica, compresa la dichiarazione di Monti sulla rinuncia all’assegno del premier, visto che, ai suoi redditi, si è aggiunto lo stipendio da senatore. Come dire: guardate come siamo bravi, non siamo politici, siamo solo tecnici. E i gonzi ci cascano. E adesso tutti parlano della riduzione dei costi della politica perché nella manovra ci sarebbe anche la riduzione a 10 del numero dei consiglieri provinciali (per altro già contestata come anticostituzionale dall’Unione delle Provincie). Un’altra bufala. Cento provincie in Italia, significherebbe ridurre il numero complessivo dei consiglieri di circa duemila unità. Se anche lo stipendio fosse di 100.000 euro annui ci sarebbe un risparmio di duecento milioni di euro all’anno. Ridicolo rispetto ai 30 miliardi aggiuntivi della manovra.
Insomma, propaganda pura. Si direbbe molto politica, per stare al tema, e per niente tecnica. Chissà se lo si capisce!

sabato 3 dicembre 2011

CAMBIARE PROGRAMMA


Ho partecipato recentemente a un dibattito sulla repressione, con particolare riferimento al luglio genovese del 2001 e al recente 15 ottobre romano. Fra gli intervenuti, un anziano partecipante (un mio coetaneo, insomma) ha sostenuto che è del tutto legittimo spaccare vetrine e bancomat, che il più grave errore del movimento è stata la scelta della non-violenza e che i cosiddetti black bloc sono una avanguardia. Non ho avuto difficoltà ad osservare che mi sarebbe stato difficile e complicato, proprio con riferimento ai fatti di Genova e di Roma, accettare un carabiniere e un poliziotto vestiti di nero come avanguardie del movimento del quale intendo continuare a far parte.
Passando a cose più serie, la discussione si è sviluppata intorno alle vicende politiche. Riporto qui alcune osservazioni che mi è parso necessario fare.
La prima. E’ sufficientemente condivisa la constatazione della gravità della situazione presente e dei rischi che si corrono. Forse non altrettanto la valutazione di un dato storico: dopo la rivoluzione d’ottobre, le grandi e gravi crisi economiche che hanno travagliato le diverse società hanno sempre determinato una svolta a destra, nei casi più terrificanti col fascismo in Italia e il nazismo in Germania. Soltanto una volta l’uscita dalla crisi è avvenuta “a sinistra”, negli Stati Uniti con Roosevelt dopo la crisi del ’29.


La seconda. Si dice spesso che i sondaggi non contano. Lo trovo sbagliato e incongruo. Un esempio convincente? Se B non avesse avuto la certezza, proprio attraverso i sondaggi, della sua sconfitta lacerante in caso di elezioni anticipate, non avrebbe compiuto il “gesto generoso”, come i suoi lecchini si ostinano a dire. I sondaggi sono ormai condotti con metodi scientifici e rappresentano la realtà. Mi chiedo allora come sia possibile che, nonostante le indiscrezioni sulla durezza a senso unico (traduco: sempre i soliti) delle manovre annunciate da Monti, il professore continui ad avere la piena fiducia di una grande maggioranza di cittadini italiani (fra i quali ci sono anche parecchi di quelli che decidono di non votare alle prossime elezioni). La risposta che mi do è una sola: la fiducia viene innanzi tutto dalla considerazione che lì in mezzo non ci sono “politici” (poi, come sappiamo, il dato è enfatizzato). Cioè sono il ribrezzo e lo schifo per la politica, tanto diffusi fra i cittadini, che determinano la fiducia per coloro che sono considerati (ripeto con un eccesso di enfasi) tecnici, e quindi non-politici a prescindere, direbbe Totò. Una fiducia che deriva dalla diffusione dell’antipolitica, alla quale molti portano acqua, a cominciare dal grillismo.
La terza. Per quanto possa apparire esagerato, soprattutto a chi continua ad avere stimoli e convinzioni sulla necessità della politica, questo schifo e questo ribrezzo diffusi hanno purtroppo fondamento nella situazione drammatica in cui la politica versa, ma rappresentano anche il dato da cui partire. Il rinnovamento, la questione morale, la modestia, la linearità dei comportamenti non possono essere opzioni, ma devono essere assunte come condizioni essenziali per la scelta (a tempo e non continuamente rinnovabile) dei gruppi dirigenti. E i programmi, i contenuti, le scelte da fare nell’immediato, le priorità, la credibile fattibilità, devono essere enunciati, discussi e spiegati nei dettagli, ed avere l’assoluta priorità sulle declamazioni ideologiche e simboliche.
Esiste una possibilità immediata per cercare di mettere in atto questo terzo assunto: il giudizio da dare (e come esprimerlo) sulle misure che il governo Monti porterà finalmente a conoscenza dei cittadini, dopo averlo illustrato ai suoi colleghi europei e ai responsabili della finanza mondiale (a quella nostrana ci hanno pensato, per consanguineità, alcuni ministri e sottosegretari, raccogliendo anzi preziosi suggerimenti). Troppe voci, spesso persino contrastanti, troppe indiscrezioni sfuggite alla sobrietà hanno finito col confondere giudizi di merito che in questa situazione dovrebbero avere l’assoluta priorità.
Su una cosa mi pare necessario prendere posizione subito. E ritenere indecorosa la scelta compiuta dal professore di andare ad illustrare il programma nello studio televisivo dell’insetto, anche se ha dovuto rassicurare che ciò avverrà dopo la frettolosa presentazione in Parlamento. Non riesco ad immaginare il plastico sobrio del sobrio programma che il sobrio professore presenterà. Ma certamente non mi curerò di sanare questa curiosità. Da qui l’invito rivolto a tutti, per quella sera: CAMBIARE PROGRAMMA!
È assai probabile che debba valere anche dopo, riferendosi a ben altri programmi; per questo occorre, appunto, una politica diversa da quella che ha fatto apprezzare l’arrivo dei banchieri al governo (come non bastasse già la loro invasiva presenza nell’economia finanziarizzata, prima causa della grave crisi economica). Ma, come scriveva Robespierre in epoca non sospetta: “E’ nella natura delle cose che la marcia della ragione sia lentamente progressiva. Il governo peggiore trova un appoggio potente nei pregiudizi, nelle abitudini, nell’educazione dei popoli. Lo stesso dispotismo deprava lo spirito degli uomini fino a farsi adorare e fino a rendere la libertà sospetta e terrificante a prima vista”.

domenica 20 novembre 2011

CHI PAGA E CHI NO


Ne “Le lotte di classe in Francia” Marx scrive: “Si dovette ricorrere ad un mezzo eroico, all’introduzione di una nuova imposta. Ma su chi farla cadere? Sui lupi della Borsa, sui re della banca, sui creditori dello Stato, su chi viveva di rendita, sugli industriali? Non era il mezzo di cattivare alla repubblica la borghesia. Ma qualcuno doveva sborsare. Chi venne sacrificato al credito borghese? Jacques le bonhomme, il contadino.”
C’è solo da cambiare “contadino” (allora lo era la gran parte della popolazione) con operaio, impiegato, precario, ricercatore, piccolo esercente, pensionato; tutto il resto di quello scritto, centosessant’anni dopo, è valido rispetto alle scelte che il “governo di salvezza nazionale” si appresta a mettere in atto.


