sabato 26 febbraio 2011

BUNGA BUNGA E TASSE

Barbie mostra il culo sul calendario.
Ci vuole filosofia per mettere insieme sulla stessa pagina il tempo che scorre e un corpo perfetto. Quella Barbie può essere una bionda maggiorata come nei calendari dei carrozzieri o una roscia anoressica come in quelli griffati che regalano ai manager.
Su quello che sta in sala break nel call center c’è una mora che è diventata ministro. Un culo lucido, tondo. Senza mutande anche a dicembre e gennaio. L’eterna primavera su tutte le pagine. Perché non c’è riferimento al mese stampato sotto alla foto. Non gli mettono il cappotto e il cappello nei mesi invernali. Quel culo ti dice “io sono Barbie, sono di plastica lucida. Sono carta patinata. Non invecchio e non muoio. Non guardare sotto di me, non farci caso ai giorni che passano. Il tempo non esiste più. Il culo ha sconfitto la morte.”
Gli uomini guardano il calendario e piano piano smettono di fare caso ai mesi che se ne vanno via un giorno alla volta. Nel tempo immobile e patinato imparano a guardarti con la bava alla bocca. Basta la lampo dei pantaloni calata, quella che gli uomini chiamano la bottega aperta. Una donna sta in fila alla cassa del supermercato, non si è accorta che le è calata la lampo e l’uomo la guarda come il ministro sul calendario. Una donna si flette sul carrello della spesa per appoggiare le uova e l’uomo la guarda nella scollatura. Ci guarda pure se ha la maglietta a girocollo. Non si sa mai.
… Una donna si piega a raccogliere la lista della spesa tra le corsie del supermercato e l’uomo le guarda nel girovita dei pantaloni. Una donna vestita di scuro, un abito semplice, sportivo, sobrio, la maglietta si alza, i jeans si abbassano e si scopre ‘na mutanda fucsia. L’uomo guarda. È uno sguardo apparentemente distratto, come quello che concede agli ingredienti del cacao solubile. Ma dentro al suo cervello sta già sbavando. E magari pensa che “questa donna è una un po’ mignotta”.

È un brano de La lotta di classe di Ascanio Celestini. Credo che rappresenti bene non una ipocrita torsione moralista ma invece una modalità alla quale una modernità male intesa ha dato impulso col trascorrere del tempo, fino al recente trionfo del bunga bunga. Trionfo sì, perché non c’è più limite. È di questi giorni l’invito di B alla sinistra di praticare ogni tanto o spesso quella voglia di divertirsi (e di superare ogni tanto le tristezze della politica e della vita quotidiana) che sarebbe il bunga bunga nella versione edulcorata che B contrappone alla evidenza, come emerge dalle carte dell’inchiesta. E non c’è solo questo. C’è il culo della ministra mora, che riporta a uno degli esempi principe dell’uso della politica nella concezione berlusconiana e, ovviamente, alla considerazione che della donna ha la destra al governo. Alla base di tutto ciò c’è una sola cosa: la potenza della montagna di danaro che B ha accumulato in pochi anni, poco più di trenta, cosa di per sé già straordinaria e incredibile, e anche pericolosa, come dimostrano le vicende di uno dei suoi migliori amici.

Bunga bangkai (Amorphophallus titanium)

È notizia di ieri: la rendita finanziaria di B ha raggiunto l’anno scorso la sommetta di 165 milioni di euro, l’equivalente del reddito netto di tredicimila operai. Notava giustamente Concita De Gregorio sull’Unità che quella montagna di reddito (senza aggiungere quelle che competono alla figliolanza) è tassata, in base alle folli regole in vigore, al 12,5%, mentre il reddito di un lavoratore è tassato mediamente al 25%.
Aggiungo qualche esplicitazione. Se la sommetta di cui beneficia B fosse considerata come qualunque altro reddito e non come rendita finanziaria, in base alle regole attuali tutta la parte eccedente 75.000 euro (che nel caso di B sono impiegati nell’acquisto dei preservativi, specialmente dopo la telefonata di una di quelle povere ragazze che si felicitava di non aver contratto l’AIDS) verrebbe tassata al 43%. Cioè B dovrebbe pagare, oltre quello che paga oggi, più di 50 milioni di euro. Col mille proroghe hanno tolto all’assistenza oncologica 5 milioni. Per i danni dell’alluvione in Liguria dovrebbero arrivare 100 milioni di euro. Con 50 milioni di euro si potrebbe aumentare di 100 euro mensili la pensione sociale di quarantatremila pensionati poveri, ecc., ecc. E al povero B rimarrebbero comunque novantaquattro milioni di euro da godersi, cioè quasi 8 milioni di euro al mese, cioè 270 mila euro al giorno, cioè più di diecimila euro all’ora, comprese ovviamente quelle notturne che sembrano, per B, le più impegnative.
Che ne pensate?

mercoledì 23 febbraio 2011

LA CRISI ITALIANA

... Si dice generalmente e anche noi comunisti siamo soliti affermare che l’attuale situazione italiana è caratterizzata dalla rovina delle classi medie: ciò è vero, ma deve essere compreso in tutto il suo significato. La rovina delle classi medie è deleteria perché il sistema capitalistico non si sviluppa, ma invece subisce una restrizione: essa non è un fenomeno a sé, che possa essere esaminato  e alle cui conseguenze  si possa provvedere indipendentemente dalle condizioni generali dell’economia capitalistica; essa è la stessa crisi del regime capitalistico  che non riesce più e non potrà più riuscire a soddisfare le esigenze vitali del popolo italiano, che non riesce ad assicurare alla grande massa degli italiani il pane e il tetto.