Dopo il passo indietro, costato a Benigni una lussazione al ginocchio, il cialtrone ha corretto la frase: si stacca la spina solo se a Monti venisse in mente di introdurre una patrimoniale seria. Infatti non ci pensa neanche. Meglio reintrodurre l’ICI sulla prima casa. E qui si capisce perché B possa essere d’accordo: gli basta prendere residenza in un monolocale della Brianza e non la paga né su Arcore né su villa Certosa, né su tutto il resto che costituisce il suo patrimonio stimato in 7 miliardi di euro (così è stato calcolato). Ma questo vale per tutti, anche per quelli con patrimoni inferiori: è il risultato della “ICI sulla prima casa”, che è una vera boiata. La cosa giusta sarebbe esentare dall’ICI l’unica casa di proprietà, con l’eccezione delle abitazioni di lusso, ed estenderla invece a tutte le proprietà immobiliari possedute. Ma questa sarebbe, appunto, una patrimoniale! Tassando la prima casa si colpiscono tutti quelli che di case ne posseggono una soltanto, nella gran parte dei casi pagata con sudore e sangue, cioè la stragrande maggioranza dei proprietari di casa.
Discorso analogo vale per l’ulteriore aumento dell’IVA. A un ricco non preoccupa molto di aumentare dell’uno per cento il costo di un bene di lusso. Prendiamo ad esempio il coordinatore del predellino (quello che assoldava a botte di milioni di euro qualche sporcaccione perché votasse la fiducia alla Camera), che risulta proprietario di una Maybach da 500.000 euro: pensiamo possa essere in allarme se la prossima dovesse costargli, si fa per dire, 505.000 euro? Invece al pensionato al minimo graveranno i centesimi che dovrà pagare in più al giorno per la sua dieta di pane e latte.
Eppure il professore aveva più volte ripetuto: equità, faremo pagare chi non lo ha fatto. Da quello che si capisce si ha l’impressione che siano parole vuote. Vedremo.
La forza del nuovo governo non sta nella larga maggioranza che lo ha eletto ma in un ricatto terribile: se cade si vota con il Porcellum, cosa che rende ardua, o addirittura suicida, la richiesta di elezioni subito, come chiede la Lega e come purtroppo chiede anche una parte della sinistra oggi extraparlamentare. Se poi aggiungiamo la mancanza di programmi certi e le grandi manovre su eventuali alleanze, la cosa si complica. Ne riparliamo a breve.

domenica 13 novembre 2011

SARÀ DURA

Sarà dura. Perché non si chiude una parentesi. Perché non è durata soltanto diciassette anni. I guasti sono cominciati prima, 4 agosto 1983: Craxi diventa presidente del consiglio. E cominciano i guai: Sacconi e Brunetta, tanto per fare dei nomi, provengono da lì. E anche B viene da lì, dalla fervida amicizia, dalle tangenti in cambio delle frequenze, dal potere mediatico. Allora si tratta di quasi un trentennio. Mussolini era durato meno, diciotto anni, più i due da repubblichino; anche se qualche fascista, a sentire i complimenti tra ministri, ha tenuto banco e poltrona fino a qualche ora fa.
Sarà dura. Perché lo sfascio prodotto da questi trent’anni è profondo. Hanno scavato nelle coscienze, indebolito di molto le difese morali, umiliato le risorse culturali, il “grande fratello”, la “isola dei famosi” e la “prova del cuoco” hanno arato il terreno sul quale sproloquiano i Minzolini i Ferrara e i Vespa, gli Scilipoti si proclamano “responsabili” e i Paniz inneggiano alle nipoti di ex capi di stato.
Sarà dura. Perché la finanziarizzazione dell’economia, l’idolatria del danaro, la santità del mercato hanno distrutto il valore del lavoro, al punto che non sarebbe male (chiedo scusa per il paradosso) cercare di tornare al capitalismo per ripristinare il pieno valore della lotta di classe! Oggi, a livello della managerialità più alta e più sfacciata, non conta quello che si produce ma solo il valore dell’azione (anche per via delle stock option): il risultato sono centinaia di migliaia di lavoratori sul lastrico.


Sarà dura. Perché ci terrorizzano con gli indici di borsa (lo spread è un’altra cosa, lì ci sono soldi veri da tirar fuori), e a nessuno viene in mente di ricordare che rispetto ai minimi del 2009-2010, quasi tutti i titoli sono in netto vantaggio, con percentuali di aumento di valore ben più alte dei salari e delle pensioni, che non hanno recuperato neppure la reale perdita del potere d’acquisto.
Sarà dura. Perché a qualcuno veniva in mente di fare ministri Amato e Dini, come se non avessero già fatto abbastanza danni. Certo, con Amato agli Interni i vertici dei servizi condannati per la macelleria messicana alla Diaz avrebbero goduto di qualche prestigioso incarico, come già successo a De Gennaro durante gli ultimi mesi del governo Prodi, quando appunto al Viminale sedeva l’imperturbabile Amato (che nei governi Craxi era sottosegretario alla presidenza del consiglio, un Gianni Letta ante litteram, insomma).
Eppure occorre guardare avanti. Ci sono gli “angeli del fango” di Genova, una quantità di giovani che hanno speso energie e cuore per aiutare gli alluvionati; ci sono gli studenti che reclamano di poter studiare, i precari che rivendicano il diritto a un lavoro meno insultante, lavoratori che difendono le fabbriche che li sfruttano perché il lavoro torni ad essere comunque un valore. E insieme a queste persone che occorre ricostruire la politica, la bella Politica con la iniziale maiuscola. E’ l’unico modo per costringere il governo Monti, se davvero lo mettono in piedi, a correggere in senso equo la manovra (introducendo innanzi tutto la patrimoniale sulle ricchezze) e dare poi la parola ai cittadini. Con l’assoluta necessità di una nuova legge elettorale, per la quale si raccolsero poco tempo fa ben più di un milione di firme.
Solo così si potrà cominciare a restituire ai craxo-berluscones il gesto che hanno sempre rivolto ai ceti popolari, così ben interpretato da Sordi ne I vitelloni!

martedì 25 ottobre 2011

ARISTOCRAZIA FINANZIARIA

D’ora innanzi regneranno i banchieri”… I banchieri, i re della Borsa, i re delle ferrovie, i proprietari delle miniere di carbone e di ferro (aggiungiamo del petrolio) e delle foreste, e una parte della proprietà fondiaria venuta con essi a un accordo: la cosiddetta aristocrazia finanziaria. Essa… dettava leggi nelle Camere, essa distribuiva gli impieghi dello Stato, dal ministero allo spaccio dei tabacchi (e non solo!)
La borghesia industriale propriamente detta formava una parte dell’opposizione ufficiale, era cioè rappresentata nelle Camere solo come minoranza. La sua opposizione si presentava in modo tanto più deciso, quanto più nettamente si sviluppava il dominio esclusivo dell’aristocrazia finanziaria e quanto più essa stessa immaginava fosse assicurato il suo dominio sopra la classe operaia (grazie a Marchionne e a Bonanni).
Impossibile subordinare l’amministrazione dello Stato all’interesse della produzione nazionale senza stabilire l’equilibrio nel bilancio, l’equilibrio tra le uscite e le entrate. E come stabilire questo equilibrio senza limitare le spese dello Stato, cioè senza vulnerare interessi che erano altrettanti sostegni del sistema dominante, e senza riordinare la ripartizione delle imposte, cioè senza rigenerare una parte notevole del peso delle imposte sulle spalle della grande borghesia stessa?


L’indebitamento dello Stato era, al contrario, l’interesse diretto della frazione della borghesia che governava e legiferava per mezzo delle Camere. Il disavanzo dello Stato era infatti il vero e proprio oggetto della sua speculazione e la fonte principale del suo arricchimento. Ogni anno un nuovo disavanzo. Dopo quattro o cinque anni un nuovo prestito offriva all’aristocrazia finanziaria una nuova occasione di truffare lo Stato che, mantenuto artificialmente sull’orlo della bancarotta, era costretto a contrattare coi banchieri alle condizioni più sfavorevoli. Ogni nuovo prestito era una nuova occasione di svaligiare il pubblico, che investe i suoi capitali in rendita dello Stato, mediante operazioni di Borsa al cui segreto erano iniziati il governo e la maggioranza della Camera. In generale la situazione instabile del debito pubblico e il possesso dei segreti di Stato offrivano ai banchieri e ai loro affiliati nelle Camere la possibilità di provocare delle oscillazioni straordinarie, improvvise, nel corso dei titoli di Stato; e il risultato costante di queste oscillazioni non poteva essere altro che la rovina di una massa di capitalisti più piccoli e l’arricchimento favolosamente rapido dei giocatori in grande. Poiché il disavanzo dello Stato era nell’interesse diretto della frazione borghese dominante, si spiega come le spese straordinarie dello Stato negli ultimi anni superassero di molto il doppio delle spese straordinarie precedenti.
Le enormi somme che in tal modo passavano per le mani dello Stato davano inoltre l’occasione a contratti di appalto fraudolenti, a corruzioni, a malversazioni, a bricconate d’ogni specie. Lo svaligiamento dello Stato, che si faceva in grande coi prestiti, si ripeteva al minuto nei lavori pubblici, i rapporti tra la Camera e il governo si moltiplicavano sotto forma di rapporti tra amministrazioni singole e singoli imprenditori.
Al pari delle spese pubbliche in generale e dei prestiti dello Stato, la classe dominante sfruttava le costruzioni ferroviarie (non sarà mica la TAV?). Le Camere addossavano allo Stato i carichi principali e assicuravano la manna dorata all’aristocrazia finanziaria speculatrice. Sono nella memoria di tutti gli scandali che scoppiarono alla Camera dei deputati quando il caso fece venire a galla che tutti quanti i membri della maggioranza, compresa una parte dei ministri, partecipavano come azionisti a quelle medesime costruzioni ferroviarie che essi facevano poi, come legislatori (parlerà mica di Lunardi?), eseguire a spese dello Stato.

Sapete chi l’ha scritto, e quando? Si tratta dell’introduzione a Le lotte di classe in Francia, un prezioso saggio di Carlo Marx del 1852! Centosessant’anni fa! Ma è possibile che ci si ostini a non ascoltarlo più?

lunedì 17 ottobre 2011

ROMA GENOVA

Le prime notizie sulla grande partecipazione e sullo spirito che animava giovani e meno giovani mi consolavano del fatto di non esserci potuto andare. Poi la telefonata di mia figlia mi parlava di uno spintone che l’aveva fatta scendere dal marciapiedi e del successivo “signora, dobbiamo passare” rivoltole dal tizio in completino nero. Un linguaggio strano per un black bloc, più consono a un infiltrato. Inevitabile tornare a Genova, alla strategia allora inaugurata, “reprimere con il consenso dell’opinione pubblica”. Come? Si lasciano rompere vetrine e bancomat, bruciare automobili, e poi si attaccano violentemente i veri obiettivi, i manifestanti veri, quelli che si attengono a un comportamento pacifico, per convinzione o per scelta.
Ma allora la lezione di Genova non è servita a niente? E chi avrebbe dovuto farne tesoro: i responsabili di allora che sono ancora tutti al loro posto, anzi hanno cambiato ufficio salendo di un piano? Gli ufficiali che hanno aggiunto una stella alla mostrina o circondato quelle esistenti d’argento o d’oro? Certo che no. Sta qui la responsabilità istituzionale. Fanno davvero un po’ pena i complimenti alle forze dell’ordine “perché poteva scapparci il morto”, come ha detto il ministro degli Interni. Che cosa risponde alla domanda più semplice: sapevate che c’erano rischi, che cosa avete fatto per scongiurarli? E tutti quegli uomini in borghese che giravano, per niente invisibili: a controllare che cosa?


Le scene di Genova si riproducono, identiche nella loro assurdità. Sono sovrapponibili persino le fotografie, l’impugnatura della spranga che rompe la vetrina della banca, il martello che manda in frantumi il finestrino dell’automobile mentre il compare getta benzina. Identica anche la scena del blindato dei carabinieri dato alle fiamme. Nessuno interviene a difenderlo, si attende che gli occupanti scendano e poi via. Con un’aggravante rivoltante: sul retro ci scrivono “Carlo vive”. Palese l’intenzione di coprire un’impresa gaglioffa con il manto della vendetta. Vergogna!
Stupisce che qualcuno si dedichi ad analisi sociologiche, che si parli ancora di pratiche diverse. Viene in mente quel “ciascuno ci sta con le sue modalità”, che tentava di coprire le differenze e armonizzare le diverse anime del movimento, nell’illusione che la sacrosanta parola d’ordine del no alla globalizzazione potesse essere sufficiente. Genova dimostrò che non era così, mi pare insensato riproporre quella illusione. Le logiche distruttive, la sottocultura ultras, non nascono spontaneamente, ci sono dietro un’organizzazione, dei referenti. Non è difficile individuarli. Se non lo si fa è perché va bene così, ci si guadagna allarme e condivisione per una logica repressiva indiscriminata. Ma rendere inefficaci quelle illogicità è anche compito delle strutture politiche, e può dipendere anche da quanti condividono le speranze e le giuste aspirazioni dei tanti giovani che erano a Roma.
Con la coscienza del diritto a resistere che deriva anch’esso dalla esperienza di Genova. Lo ha scritto nella sentenza la Corte d’appello che ha giudicato alcuni manifestanti: assolti o condannati a pene minime cadute in prescrizione perché avevano reagito a cariche violente e ingiustificate dei reparti speciali dei carabinieri. Ecco, spaccare la vetrina di una banca pensando di colpire il simbolo del capitalismo è un reato che va punito con equilibrio (e anche una idiozia, perché il giorno dopo aumentano le tariffe assicurative, strumento indiscutibile della globalizzazione finanziaria!). Resistere a una carica violenta è un diritto.
E anche una pratica rispettabile. Carlo ci ha provato.

sabato 1 ottobre 2011

MISCELLANEA


Ogni giorno ha la sua pena, talvolta due o più. Figuriamoci quante ne ha una settimana. Provo a commentarne qualcuna.

1. Il big del made in Italy, Della Valle, attacca i politici e, di fatto, avanza una candidatura. No, grazie. Per due ragioni: la prima è che di imprenditori scesi in politica ne abbiamo davvero abbastanza; la seconda è che un attacco a tutta la classe politica è proprio sbagliato. Non sono tutti uguali, anche se il livello di moralità e sceso (ma questo riguarda tutto il Paese e non solo la classe politica). Sostenerlo è il migliore appoggio al berlusconismo, ci pensa già il grillismo e non è proprio il caso che anche il padrone delle scarpe ci metta del suo. Vale anche per Montezemolo, che anche quanto a imprenditoria non sembra proprio un genio, basta vedere come vanno Fiat e Ferrari.

2. Proseguono gli attacchi indecenti all’informazione televisiva, quella decente ovviamente, quella di una parte del servizio pubblico. I giornalisti di RAI3 proseguono la loro denuncia, anche Linea notte corre seriamente il rischio di essere depotenziata. Che fare? Non pagare il canone? Solo se si riuscisse a mettere in piedi una class action, perché in questo caso le azioni individuali non hanno senso. E comunque si danneggerebbe solo il servizio pubblico. Spegnere per sempre il televisore? Neppure, perché comunque, in qualche caso, offre strumenti di conoscenza. Allora? Allora non resta che saper selezionare i programmi. Gli indici di ascolto sono determinanti per le scelte delle emittenti, e se cala l’audience qualche provvedimento lo prendono. Per esempio, dopo l’allontanamento della Costamagna, sostituita dal vicedirettore del giornale di Berlusconi, non guardo più In onda, la trasmissione de La7, di cui era conduttrice. Se lo facessimo in tanti (si potrebbe persino fare un gruppo su Fb: suggerimento a chi li sa fare!), potremmo persino raggiungere un piccolo risultato incoraggiante.