Che la crisi delle classi medie sia oggi al primo piano è solo una fatto politico contingente, è solo la forma del periodo che appunto perciò chiamiamo <…>. Perché? Perché il <…> è sorto e si è sviluppato sul terreno di questa crisi nella sua fase incipiente, perché il <…> ha lottato contro il proletariato ed è giunto al potere sfruttando e organizzando l’incoscienza e la pecoraggine della piccola borghesia ubriaca di odio contro la classe operaia che riusciva, con la forza della sua organizzazione, ad attenuare i contraccolpi della crisi capitalistica nei suoi confronti. Perché il <…> si esaurisce e muore appunto perché non ha mantenuto nessuna delle sue promesse, non ha appagato nessuna speranza, non ha lenito nessuna miseria. Ha fiaccato lo slancio rivoluzionario del proletariato, ha disperso i sindacati di classe, ha diminuito i salari e aumentato gli orari; ma ciò non bastava per assicurare una vitalità anche ristretta al sistema capitalistico; era necessario perciò un abbassamento di livello delle classi medie, la spoliazione e il saccheggio della economia piccolo borghese e quindi la soffocazione di ogni libertà e non solo delle libertà proletarie, e quindi la lotta non solo contro i partiti operai, ma anche e specialmente, in una fase determinata, contro tutti i partiti politici non <…>, contro tutte le associazioni non direttamente controllate dal <…> ufficiale.

È, naturalmente, un brano di un articolo di Antonio Gramsci pubblicato su L’Ordine Nuovo il 1° settembre 1924. Ho soltanto indicato con <…> il termine fascismo (o fascista), in modo che ciascuno possa dare ad esso la sua versione contemporanea. Non mi pare necessario sottolineare anche in questo caso la lucidità dell’analisi gramsciana. Posso solo aggiungere un paio di note, suggerite dallo stesso articolo, che peraltro riassumeva il rapporto che Gramsci aveva tenuto al Comitato centrale del partito nel luglio.
La prima è che il testo rifletteva una oggettiva condizione di crisi del fascismo, seguita all’uccisione di Giacomo Matteotti il 24 giugno 1924, nonostante i risultati elettorali del 6 aprile, che avevano visto l’enorme successo del “listone” (quasi il 65% dei votanti, limitati allora al solo sesso maschile). Ma Gramsci sottolineava che i risultati nelle zone industriale ed operaie erano stati di segno diverso.
La seconda è che le cose non andarono affatto come era augurabile, e che nessun ottimismo è mai consentito nei tempi bui. Nel discorso alla Camera del 3 gennaio 1925, Mussolini si assunse infatti la “responsabilità storica, politica e morale” dell’assassinio, con l’arroganza di un suo precedente intervento, quello pronunciato il 16 novembre in occasione dell’incarico di presidente del consiglio, che aveva concluso così: “Potevo fare di quest’aula sorda e grigia un bivacco dei miei manipoli”.  Se non è un bivacco, l’uso attuale del parlamento vi è molto vicino. E poi c’è una data che dobbiamo sperare non sia imitata nella sostanza: quella del 6 aprile al Tribunale di Milano, appunto.

Non perdiamoci di vista

martedì 15 febbraio 2011

CHE SUCCEDE FINO AL 6 APRILE?

La GIP ha deciso per il processo immediato su entrambi i capi d’accusa: concussione e prostituzione minorile. Prima udienza il 6 aprile.
Quindi B adesso non è più solo indagato (come si ostinano a dire i suoi truffaldini parlamentari-avvocati, che certo non sono così ignoranti in materia di legge, e tutta la banda dei suoi servi): è imputato. Accanimento giudiziario? No, di accanimento ce n’è uno soltanto: quello di B a compiere reati o a comportarsi in modo da costringere magistrati e giudici a mandarlo sotto processo. E non è certo la prima volta.
Anche se questa volta è davvero diverso.
Possono succedere tante cose. Quarantanove giorni, tanti ci dividono dal 6 aprile, sono molti per uno che ha i soldi e il potere di B: corrompere coscienze e comprare corpi disponibili ad alzare una mano per votare; assoldare stallieri o vere e proprie pattuglie di guastatori; impedire la comunicazione e la diffusione di notizie e non solo proseguire la disgustosa presenza audio e video, d’ora in avanti in tutte le ore, sulle reti e sue e su quelle dirette per mano dei Masi e dei Minzolini. Si dovrà stare attenti come non mai. Vigilanza compagni, si diceva una volta, ricordiamoci ogni tanto gli slogan di tempi meno infelici di questi. Per fortuna, oggi, molto più che in quei tempi, possiamo declinarlo al femminile: vigilanza compagne, il 13 febbraio insegna!
Dovremo riuscire ad imporre la legalità. Ma la convinzione per farlo può derivare soltanto dalla comprensione di ciò che significa, o deve significare, il termine legalità. E allora, per la quarta volta consecutiva in queste mie note, torniamo a Antonio Gramsci.
Questa qui di seguito è parte di un articolo che Gramsci scrisse per L’Ordine Nuovo il 28 agosto 1921. Facciamo tesoro anche di questa lezione di Storia.

Fin dove la legalità afferma i suoi limiti? Quando questi non sono più rispettati? È certo difficile fissare qualunque limite, dato il carattere assai elastico che assume il concetto della legalità. Per ogni governo tutto ciò che si manifesta nel campo dell’azione contro di esso sorpassa i limiti della legalità. Epperò si può dire che la legalità è determinata dagli interessi della classe che detiene in ogni società il potere. Nella società capitalistica la legalità è rappresentata dagl’interessi della classe borghese. Quando un’azione tende a colpire in qualunque modo la proprietà privata ed i profitti che ne derivano, quell’azione diventa subito illegale. Questo avviene nella sostanza.
Nella forma la legalità si presenta alquanto diversa. Avendo la borghesia, conquistando il potere, concesso eguale diritto di voto al padrone ed al suo salariato, apparentemente la legalità è venuta assumendo l’aspetto di un insieme di norme liberamente riconosciute da tutte le parti di un aggregato sociale. Ci è stato ora chi ha scambiato la sostanza con la forma e dato quindi vita alla ideologia liberale-democratica. Lo Stato borghese è lo Stato liberale per eccellenza. Ognuno può in esso esprimere liberamente il suo pensiero attraverso il voto.
Ecco alla lunga a che si riduce la legalità formale nello Stato borghese: all’esercizio del voto. La conquista del suffragio delle masse popolari è apparsa agli occhi degli ingenui ideologi della democrazia liberale la conquista decisiva per il progresso sociale dell’umanità. Non s’era mai tenuto conto che la legalità aveva due facce: l’una interna, la sostanziale; l’altra esterna. La formale.

Proprio così. E infatti continuano a ripeterci che B è al di sopra della legalità, al di sopra di tutto e di tutti perché è stato votato dalla maggioranza degli italiani. Il che è platealmente falso, come è noto, perché rispetto agli elettori effettivi ha avuto meno del 50 per cento dei voti espressi, e perché rispetto ai cittadini, calcolando astensioni, schede bianche e schede nulle, ha raggiunto a mala pena un terzo dei consensi.
Non ci resta che riflettere, ancora una volta, sugli insegnamenti di Gramsci e tenere gli occhi ben aperti.

lunedì 14 febbraio 2011

FIAT VOLUNTAS SUA

È presente da tempo la considerazione che, nell’economia globalizzata, la finanziarizzazione abbia preso il sopravvento sul valore stesso della produzione industriale, e che ciò sia determinante nella crisi globale che investe il pianeta. Crisi sociale, ovviamente, peggioramento delle condizioni di vita di masse enormi, non solo nei paesi poveri ma anche in quelli considerati sviluppati. Aggravamento, in questi ultimi, del rapporto fra ricchi, sempre più ricchi, e poveri, sempre più in difficoltà. I dati recenti, per quanto riguarda l’Italia, confermano che il 10 per cento delle famiglie possiede il 50 per cento della ricchezza e che il 50 per cento della popolazione vive con il 10 per cento della ricchezza. In mezzo un 40 per cento che galleggia, il cosiddetto ceto medio, che vede tuttavia eroso costantemente il proprio potere d’acquisto e ridotto il proprio benessere. Traduciamo in cifre le percentuali per capire meglio come stanno le cose. Poniamo che la ricchezza totale sia di 1000 euro e che i cittadini italiani siano 1000. Le percentuali ci dicono che cento persone vivono, in media, con 5 euro ciascuna; quattrocento persone vivono, sempre in media, con 1 euro ciascuna; cinquecento persone dovrebbero campare ciascuna con 20 centesimi (e se anche questo è un dato medio significa che molti non hanno che da affidarsi alla Caritas). Questo colossale spostamento dal basso verso l’alto e questa colossale ingiustizia sono avvenuti negli ultimi 20 anni.
Una evidenza di quella trasformazione da produzione a finanza ci è offerta, sotto molti aspetti, dal caso FIAT. Ma non deve meravigliare che manovre molto simili fossero in atto già qualche anno fa, novanta anni per l’esattezza.
Ancora una volta è stato Antonio Gramsci a sintetizzare le modificazioni. E prese spunto dalla sconfitta subita dalla FIAT nel gran premio automobilistico d’Italia sul circuito di Brescia ad opera di una macchina francese. Qui di seguito trovate alcuni brani dell’articolo da lui scritto per L’Ordine Nuovo il 6 settembre 1921. Basta sostituire un nome!
Buona lettura