3. La buona, anzi buonissima, notizia è la raccolta di un milione e duecentomila firme per il referendum sulla legge elettorale. Secondo risultato nella storia di tutti i tempi, secondo solo alla raccolta del ’93. E’ un risultato incoraggiante, proprio per la partecipazione, in un tempo molto limitato, di tante persone. Persone, appunto, non militanti. Non è un risultato di partito, o di coalizioni: è una scelta consapevole di persone, alla quale un po’ di organizzazioni hanno contribuito al più con i “banchetti”, come ha detto il segretario del Pd. Ed è per questa ragione che trovo negativo che una parte della sinistra si sia schierata contro il referendum, non comprendendo che non si trattava tanto di scegliere il mattarellum al posto del porcellum, ma di manifestare la volontà di abrogare la peggior legge elettorale del mondo civile.

4. La Lega sta offrendo il meglio di sé. Bossi pretende di scegliere il governatore della Banca d’Italia in base al luogo di nascita. L’autore del porcellum “semplifica” il federalismo con la costituzione dello stato lombardo-veneto (balordaggine, secondo il presidente della Repubblica). L’eurodeputato Salvini, fresco di barbetta, individua le ragioni della crisi nel fatto che in un comune della Sicilia (dove governano da troppo tempo i suoi alleati) pagano tutto l’anno gli spalatori. Il ministro degli Interni permette che il suo gruppo voti la fiducia a un indagato per mafia. Meno male che le cronache ci raccontano di una base in fermento. La sinistra vorrà rivolgere ai tanti operai che al Nord votano Lega una proposta programmatica per recuperare ritardi e insufficienze e consentire che il fermento non si imputridisca?

5. Naturalmente, mentre il Paese va a rotoli, questa banda di cialtroni si preoccupa di accelerare sulle intercettazioni, indispensabili, come si sa, per cercare di scoprire le malefatte. E imbrogliano come sempre sui numeri: parlano di 150.000 intercettati (sono al più sei mila) e di tre milioni di intercettazioni. Ricordiamoci sempre che, per citarne soltanto una, senza intercettazioni non avremmo saputo di quegli sporchi padroni che sghignazzavano sul terremoto dell’Aquila pensando ai prossimi affari.

6. A Milano Pisapia denuncia che un commerciante su cinque è vittima dell’usura camorristica. Il comandante dei carabinieri milanesi, destinato ad altro incarico (auguri ai destinatari), dice che le denunce sono state solo una decina. Appunto!

Alla prossima.

mercoledì 21 settembre 2011

L’ESEMPIO DELLA GAUCHE

Ho avuto modo di sfogliare il programma con il quale il Fronte della Sinistra (Front de Gauche) si presenta alle elezioni presidenziali francesi del prossimo anno. Me lo ha portato Haidi, la mamma di Carlo, che è stata invitata per un dibattito su Genova 2001 alla festa dell’Humanité. Si tratta di un prezioso libretto di una novantina di pagine, che indica in modo molto dettagliato le varie proposte programmatiche: per ciascuna di esse riassume in un riquadro la condizione economica, sociale, politica esistente in Francia che la sorreggono e la rendono necessaria.
L’interesse per la lettura si è immediatamente associato a un po’ di rabbia, perché da noi ciò che più manca alla sinistra è proprio la capacità di dettagliare le proposte, renderle comprensibili, persino allettanti per le persone alle quali intendiamo rivolgerci. E questo è forse il dramma principale della sinistra italiana, perché significa ridursi alla affabulazione, per quanto gradevole sia, o alla nobilitazione dei simboli e dei termini, per quanto rispettabili siano gli uni e gli altri.

Proverò a dedicare qualche pagina del blog al dettaglio del programma della sinistra francese. Comincio intanto dai primi punti. Emblematici.
Il primo punto del programma dice infatti: “suddividere la ricchezza e abolire l’insicurezza sociale”. Come? Fra le misure immediate ci sono: 1) la riduzione dell’orario di lavoro a 35 ore; 2) la fissazione del salario minimo a 1700 euro lordi mensili (da noi equivarrebbero a 1200 euro netti); 3) reddito massimo fissato a 300.000 euro annui; 4) aumento immediato delle borse di studio; 5) blocco degli affitti (più di tre milioni e mezzo di persone sono senza alloggio o dispongono di un alloggio impraticabile); 6) rimborso al 100% delle spese sanitarie; 7) misure immediate contro la precarietà (ci sono 800 mila precari solo nella funzione pubblica).
Per esplicitare la necessità di una redistribuzione della ricchezza, il programma denuncia che negli ultimi cinque anni, in media un individuo ricco ogni diecimila francesi ha visto aumentare la sua ricchezza di 180.000 euro all’anno! E che in cima alla piramide, Liliane Bettencourt ha guadagnato nel 2005 l’equivalente di quindicimila salari minimi (se dovessimo fare i conti di casa nostra, dovremmo dire che s. b. ha accumulato una ricchezza che è pari a più di 500 mila salari netti annui). Bene, quindi, proposte e conteggi che non fanno mai male, anzi chiariscono il contenuto delle proposte.
Come è persino ovvio non può mancare un riferimento al punto uno, la riduzione dell’orario. Si ricorderà che la proposta avanzata da Bertinotti nel ’96 servì solo a far cadere il primo governo Prodi e a consentire nell’ordine i governi D’Alema, Amato, Berlusconi: di male in peggio verrebbe da aggiungere. Ma è giusto sottolineare che fu anche la dimostrazione di una sinistra capace solo di farsi del male, prendendo esempio dal Tafazzi. Tuttavia, oggi, la proposta della Gauche non è fuori dal mondo, anche se la accompagnano alla fissazione dei 60 anni per la pensione.
Qui da noi, dove si parla ogni momento della riforma delle pensioni come risoluzione dei guai economici del Paese, un ragionamento lo si potrebbe persino cominciare a fare. Salvaguardando davvero (e non per finta) i lavori usuranti e le condizioni nelle quali è improponibile un consistente innalzamento dell’età pensionabile, non v’è dubbio che l’aumento della vita media rende poco sostenibili età pensionabili ridotte. Ma è altrettanto vero che la ulteriore permanenza sul lavoro dei pensionandi attuali renderebbe ancora più complicata la immissione nell’attività lavorativa dei giovani. Ecco che allora un mix di riduzione d’orario (a parità di salario) e di aumento dell’età pensionabile potrebbe rappresentare una soluzione accettabile. Il costo andrebbe, finalmente, a carico del profitto, e anche questo non sarebbe male. Contemporaneamente, si potrebbero valutare altre operazioni, ad esempio mezza pensione anticipata e mezzo lavoro, in tutte quelle situazioni nelle quali un aumento dell’età risulta difficilmente compatibile con il proseguimento dell’attività a tempo pieno. O anche altre, avendo sempre come ancoraggio la difesa dei diritti sociali delle persone.
Per oggi mi fermo qui. Però, cerchiamo di fare come i francesi!

lunedì 19 settembre 2011

SILVIUZZO AL CAPOLINEA?