La FIAT ha perduto la sua battaglia… Questo fatto dipende forse da una momentanea defaillance della capacità tecnica dei costruttori della FIAT o da una rimediabile disorganizzazione dell’industria, o da un inizio di decadenza senza rimedio?...
I capi della FIAT erano allora veramente “capitani dell’industria”, esperti, sagaci, arditi e prudenti nello stesso tempo. In che cosa li ha trasformati la guerra? In cavalieri d’industria. Essi hanno abbandonato la tradizione degli anni passati per cercare fortuna nel campo della speculazione più temeraria, nei giuochi di banca più pericolosi…
Si aggiunga che innumerevoli industrie sorsero durante il conflitto mondiale, che aggruppamenti potentissimi di finanzieri si formarono nell’intento di conquistare industrie, banche, mercati. S’iniziarono per conseguenza lotte furibonde a colpi di milioni. Si cominciò a cercare nella speculazione l’arma che permettesse di resistere agli avversari, si tentò con artifizi di borsa di far fallire i piani minacciosi dei concorrenti…
La FIAT non è rimasta estranea a queste competizioni. L’attività del comm. Agnelli, in altri tempi rivolta a migliorare il funzionamento dell’azienda industriale, è rimasta quasi completamente assorbita dalle manovre dei gruppi di banchieri, che si assaltavano a vicenda…
L’uomo, il grande capitano d’industria, si è infiacchito rapidamente. I suoi nervi scossi violentemente dalla continua tensione gli hanno tolta la lucidità di mente, la freddezza necessaria per chi sta a capo di una grande azienda. Mentre la concorrenza industriale si trasformava in una rovinosa competizione di gruppi bancari, il capitano d’industria si trasformava fatalmente in speculatore, in cavaliere d’industria.
A questo punto è cominciata la decadenza della FIAT. Agnelli, il liberale Agnelli, scosso da tante fatiche, con un colpo di testa rinunciava alla simpatia degli operai adottando una politica reazionaria verso le maestranze. Per sbarazzarsi dei comunisti non ha più tenuto conto né dell’organizzazione tecnica degli stabilimenti né delle esigenze molteplici dell’industria. Molti fra i migliori operai furono licenziati per scuotere le basi dell’organizzazione operaia d’officina.
In molti reparti vennero a mancare gli elementi tecnicamente più capaci, i più esperti produttori. I non licenziati, profondamente colpiti nelle loro idealità dalla reazione furente, sotto la minaccia del licenziamento, costretti a lavorare in un’atmosfera di reciproca diffidenza, furono messi in condizione pessime per la continuità e per la bontà della produzione…

Anche questo può essere considerato uno strumento di Storia e di Memoria.

domenica 13 febbraio 2011

GRAZIE ALLE DONNE

Una fitta pioggia ha consigliato a parecchie persone di abbandonare piazza De Ferrari e trovare riparo sotto i portici di XX settembre, mentre un fiume stava ancora risalendo da Caricamento lungo via San Lorenzo. Così l’impressione finale della gloriosa piazza di Genova piena  di storia è stata inferiore al reale coinvolgimento. Ma, stando appunto alla realtà e non alle inutili moltiplicazioni, la manifestazione per la dignità delle donne ha visto non meno di ventimila presenze, un dato enorme se lo misuriamo con i tempi correnti. Inutile il contributo ai numeri da parte di qualche povero idiota berlusconiano che assisteva al corteo, ben riconoscibile per il volto che disperatamente cercava di celare il vuoto espressivo con l’assetto grintoso.
Tantissime donne, molti uomini, discreta presenza di under-30, anche bambine e bambini con i loro genitori, è giusto che imparino fin dalla tenera età per potersi meglio regolare. Tante persone insomma. Solo cartelli, qualche sciarpa e qualche palloncino, rigorosamente bianchi, nessuna bandiera. E infatti la prima riflessione è: se ci fossero state le bandiere di partito si sarebbero contate meno di un quarto delle presenze. Quasi tutti d’accordo con questo giudizio. E allora? Sì, perché l’accordo di quasi tutti è anche sulla certezza che un partito, cioè una organizzazione politica, è assolutamente necessaria. Resta quindi l’imperativo, per coloro che hanno questa convinzione, di fare qualcosa per riorganizzare una forza unitaria della sinistra, correggere gli errori (non pochi), liberarsi di un po’ di ingombranti e incapaci dirigenti. E sconfiggere l’altro nemico sempre in agguato, il qualunquismo, l’astensionismo.
L’indifferenza, insomma. E qui, se permettete, ritorno a Gramsci.

Odio gli indifferenti: credo che vivere vuol dire essere partigiani. Indifferenza è abulia, è parassitismo, è  vigliaccheria, non è vita. Perciò odio gli indifferenti.
L’indifferenza è il peso morto della storia. È la palla di piombo per il novatore, è la materia inerte in cui affogano spesso gli entusiasmi più splendenti, è la palude che recinge la vecchia città e la difende meglio delle mura più salde, meglio dei petti dei suoi guerrieri, perché inghiottisce nei suoi gorghi limosi gli assalitori, e li decima e li scora e qualche volta li fa desistere dall’impresa eroica.


L’indifferenza opera potentemente nella storia. Opera passivamente, ma opera. È la fatalità; è ciò su cui non si può contare; è ciò che sconvolge i programmi, che rovescia i piani meglio costrutti; è la materia bruta che si ribella all’intelligenza e la strozza. Ciò che succede, il male che si abbatte su tutti, non è tanto dovuto all’iniziativa dei pochi che operano, quanto all’indifferenza, all’assenteismo dei molti…
Alcuni piagnucolano pietosamente, altri bestemmiano oscenamente, ma nessuno o pochi si domandano: se avessi anch’io fatto il mio dovere, se avessi cercato di far valere la mia volontà, il mio consiglio, sarebbe successo ciò che è successo? Ma nessuno o pochi si fanno una colpa della loro indifferenza, del loro scetticismo, del non aver dato il loro braccio e la loro attività a quei gruppi di cittadini che, appunto per evitare quel tal male, combattevano, di procurare quel tal bene si proponevano.
I più di costoro, invece, ad avvenimenti compiuti, preferiscono parlare di fallimenti ideali, di programmi definitivamente crollati e di altre simili piacevolezze…
Odio gli indifferenti anche per ciò, che mi dà noia il loro piagnisteo di eterni innocenti. Domando conto ad ognuno di essi del come ha svolto il compito che la vita gli ha posto e gli pone quotidianamente, di ciò che ha fatto e specialmente di ciò che non ha fatto. E sento di poter essere inesorabile, di non dover sprecare la mia pietà, di non dover spartire con loro le mie lacrime…
Vivo, sono partigiano. Perciò odio chi non parteggia, odio gli indifferenti.

Lo scritto è apparso su La città futura l’11 febbraio 1917, novantaquattro anni fa. Facciamone tesoro.

sabato 12 febbraio 2011

TORNARE A GRAMSCI

A volte, nelle nostre discussioni, poniamo questioni che la Storia, quella con la maiuscola, ha già affrontato bene. E allora penso che valga la pena di aiutare la memoria con qualche pagina di quella Storia.
Ricopio qui di seguito alcuni brani di un articolo, intitolato I giornali e gli operai, apparso nell’edizione piemontese dell’Avanti! il 22 dicembre 1916. L’autore è, appunto, Antonio Gramsci. Ovvio aggiungere che in certi punti basta sostituire giornale con telegiornale di Minzolingua o con qualunque programma delle reti del capobanda.

… L’operaio deve negare recisamente qualsiasi solidarietà col giornale borghese. Egli dovrebbe ricordarsi sempre, sempre, sempre, che il giornale borghese (qualunque sia la sua tinta) è uno strumento di lotta mosso da idee e da interessi che sono in contrasto coi suoi. Tutto ciò che stampa è costantemente influenzato da un’idea: servire la classe dominante, che si traduce ineluttabilmente in un fatto: combattere la classe lavoratrice. E difatti, dalla prima all’ultima riga, il giornale borghese sente e rivela questa preoccupazione.


… E la classe lavoratrice paga, puntualmente, generosamente. Centinaia di migliaia di operai danno regolarmente ogni giorno il loro soldino al giornale borghese, concorrendo così a creare la sua potenza. Perché? Se lo domandate al primo operaio che vedete in tram o per la via con un foglio borghese spiegato dinanzi, voi vi sentite rispondere: “Perché ho bisogno di sapere cosa c’è di nuovo”. E non gli passa neanche per la mente che le notizie e gli ingredienti coi quali sono cucinate possano essere esposte con un’arte che diriga il suo pensiero e influisca sul suo spirito in un determinato senso. Eppure egli sa che il tal giornale è codino, che il tal altro è palancaio, che il terzo, il quarto, il quinto sono legati a gruppi politici che hanno interessi diametralmente opposti ai suoi.

… Scoppia uno sciopero? Per il giornale borghese gli operai hanno sempre torto. Avviene una dimostrazione? I dimostranti, sol perché sono operai, sono sempre dei turbolenti, dei faziosi, dei teppisti. Il governo emana una legge? E’ sempre buona, utile e giusta, anche se è… viceversa. Si svolge una lotta elettorale? I candidati e i programmi migliori sono sempre quelli dei partiti borghesi.

… Bisogna dire e ripetere che quel soldino buttato là distrattamente nella mano dello strillone è un proiettile consegnato al giornale borghese che lo scaglierà poi, al momento opportuno, contro la massa operaia. Se gli operai si persuadessero di questa elementarissima verità, imparerebbero a boicottare la stampa borghese con quella stessa compattezza e disciplina con cui la borghesia boicotta i giornali degli operai, cioè la stampa socialista.

… Boicottateli, boicottateli, boicottateli!

O almeno cambiate canale!

mercoledì 9 febbraio 2011

ECONOMIA IN FUMO

La cronaca odierna della conferenza stampa di B dopo il consiglio dei ministri ci ha mostrato un Tremonti che, dopo aver dichiarato che non c’è una lira, ha abbandonato il tavolo per impegni che riteneva più importanti. Insomma, si corre il rischio di provare simpatia persino per Tremonti!
Prima c’era stato il solito delirio di B contro i magistrati che lo perseguitano, ma questa volta le parole usate sono andate anche oltre la consuetudine. La conferma è venuta dal gruppo dirigente del predellino che, riferendosi in particolare ai giudici di Milano, ha parlato di “avanguardia rivoluzionaria”! Non c’è da scherzare, credo che i pericoli per la tenuta parademocratica del Paese siano in fase crescente e non vanno assolutamente sottovalutati limitandoci a credere che prima o poi “adda passà ’a nuttata”!
Poi, e questi sono gli aspetti che inducono a illuderci che prima o poi la burlesque passerà, si è passati a illustrare le scoppiettanti misure per uscire dalla crisi e portare a soluzione i gravi problemi di milioni di cittadini. Il piano casa, lanciato due anni fa, deve ancora essere aggiornato; gli incentivi alle imprese si daranno non si sa quando e come; la modifica dell’articolo 41 della Costituzione, per dare campo ancora più libero alle scelte degli imprenditori, richiede un paio di anni di tempo, per gli impicci che la stessa Costituzione pone all’azione di governo (così, ovviamente, pensano e dicono i cialtroni della destra, e questa volontà di modifica della Costituzione è uno degli aspetti gravi del pericolo da essi rappresentato, considerando oltretutto che l’articolo in questione prevede già la libertà d’impresa, purché non “in contrasto con l’utilità sociale o in modo da recare danno alla sicurezza, alla libertà, alla dignità umana”: se lo si vuole modificare è perché si vogliano intaccare, ancor più di quanto già lo siano, i diritti dei lavoratori). Insomma, cialtronate che persino l’anarchica insurrezionalista presidente della Confindustria si è rifiutata di commentare.