Stamani era praticamente deserto il piazzale davanti al Tribunale di Milano, quando s.b. si è presentato a una delle tante udienze per il processo Mills. C’era solo quella povera vecchietta coi capelli tinti di rosso, che declamava e cantava strofette rivolte alla grandezza del suo idolo. Un segnale eloquente dello sfacelo.
Capolinea vicino, dunque? È sempre, comunque, sperabile. Ma occorre andarci piano. Non solo per la situazione sempre più drammatica che riguarda l’intera Europa, con i cataclismi indotti dalla crisi finanziaria. Non solo per l’inarrestabile degrado morale e civile di un paese che, nonostante la misura fosse colma da tempo, fornisce altri esempi illuminanti ogni giorno. Sono persino riemerse le responsabilità del boss della protezione civile, che era riuscito ad occultarsi per un po’ di tempo, contando forse sul fatto che le sue porcate potevano essere giudicate bazzecole rispetto a quella del capo supremo e di altri suoi accoliti. Non solo per la gravità della crisi occupazionale che minaccia interi territori, vedi a solo titolo di esempio drammatico, la situazione di Termini Imerese.
Un aspetto che a volte, o spesso, si sottovaluta, è che l’assetto dirigenziale, e non solo quello, di istituzioni dello Stato, che sono decisive per le garanzie di tutela democratica, presentano situazioni che si possono definire inquietanti.
Non ci sono solo le condanne a anni di carcere, e soprattutto di interdizione dai pubblici uffici, emesse dalla Corte d’Appello genovese ai vertici della polizia per i fatti di Genova, condanne che attendono il verdetto di legittimità da parte della Corte di Cassazione e che, se quel verdetto sarà come ci si augura positivo, vedrà la decapitazione, a livello nazionale ovviamente, di tutti i più delicati settori operativi della polizia stessa.
C’è la condanna a 14 anni di carcere insieme all’interdizione perpetua, inflitta in primo grado dal Tribunale di Milano al generale Giampaolo Ganzer, capo dei ROS, i reparti operativi speciali dei carabinieri: condanna emessa per traffico di stupefacenti, che ha coinvolto un altro generale e altri alti papaveri, compreso un magistrato che non aveva preso adeguati provvedimenti. Vale la pena ricordare che Ganzer risultava essere il più alto in grado tra gli ufficiali dei carabinieri presenti a Genova nel luglio del 2001.
Ci sono le indagate compromissioni del generale comandante della Guardia di finanza.
Ci sono le denunciate violenze dei Nocs e i comportamenti sempre più inaccettabili di reparti delle forze dell’ordine impegnate in quelle che, beffardamente, si chiamano ancora operazioni di ordine pubblico. E sono comportamenti che dovrebbero allarmare per il clima di impunità che sottintendono.
Insomma, un quadro per niente rassicurante che riguarda, appunto, corpi dello Stato che dovrebbero essere tesi alla tutela e difesa delle regole democratiche.
È sconfortante che l’opposizione parlamentare, e anche quella estromessa dal Parlamento in base al “porcellum” da abrogare, di queste legittime preoccupazioni parlino poco. Che sia necessaria una sveglia?

domenica 11 settembre 2011

I “CASINI” DEL PORCELLUM

Ci fosse ancora bisogno di convincerci che il porcellum va abrogato, ci ha pensato Casini! Infatti Pierferdy ha detto che il referendum è sbagliato e non va firmato, penserà lui a una iniziativa popolare per reintrodurre le preferenze. Traduciamo: il meccanismo resta invariato, al più i “nominati” diventano “suggeriti”, offrendo all’immaginario collettivo la soluzione di quello che, non senza una qualche ragione, è stato presentato come l’aspetto più vergognoso della legge calderoliana.


In effetti, però, l’aspetto più turpe del porcellum sta proprio nel meccanismo, e Pierferdy lo sa bene. Vediamo perché.
Alla Camera c’è la follia del maggioritario senza limiti. Se si presentassero tre partiti, o tre schieramenti, più o meno equivalenti nel consenso popolare, quello più votato si garantirebbe la maggioranza schiacciante dei deputati. Esempio: se due partiti prendessero ciascuno il 33% dei voti espressi e il terzo il 34%, cioè poco più di un terzo, questo partito si assicurerebbe la maggioranza assoluta e ampia dei deputati.
Ma la turpitudine maggiore del meccanismo sta al Senato. Qui non vale il maggioritario, ma il proporzionale, con sbarramento nazionale molto alto, otto per cento (nazionale, per cui, anche se una formazione conquista più dell’8% in una circoscrizione regionale viene comunque escluso dal computo dei senatori). Qual è allora il trucco di Casini? Eccolo: il Terzo polo, cioè il FiCaRu (Fini, Casini, Rutelli), conta, così dicono tutti i sondaggi, su un consenso elettorale ben superiore all’8 per cento, e con la situazione attuale dei due maggiori schieramenti di destra e di centrosinistra al Senato non ci sarebbe maggioranza possibile senza il Terzo pol(l)o. E’ chiaro? Viva il porcellum, pensa Pierferdy, così diventiamo condizionanti e chi vince alla Camera deve comunque fare i conti con noi al Senato. Geniale, non è vero?
Auguri a chi la beve e continua ad avere dubbi sulla necessità, comunque, di andare a firmare per l’abrogazione del porcellum!

martedì 6 settembre 2011

PRIMO: ELIMINARE PORCELLUM

Ci sono esitazioni e perplessità, e anche aperte opposizioni, sulla validità del referendum indetto per abrogare l’attuale legge elettorale. “Porcellum” è la famosa definizione data da Calderoli, suo ideatore, e basterebbe questo a far considerare più che valida l’idea del referendum. Ma a volte ci si dimentica che il porcellum ha riprodotto se stesso in fotocopia in un bel numero di parlamentari che nessun elettore ha scelto attraverso le preferenze, ma che sono stati direttamente nominati dal capo (in certi casi meglio dire capobanda) in base alla collocazione nella lista elettorale. Altrimenti gente del calibro di Scilipoti, Crosetto, Romano, Calearo, tanto per fare un po’ di nomi by-partisan, la soglia non l’avrebbero mai varcata.

Ora, non ci può essere dubbio che la legge porcata debba essere abrogata. E la raccolta delle firme (occorre un grande sforzo, perché ne vanno raccolte più di cinquecentomila entro il 30 settembre) ha un significato che va al di là dello stesso risultato numerico nella raccolta: indica cioè la volontà di cambiare legge elettorale.
Da dove derivano perplessità ed esplicite opposizioni? Dal fatto che, se il referendum, una volta raccolte le firme necessarie, ottenesse quorum e maggioranza il porcellum verrebbe cancellato ma al suo posto resterebbe in vigore il mattarellum, dal nome del suo ideatore, Sergio Mattarella, ex dc. Il mattarellum  prevede la elezione della maggior parte (75 per cento) dei parlamentari in collegi uninominali: 472 deputati e 236 senatori, i rimanenti con distribuzione proporzionale in base ai voti raccolti dai singoli partiti, con sbarramento del 4% su base nazionale. Ora, l’opposizione più forte al referendum, e quindi alla possibilità che torni in vigore il  mattarellum, proviene da una parte dell’attuale sinistra extraparlamentare, cioè esclusa dal parlamento per colpe proprie e per il meccanismo maggioritario del porcellum. Tuttavia, uno sbarramento va previsto in qualunque sistema proporzionale, per evitare quella follia delle decine e decine di liste e per costringere, soprattutto a sinistra, a contenere l’altra follia, quella della divisione a cascata per gruppi e consorterie e mai per autentiche e sincere definizioni programmatiche (sia ricordato fra parentesi che siamo giunti, in Italia, alla costituzione del dodicesimo partito comunista, roba da 118!).
Aggiungo un’ultima considerazione, che non vuole suonare a difesa del mattarellum ma che può aiutarci a capire qualche problema concreto dell’oggi. Quel sistema due cose positive le aveva. La prima: in ogni collegio elettorale (la dimensione, per i deputati, era un bacino di circa 100 mila elettori) i partiti presentavano un solo candidato (collegio uninominale, appunto) e il valore della persona faceva premio sulla stessa bontà della proposta politica del partito o della coalizione. Oggi non sarebbe affatto male, vista la degenerazione morale che riguarda la politica e le principali forze politiche presenti. La seconda: la candidatura poteva essere presentata in un solo collegio, e ciò garantiva in qualche modo la notorietà del candidato nel collegio (e quindi un qualche controllo aggiuntivo sulla sua personalità e sulla sua moralità; l’obiezione che così si facilitava l’elezione del capomafia nel collegio mafioso mi pare idiota, perché quel rischio lo elimini solo eliminando la mafia) e anche una assidua presenza in caso di elezione. Non vorrei che l’opposizione al mattarellum nascesse dalla preoccupazione di non avere un numero sufficiente di persone presentabili!
Insomma, non mi convincono le perplessità e le opposizioni e quindi vado a firmare per il referendum e invito a fare altrettanto.

domenica 4 settembre 2011

DI M…. NON È IL PAESE, SONO LORO!

Oggi RAI3 ha mandato in onda “Nuovo Cinema Paradiso”, un bel film con un pezzo di storia del paese. In una scena minore Totò, il protagonista bambino, cerca di suggerire al Boccia quanto fa cinque per cinque. Ma il Boccia, che di tabelline proprio non se ne intende e che ha già preso bacchettate dalla severa maestra, non è neppure molto arguto: Totò gli fa vedere l’illustrazione di un alberello ornato di candeline e carta d’argento e il Boccia dice: “Natale”, prendendosi un’altra bacchettata!


Ecco, la banda cialtrona non conosce neppure le tabelline, figuriamoci l’arguzia. E lo si capisce dai continui ritocchi alla manovra. Sempre più scandalosi. Ha ragione B, ma ha sbagliato soggetto: di merda non è il paese, sono loro! Anche nel film uno lo dice riferendosi al paese, ma si tratta di un lavoratore costretto ad emigrare dalla Sicilia in Germania per trovare lavoro (e al figlio che saluta i compagni di scuola uno di essi, figlio di un notabile, rifiuta di stringergli la mano perché il padre emigrante è comunista).
Uno dei peggiori componenti della banda, il Sacconi (tralasciando il contenuto), che è stato fischiato al convegno delle ACLI dopo aver giudicato “bastardi” gli anni settanta, ha dovuto rinunciare ad alcune delle sue oscene proposte: le feste civili più significative della storia italiana restano, i riscatti di leva e università saltano; adesso si dovrà rimettere nel contenitore l’attacco ai diritto e all’articolo 18 (tanto più necessaria una vera partecipazione di massa allo sciopero indetto dalla CGIL per martedì prossimo). L’assalto alle cooperative ha dovuto essere ridimensionato, perché a parlarne contro si è levato anche il ministro degli esteri di un paese estero, il Bertone, segretario di stato del Vaticano. Naturalmente la misura è rientrata per le cooperative bianche, quelle del bianco fiore, mentre è tuttora in vigore per quelle “rosse”, qualche soddisfazione al Sacconi bisogna pur lasciarla.
Improvvisamente salta fuori che si possono ricavare quattro miliardi di euro obbligando tutti quelli che hanno goduto del condono del 2002 a pagare il dovuto, cosa che moltissimi ancora non hanno fatto. E se ne accorgono soltanto adesso? Prima non lo sapeva nessuno? Siamo al deliro. Quattro miliardi sono gran parte dei tagli agli enti locali, che come è noto colpiscono soprattutto i deboli, o più dell’aumento di quasi due punti dell’IVA, che come è noto avrebbe colpito ancora una volta i meno abbienti. Si capisce perché se lo erano scordato: sono usciti i dati sulle denunce dei redditi, e risulta che in Italia sono meno di ottocento individui quelli che denunciano più di un milione di euro, e una decina di migliaia quelli che denunciano più di mezzo milione. Insomma, Marchionne, un centinaio di calciatori e pochi altri. B non è in causa, lui i soldi li usa per fare beneficenza, quasi un milione all’approvvigionatore di escort, ma mica per paura di ricatti, non scherziamo, per pura generosità! E Angiolino Al Fano ci racconta che lo vogliono ripresentare come premier nel 2013! C’è quasi da sperare che Nostradamus abbia una qualche ragione!

martedì 30 agosto 2011

MAI FINE AL PEGGIO!

Come era prevedibile anche l’impossibile si è verificato: il peggioramento della cosiddetta manovra. D’altra parte, a questa banda di malfattori riesce, a volte, anche l’impossibile.


Tolgono la “contribuzione solidale”. Ai benestanti (quelli da 5000 euro netti al mese in su) non tolgono dalle tasche i 50 o 300 euro al mese (per i conteggi vi rimando su questo stesso blog all’articolo “POLITICA E FAR DI CONTO”), ma questo significa che ai grandi ladri (quelli che guadagnano come Marchionne e oltre) non si toglie nulla. E infatti anche la possibile patrimoniale è rimasta lettera morta. Il grande cialtrone, che oggi si congratula con se stesso perché, dice, resisterà fino al 2013, non ha voluto scalfire il suo bacino elettorale e dirà, con la solita faccia, di non aver messo le mani nelle tasche. L’aumento dell’IVA è rientrato, o meglio, tenuto di riserva, perché questa manovra non regge neppure fino a Natale, e prima di fine anno faranno una integrazione, a danno ancora una volta dei soliti.
Ridicola la conclusione sui “costi della politica”. Ridotti un po’ attraverso le tasse i redditi dei parlamentari, e aboliti i gettoni per i consiglieri dei piccoli comuni (che erano solo spiccioli, comunque), per le province se ne parlerà con un decreto costituzionale (notte dei tempi), lo stesso che dovrà decidere la riduzione del numero di senatori e deputati. D’altra parte questo era l’argomento principale per conquistare consenso nella vasta area del qualunquismo dilagante, quelli che ancora non vogliono capire che la questione fondamentale è la divisione proprietaria esistente (aggravatasi ulteriormente a svantaggio dei poveri negli ultimi vent’anni) e non invece il privilegio che la classe dei proprietari assegna e concede ai propri ligi servitori.
Avrebbero, così dicono, ridotto i tagli agli enti locali. Non si capiscono i conti e le previsioni, ma resta la certezza che tagli ci saranno e ricadranno come sempre sulla parte più povera e meno abbiente delle comunità. Vedremo se la battaglia ingaggiata dai sindaci in modo bi-partisan proseguirà: in questo caso bisognerà aderire con convinzione.
Sulle pensioni credo che siamo al capolavoro. Ho la sensazione che la trovata sia incostituzionale: con il prolungamento dell’età pensionabile attraverso la cessazione del conteggio degli anni dell’università o della leva obbligatoria ho la sensazione che si sia leso un diritto acquisito, e che quindi la decisione sia incostituzionale. Se poi la nuova norma dovesse riguardare quelli che cominciano oggi a contare gli anni per il pensionamento, i cosiddetti benefici contabili per l’erario si avrebbero fra 40 anni! Chissà che cosa ne penseranno Trichet e l’Europa!
Un commentatore faceva osservare che l’unico cosiddetto ministro a non veder toccata la sua parte è stato Sacconi, quello che ha insistito, a unico vantaggio del peggiore padronato possibile, per distruggere le garanzia di lavoratori e l’articolo 18. La cosa non mi meraviglia affatto. Il Sacconi è un craxiano di ferro, rappresenta cioè una delle esperienze politiche più indegne e vergognose della storia italiana e quindi da un simile individuo non ci si poteva aspettare altro. Il guaio è che della storia italiana ci si ricorda in pochi, occorrerebbero ogni tanto qualche lettura e qualche ripasso collettivi.

giovedì 25 agosto 2011

OTTO PER MILLE

Sono ancora in tanti a non conoscere il meccanismo fraudolento che regola la distribuzione dell’8 per mille. E allora mi permetto di fornire qualche informazione.
La scelta per attribuirlo, in sé legittima, avviene come è noto con la dichiarazione dei redditi, o anche soltanto con l’invio del CUD: è sufficiente apporre la propria firma nell’apposita casella. Le caselle, nell’ultima dichiarazione erano sette: lo stato, la chiesa cattolica e altre cinque confessioni religiose, fra le quali l’evangelica e l’ebraica. La distribuzione alle varie entità non avviene sommando per ciascuna l’8 per mille delle tasse di ciascun contribuente sottoscrittore (come avviene invece per la scelta del 5 per mille) ma facendo riferimento all’intero ammontare delle imposte derivanti dall’IRPEF. E questa è una prima anomalia.