Neppure il provvedimento decisivo per le sorti dell’economia è passato. B voleva che i benzinai esponessero il prezzo settimanale dei carburanti (norma favorevole ai petrolieri), in cambio la possibilità di vendere le sigarette. Ma la protesta congiunta di tabaccai e benzinai ha bloccato la misura. Ora, che una sigaretta venduta dal benzinaio, invece che (o insieme al) dal tabaccaio, comporti un beneficio all’economia nazionale è una stronzata che neppure Tremonti ci saprebbe spiegare (e difatti aveva abbandonato la conferenza). Insomma, di tutto il can can è rimasto soltanto l’accanimento giudiziario. Continuo a non capire perché non ci decidiamo a scrivere sui muri che di accanimento ce n’è solo uno: quello di B a delinquere!

L’altra sera, a Linea notte, c’era anche Paolo Ferrero. La sua apparizione televisiva dopo due anni ci ha fatto scontare, per par condicio, quella di Storace. Ma non è certo colpa sua. Ha detto due o tre cose sacrosante, compresa la proposta di una tassa sui patrimoni come uno dei mezzi per trovare risorse da impiegare. Apriti cielo! Eppure la proposta non è affatto soviettista ma moderatissima: l’uno per cento per patrimoni di un milione di euro (traduco: diecimila euro una tantum; come dire che se estendessimo la patrimoniale ai redditi, un Marchionne, che di euro stock option incluse ne incassa 120 milioni, finirebbe col pagare solo poco più di un milione!).

martedì 8 febbraio 2011

ROSA E GRIGIO SCURO

Durante Ballarò, i sondaggi della IPSOS ci hanno informato che due italiani su tre pensano che B debba dimettersi e che una coalizione di centrosinistra oggi ha più consensi del centrodestra. Resta il dato allarmante dell’astensionismo crescente, ma sono dati che possono averci reso meno intollerabili le presenze del cosiddetto ministro Sacconi e della imprenditrice Todini. La padrona del mattone ha suggerito a B di trovarsi una compagna, dimenticando le recenti dichiarazioni sulla fidanzata e ricordando invece i complimenti che B le rivolse nel ’94, ma sembra esclusa una profferta.


Sacconi ha fatto ben di peggio. Ha provato a mettere in discussione il sondaggio contrapponendo quello di cui si serve il padrone, una società che poi Pagnoncelli ha dimostrato essere assolutamente poco credibile quanto a comportamenti. Ha attaccato le parafarmacie, dicendo che il prefisso para è già dimostrazione di scarsa attendibilità, ma dimenticando che non vale sempre: infatti nel caso di paraculo (cioè nel suo caso) non vale. Non ha rinunciato all’esercizio del caprone, cioè allo scuotimento del testone quando si accorge di essere inquadrato mentre sta parlano l’altra parte politica, che è una delle prime cose che il capo pretende da tutte le comparse televisive. Ha delirato sul piano casa, il piano Sud e la modifica dell’articolo 41 della Costituzione. Per sua sfortuna, o disattenzione, tra lo stuolo di simpatizzanti battimano che aveva alle spalle c’era una signora, costantemente inquadrata, affetta purtroppo da un fastidioso e frequentissimo tic orale che le procurava continue smorfie, in grado peraltro di sottolineare efficacemente le sciocchezze del Sacconi.


Sforziamoci di essere seri. Mentre queste insopportabili presenze continuano a raccontare favole, da altre fonti si apprendono cose davvero interessanti. 1) La situazione dell’edilizia residenziale è tale che si calcola per ogni nuovo nato una disponibilità di 38 vani: in questa condizione l’unica cosa credibile è, da un lato, un piano di riconversione per aumentare la ricettività solidale, e dall’altro un impegno di lavori pubblici disseminati sul territorio. 2) Scopro che la prima automobile progettata era elettrica (se ne occupava lo stesso Edison): oggi si lavora per ritornare alle origini, dopo che il motore a benzina fu la illogica conseguenza del potere del petrolio. 3) A Berlino stanno progettando una casa per una famiglia media (quattro persone, perché lì i bambini nascono più frequentemente) che è totalmente autonoma sul piano energetico (nel garage c’è persino la presa per ricaricare l’auto elettrica), e che riesce addirittura ad erogare l’energia in eccesso rispetto ai consumi.
Non potrebbero essere tre cosette sulle quali misurare una capacità di stendere programmi credibili per il futuro di questo nostro Paese?