Dove sta la “frode”, allora? Sta nel fatto che la distribuzione alle singole entità avviene percentualmente sulla base delle scelte operate da quei contribuenti che decidono di scegliere. In effetti scelgono di optare per la destinazione dell’8 per mille una netta minoranza di contribuenti che compilano la dichiarazione (tra il 30 e il 40 per cento), ma il risultato finale tiene conto delle percentuali espresse. Cioè: se, poniamo, di quel 30 per cento che sceglie, il 90 per cento sceglie la chiesa cattolica, al Vaticano va il 90 per cento dell’importo globale dell’8 per mille. Chiaro? E’ così che con la dichiarazione dei redditi del 2010, quella di quest’anno, alla chiesa cattolica sono andati un miliardo e 118 milioni, pari all’85% dell’intero ammontare dell’8 per mille! Insomma, se a scegliere fossero solo Bertone e la Bindi, alla chiesa cattolica andrebbe il 100% dell’intero importo!
Sembrerebbe del tutto logico correggere la “frode”. Difficile che si decidano a farlo e anche l’attuale opposizione parlamentare si guarderebbe bene dall’inimicarsi l’oltretevere. Resta una sola cosa da fare: scegliere la destinazione. Ma qui non c’è molto da stare allegri: se l’alternativa è lo stato, con la banda b al governo neanche a parlarne, immaginarsi che cosa ne farebbero Tremonti, Brunetta e Calderoli! La scelta meno dolorosa, anche per un feroce laico non credente, potrebbe essere la chiesa evangelica, sicuramente la scelta del meno peggio.

martedì 23 agosto 2011

GLI USA, LA LIBIA E LA GUERRA

In un articolo su Repubblica di oggi, Federico Rampini riporta una frase di Obama che sintetizzerebbe la strategia statunitense in relazione alle vicende libiche: “E’ crollato in soli sei mesi un regime che durava da 41 anni, e non è stato necessario mandare un solo soldato americano sul territorio libico.” Se fosse possibile utilizzare il sarcasmo, rispetto alla perenne tragedia di una guerra, verrebbe da dire: “Appunto!”; perché in quasi tutte le altre occasioni la presenza dei soldati americani non ha certo sortito i risultati che la dirigenza statunitense si aspettava. Facciamo memoria.


Dopo il sostanziale stallo verificatosi in Corea (il presidente Truman dovette dimettere quel pazzo del generale MacArthur che voleva sganciare atomiche, peraltro decise a Hiroshima e Nagasaki dallo stesso Truman) si apre lo scontro militare più infausto per le truppe statunitensi: quello in Vietnam. Nonostante l’uso e l’abuso di mezzi militari terrificanti (Apocalypse now tradusse per gli schermi gli effetti agghiaccianti del napalm) e l’impiego di oltre un milione di soldati, gli USA non riuscirono ad impedire che il popolo vietnamita ottenesse la unificazione del paese dopo la riscossa anticoloniale nei confronti della Francia. Un conflitto durato anni, durante quattro presidenze (Kennedy, Johnson, Nixon, Ford), due democratiche e due repubblicane, una vera guerra bi-partisan.
All’inizio degli anni ’90 scoppia la Guerra del golfo, eufemismo per “guerra del petrolio”. Ci sono interessi ancora più grandi da difendere, quelli dell’oro nero del Kuwait, appunto, e l’impegno è massiccio. Ma non è ancora giunto il momento di celare gli interventi a difesa dell’impero economico occidentale con la coperta corta della “esportazione di democrazia”. Saddam Hussein è un terribile dittatore sanguinario? Ci penserà qualcun altro.
E puntuale arriva. Dabliu Bush, il più impresentabile di tutti i presidenti USA, non per altro tra i grandi amici di s. b. Prima però c’è da mescolare le carte sull’incidente, si fa per dire, provocato a Ground Zero dagli amici del suo amico Osama. E allora via con i bombardamenti e le truppe in Afghanistan. Obiettivo i talebani, cioè quelli che anni prima gli USA avevano armato contro i sovietici per garantire il controllo dei corridoi del gas e del petrolio. Già, ma adesso i sovietici non ci sono più, c’è il quasi amico Putin, quello del lettone. non a caso altro grande amico di s. b. Morale, dopo dieci anni sono ancora lì, i talebani anche, la corruzione dilaga, di democrazia non se ne parla neanche per scherzo. Stessa cosa in Iraq, con la variante teletrasmessa dell’impiccagione di Saddam e una scia di attentati e di morti che continua. Sì, è così, per fortuna in Libia non ci sono andati!
Eppure una cosa giusta erano riusciti a farla. Contribuire a sconfiggere Hitler, aiutare i partigiani a battere i fascisti di Salò. Non so se si possa dire così, ma forse quella è stata l’unica guerra “di sinistra”! (E so già quante me ne diranno i miei amici pacifisti, convinti che non esistono guerre giuste, e quindi neppure di sinistra; ma allora alla Resistenza occorre associare un altro sostantivo, perché quella è stata giusta davvero, eccome!).

sabato 20 agosto 2011

POLITICA E FAR DI CONTO

Un limite grave di chi fa politica è la scarsa dimestichezza con l’aritmetica, limite che spesso investe anche i commentatori e i giornalisti. Un esempio è fornito in questi giorni dal tanto parlare (e dal poco far di conto) rispetto alla cosiddetta “tassa di solidarietà”, che dovrebbe colpire i possessori di redditi superiori ai 90.000 o ai 150.000 euro, e che naturalmente ha incontrato le ire esplicite di tanti pidiellini e quelle malcelate di un po’ di piddini.

L’altra sera, durante la trasmissione “In onda” su La7, un poco noto sottosegretario ha detto che con quella tassa aggiuntiva, che nel caso di parlamentari potrebbe prevedere il raddoppio (dal 10 al 20 per cento), un contribuente arriverebbe a pagare al fisco il 63 per cento del suo reddito lordo. Balle, ovviamente, perché il poco noto sottosegretario, oltre ad essere un cretino in aritmetica, è anche più propriamente un imbroglione (altrimenti non sarebbe sottosegretario di Berlusconi). Dai conduttori della trasmissione, purtroppo, silenzio.
Allora vediamo un po’ come stanno le cose. Poniamo un reddito lordo di 200.000 euro. Attualmente, al lordo delle eventuali detrazioni, le tasse ammonterebbero a 79.170 euro, pari cioè al 39.59%. Con la tassa di solidarietà le tasse salirebbero a 87.179 euro, pari al 43,59% (rispettivamente 92.170 euro, e 46,1% se si applicasse l’aliquota doppia del 20% sulla parte eccedente i 150.000 euro). Dov’è l’imbroglio del “poco noto”? Nella affermazione che il 20% si dovrebbe aggiungere (ma non è affatto così!) all’aliquota massima prevista già oggi (43%) per la parte di reddito  che eccede i 75.000 euro lordi annui: 43 + 20 = 63 e che questa aliquota si dovrebbe applicare all'intero reddito. Chiaro? Ma non è affatto così!
Senza contare che, traducendo le percentuali in cifre reali, a quel povero contribuente da 200.000 euro lordi annui (l’equivalente di una dozzina di operai e di una ventina di precari) resterebbero comunque 9.000 euro al mese da spendere (9.400 se la maggiorazione non fosse raddoppiata e si fermasse al 10%). Insomma, comunque non farebbe la fame!
I conti sono ancora più espliciti, sotto il profilo di una proposta che non è affatto cannibalesca, se prendiamo in esame un reddito più “povero”, diciamo 160.000 euro annui. In questo caso (e non si tratterebbe di un parlamentare) le tasse passerebbero da 61.970 euro a 65.970 euro annui, con un aumento mensile di 333 euro, undici al giorno (e gliene resterebbero comunque 7.835 al mese (261 al giorno). Ancora più risibile l’aumento nel caso di un reddito da 100.000 euro lordi annui: l’aumento sarebbe di “ben” 41 euro al mese, un euro e trentotto centesimi al giorno!
Consiglierei al “poco noto” e anche a molti commentatori di fare qualche analogo conteggio rispetto all’aumento dei costi dei servizi che colpiranno le decine di milioni di cittadini “normali”. Resta tuttavia l’indignazione per l’assenza di proposte serie sul fronte della lotta all’evasione, per lo svicolare rispetto alla possibilità di colpire i redditi rimpatriati coperti dal ridicolo scudo del 5% (con un po’ di coraggio si raccoglierebbe quasi metà dell’intera manovra aggiuntiva!), per le misure che colpiscono diritti essenziali dei lavoratori, in primo luogo la sostanziale abolizione della norma di salvaguardia sui licenziamenti. Attendiamo qualche segnale dall’attuale, debolissima, opposizione parlamentare.