Giuliano Giuliani

lunedì 7 febbraio 2011

DIECI GIORNI DI CATTIVERIE

Calearo, ex pd oggi nel gruppo dei responsabili, ha detto che se B chiama, lui è pronto; corona il sogno di Veltroni: avere un suo uomo al governo! Pannella dice che dipende da quanto B è in grado di offrire: è geloso di capezzone!

Al TG3 il segretario della CISL non perde l'occasione per dimostrare ancora una volta la sua collocazione a fianco (o meglio ai piedi) di governo e padroni. Giustifica Marchionne e dice che i veri nemici sono i giornalisti che fanno fumo sull'abbandono di Torino. Quando gli chiedono perché il governo ha fatto poco e niente per la crisi, dice che anche le regioni e i comuni (che sono troppi) non hanno fatto molto. Che cialtrone! Ma gli iscritti CISL se le bevono tutte?

Presso il ministero dello sviluppo economico (che controlla anche la RAI, non per niente il ministro è tale Romani, uomo mediaset) hanno costituito un dipartimento che dovrebbe occuparsi della tutela dei bambini davanti al televisore. Poi il neonominato direttore dice che i giornalisti devono essere più cauti. Cioè non si preoccupa di trasmissioni ignobili come quelle trasmesse dalle reti del padrone (e non solo), ma mira a controllare le notizie sui festini. Lo schifo si supera ogni giorno!

Lunedì RAI3 trasmetterà il film Il trasformista, interprete Luca Barbareschi: quando il cinema diventa realtà!

Gli avvocati dello stallone dicono che sono fotomontaggi: Non ho capito: fotomontaggi o foto di montaggi?

Il mondo bancario è da tempo il postribolo capitalistico: accumula ricchezze, non produce nulla ed è causa di crisi. Ma come si permettono i cafoni di Mediobanca di usare l'Inno alla gioia di Beethoven per pubblicizzare una banca? Ritirare i depositi!

Dopo essersi occupato esclusivamente della casa di Montecarlo e delle note dello staterello di Santa Lucia, l'ignobile cosiddetto ministro degli Esteri di questo altrettanto ignobile governo ha finalmente, con flebile voce, rilasciato un insulso parere su quanto sta succedendo in Egitto e parlato della saggezza di Mubarak. Un altra vergogna di questo nostro povero Paese!




domenica 6 febbraio 2011

MAI FINE ALLA VERGOGNA

Una delle ultime usuali e indecenti telefonate del capobanda erano dirette al cosiddetto gruppo dei responsabili. Il TG3 ha mandato in onda il gruppetto, dieci in tutto, che ascoltava estasiato le stronzate dell’acquirente. Bastava guardare bene le facce di questi mascalzoni, in prima fila ovviamente Scilipoti, per avere una ulteriore conferma dell’abisso nel quale il Paese precipita. Tutti o quasi di età media fra i cinquanta e i sessanta, qualcuno oltre, forse rifatto. Gentaglia che ha venduto al padrone, esentasse, quel che restava della propria miseria morale e civile. Poi lo stesso telegiornale ci ha informato di un’altra telefonata, diretta questa a un’altra riunione di irresponsabili, gli amici di quel Pionati che, quando stava al TG1, costruiva panini in difesa dei governi della destra (il panino, ricordo, è il sistema informativo che mette in fila governo, opposizione, maggioranza di governo, con poco spazio al prosciutto e chiusura per chi comanda): insomma, il vero antesignano di Minzolingua. Non meravigliano quindi i toni dei soliti servi contro la manifestazione di Milano, anche se i cicchitto e i capezzone si sono superati: considerare che Eco e Zagrebelski, per citare solo due dei presenti, siano dei pericolosi sovversivi è davvero fuori misura.


Non mi stancherò mai di pensare e dire che, per quanto si possano attribuire all’opposizione colpe gravi (una sostanziale inerzia, la mancanza di una vera e credibile proposta alternativa, una specchiata moralità, e chi più ne ha più ne metta), resta una differenza di fondo con l’attuale maggioranza: una differenza che attiene ai pericoli e ai rischi concreti che corrono la democrazia e la legittimità costituzionale.
Non mi stancherò mai di pensare e dire che i difetti, i limiti, le insufficienze anche gravi dell’opposizione possono essere curati ed eliminati gradualmente soltanto se il Paese riuscirà a liberarsi di B e della sua grande banda. Cioè, quei limiti, quei difetti, quelle colpe, possono essere eliminati quando sarà possibile instaurare una dialettica fra cittadini e governo che permetta una discussione, anche accanita, di merito e non sulle bassezze o sugli imbrogli che caratterizzano l’attuale amministrazione del potere. Quando non saranno più decisivi individui spregevoli come gli irresponsabili.
Continuiamo allora, se siamo capaci di farlo, a provare a risolvere il problema principale dell’oggi: convincere gli astensionisti che sono i migliori amici di B e della sua banda. E’ loro la responsabilità del fatto che questi cialtroni, che raccolgono a malapena meno di un terzo dei consensi dei cittadini aventi diritto di voto, continuino a dire che sono votati dalla maggioranza degli italiani. E per provare a convincerli è assurdo continuare a dividersi e frammentarsi in gruppetti sempre meno consistenti, capaci solo di offrire a qualche leaderino l’illusione di contare qualcosa. Sventolare una bandiera è sempre una bella cosa, ma se devo sventolarne tre alla volta per far credere di essere in tanti è soltanto una manifestazione penosa.