martedì 16 agosto 2011

GIUSTIZIA DA BINGO

Che l’amministrazione della giustizia offra spesso esempi che eufemisticamente possano essere considerati contraddittori è cosa nota. I processi sulle tragiche vicende genovesi hanno abbondantemente confermato questa opinione: lo dimostrano le sentenze emesse nei diversi gradi di giudizio. L’opinione viene tuttavia consolidata anche da fatti assolutamente risibili rispetto a quelli genovesi. A me ne è capitato uno che qui vi racconto.


A Genova ci sono molte strisce gialle, quelle che delimitano il percorso viario riservato ai mezzi pubblici, oggetto di svariate polemiche per la collocazione non sempre funzionale, ma soprattutto oggetto di scarsa manutenzione, cosa che le rende spesso non adeguatamente visibili. Per il nobile servizio di nonno-sitter mi è capitato di percorrere una strada di Genova dove esiste una di quelle strisce, o meglio, dove si dovrebbe presumere che esista, dal momento che in quasi tutto il percorso la striscia, a quell’epoca (ottobre 2009), risultava del tutto invisibile. Tranne l’ultimo tratto, una decina di metri, sette dei quali tratteggiati, per permettere all’automobilista di prendere la corsia di destra in prossimità del semaforo che immette in una piazza. E’ quasi ovvio che la telecamera che controlla la zona sia stata collocata a dieci metri dal semaforo, dopo una curva, in modo tale che le fotografie scattate possano cogliere l’infrazione anche di quelli che, come è stato il mio caso, oltrepassano la striscia continua negli ultimi metri, con il nobile intento di non intralciare il traffico che sulle due corsie restanti imbocca un tunnel.
Nel febbraio 2010, poco prima della scadenza dei 150 giorni, mi arrivano cinque contravvenzioni. Prima della scadenza dei 60 giorni previsti faccio ricorso al Giudice di pace, allegando le foto della zona a dimostrazione della inconsistenza della segnaletica. Il giudice, l’avv. Franco Nativi, mi convoca in pubblica udienza il 19 ottobre 2010 e il giorno successivo deposita la sentenza. Respinge il ricorso ma, “ritenuto che vada garantito il diritto di difesa, anche in caso di soccombenza, appare giusto contenere la sanzione amministrativa entro il minimo di legge, oltre alle spese”. Morale, 137,51 euro in tutto per le cinque multe.
Prima della convocazione mi erano pervenute, sempre per lo stesso motivo e sempre nello stesso punto, altre otto contravvenzioni, relative al mese di novembre 2009. Rispettando i tempi previsti, nuovo ricorso al Giudice di pace, adducendo gli stessi motivi, le stesse documentazioni, e allegando ovviamente i riferimenti al precedente ricorso. Convocazione a tempi biblici, 4 luglio 2011. Questa volta mi tocca Angela Salaspini, che decide per il “minimo edittale”. La scoperta è che l’aggettivo  da tardo romano impero, “edittale”, significa 82,95 euro per ciascuna contravvenzione, in totale, quindi 663,60 euro. Cioè, la contravvenzione piena. “Minimo” dovrebbe significare che non si è applicato il raddoppio per via del ritardo di pagamento, dovuto per altro al ricorso legittimo e ai tempi biblici del palazzo del giudice.
Palazzo che, vista e subita la incomprensibile difformità di giudizio, mi sembrerebbe più conforme intitolare “palazzo del bingo”!

sabato 13 agosto 2011

MANOVRA E COSTI DELLA POLITICA

Qualche mese fa, esattamente il 1° maggio, avevo pubblicato sul blog un articolo che riguardava un aspetto particolare della pubblica amministrazione; aspetto che, dopo la oscena manovra, è diventato l’argomento principale dietro il quale governo, giornali di destra e corifei di varie collocazioni nascondono, o cercano di nascondere, le porcherie aggravate con le decisioni assunte. Anche la grande informazione e pezzi dell’opposizione parlamentare si uniscono al coro senza sollevare i necessari distinguo.


In quell’articolo parlavo del comune di Propata, incantevole paese dell’entroterra genovese, in Val Trebbia, che contava 167 abitanti nel censimento del 2007 e che nelle elezioni di maggio ha eletto un sindaco e dodici consiglieri. Nulla da obiettare alla decisione di accorpare i comuni sotto i mille abitanti, che si contano oltre il migliaio (oltretutto è possibile, come è il caso di Propata, che facciano già parte anche di una Comunità montana). Ma a fare due conti della serva già si evince che queste soppressioni eliminano da sole quindicimila delle 54 mila “poltrone” annunciate dal solito imbonitore imbroglione, ammesso che gli sgabelli di Propata possano definirsi tali. E lo stesso discorso vale anche per il risparmio economico: non risulta che i consiglieri di Propata consumino tutti i giorni caviale a un euro e mezzo!
Insisto su una questione di fondo, perché anche su FB si stanno sprecando le considerazioni sulla punizione della casta. La mia convinzione è che l’argomento (ripeto, senza nulla togliere al fatto che sia giusto operare elementari razionalizzazioni nell’amministrazione) venga usato per buttare fumo negli occhi, accrescere il disgusto per tutto ciò che attiene alla politica (non è un caso che l’abolizione di comuni e provincie stia sotto il titolo di riduzione dei costi della politica), diffondere un qualunquismo che definisco senza mezzi termini di natura fascista. E non è un caso che il capo della CISL, che non spreca neppure un sussurro sulla carneficina dei diritti sindacali, parli anche lui prevalentemente della riduzione dei costi della politica. Naturalmente si guarda bene dal citare quanto costino gli enti bilaterali, che al gruppo dirigente della CISL fanno particolarmente gola per la collocazione di un po’ di clienti.
A pagare, come sempre, sono i lavoratori dipendenti. Anche l’aumento delle aliquote che si voleva introdurre per i lavoratori autonomi è saltato. Cioè, i colpiti dalla manovra a tutti i livelli, anche i titolari di redditi medio-alti, sono solo i lavoratori dipendenti, quelli che le tasse le pagano fino all’ultimo centesimo. Piccoli e grandi evasori no. A quelli neanche un buffetto sulla guancia, forse hanno ritenuto che di questi tempi un altro condono sarebbe stato troppo.
Lavoratori dipendenti e poveri. Un taglio di 8 miliardi di euro agli enti locali che cosa produrrà se non un aggravamento insopportabile della condizione sociale, con ricadute sui servizi già così carenti? Vedremo che cosa succederà nel corso del dibattito parlamentare, quando forse si conosceranno le controproposte del PD, ripetutamente annunciate ma assolutamente ignote. Intanto si stanno muovendo le organizzazioni dei lavoratori degne di questo nome. Lo sta facendo la FIOM. Dobbiamo lavorare perché lo decida in fretta la CGIL. Suggerirei al gruppo che mi tempesta su FB di cambiare titolo e finalità: invece di “Camusso dimettiti” propenderei per “Camusso promuovi”, ovviamente lo sciopero generale al più presto.