Giuliano Giuliani

giovedì 3 febbraio 2011

PADRI SILENZIOSI

Un caro amico, Loris, mi ha invitato a leggere una sua risposta, garbatamente polemica, all’articolo di Claudio Fava apparso sull’Unità del 22 gennaio scorso, intitolato: “Il silenzio dei padri per le notti di Arcore”. Dice Loris (http://a-sinistra.blogspot.com), giustamente, che non si deve generalizzare, ma devo dire che non mi è parsa affatto questa l’intenzione dell’articolo. Anzi, se si leggono alcune intercettazioni, occorrerebbe sottolineare che non di silenzio si è trattato, ma di sollecitazione e di invito a frequentare il bordello di Arcore per trarne vantaggi propri e per la famiglia. Certo, questa è la telefonata di “un” cosiddetto padre, ma quale e quanta parte del Paese questo “un” è in grado, purtroppo, di rappresentare? E quelle decine di madri che davanti al teatro nel quale si svolgeva una selezione per veline invitavano le proprie figlie a “scoprirsi un pochino”? Certo, non tutte le madri delle ragazze aspirano al ruolo di maitresse, ciò non toglie che anche quella sia stata una spia della degenerazione che sta colpendo la società. E quelle anzianotte che intervistate per strada ripetono le sciocchezze dell’Emilio servitor di due padroni (Lele e B)?
Allora, non generalizziamo ma guardiamo con serissima preoccupazione e grande attenzione quello che ogni giorno viene a galla. Valutiamo, facciamo i conti, come spesso mi capita di suggerire, sforziamoci di quantificare e di capire.


Mi avvalgo intanto delle parole di Stendhal. Il curato, che convince Julien Sorel ad abbandonare la vocazione, gli dice: “ Potrete far fortuna, ma bisognerà nuocere ai disgraziati, adulare il sottoprefetto, il sindaco, le persone stimate, e servire le loro passioni: tale condotta, che nel mondo si chiama saper vivere, può per un laico non essere assolutamente incompatibile con la salute eterna. Ma, nella nostra condizione, dobbiamo scegliere: si tratta di far fortuna o in questo mondo o nell’altro, non c’è via di mezzo.” A parte il fatto che anche nella condizione del curato si fanno porcherie della peggior specie (anche qui, senza generalizzare!), il messaggio è chiaro. E’ del 1830, ma potrebbe ripetersi tal quale. Solo che per noi c’è, eccome, una via di mezzo. Ed è quella di condurre una vita normale, non per aspirare a un’incredibile fortuna nell’altro mondo, ma per poter guardare gli altri negli occhi e poter essere guardati senza disprezzo o commiserazione.
Allora, abbandoniamo la poesia e passiamo ai numeri. 1) Le famiglie sono più povere (meno 2,7%), con una accentuata differenza fra Nord e Centro-Sud. A parte la solita questione delle percentuali che ingannano (la storia del pollo è ancora più valida, se è vero come è vero che metà della ricchezza nazionale è nelle tasche di un decimo della popolazione), risulta che, soprattutto al Sud, il calo è inferiore al 2%. Si scopre che Sicilia e Calabria sono le regioni nelle quali, così dice l’ISTAT, il calo è stato ancora meno sensibile. Che c’entri qualcosa l’economia mafiosa e ‘ndranghetista? 2) L’inquinamento malavitoso nei comuni del Nord è devastante. C’entra qualcosa la rinnovata volontà di impedire le intercettazioni, modificare le regole di accertamento dei reati, riparlare di processo breve, attaccare giudici e magistrati senza distinguere (poi si scopre che anche i giudici “laici” sono dei briganti, anzi dei brigandì!)? 3) La disoccupazione giovanile è in costante aumento, ma aumenta anche la precarizzazione di quelli che riescono a trovare il lavoretto. C’entra qualcosa il baluginare carriere rapide in politica o in tv con i compensi corporali? 4) I sondaggi dicono che l’astensionismo è altissimo (oltre il 40% del corpo elettorale). C’entra qualcosa la mancanza di proposte concrete sulle quali far misurare la voglia di uscire dal fango e guardare avanti con un po’ di serietà?
Insomma, non tutto è berlusconismo, nel senso che si riaffacciano problemi antichi, riconducibili al famoso rapporto di forze esistente fra ricchi e poveri, tra padroni e servi, tra imprenditori e sottoposti, insomma, per usare un linguaggio antico, tra capitalismo e forza lavoro. Un rapporto che sarebbe ridicolo pensare di sconfiggere oggi con gli schemi del passato, ma che bisogna modificare con proposte precise. Una di queste è la intangibilità della Carta Costituzionale (articolo 41, non è un caso che vogliono riformarlo) insieme con la strenua difesa del contratto nazionale di lavoro per i diritti dei lavoratori; l’altra è la leva fiscale: tassazione feroce delle rendite finanziarie, aumento delle aliquote sui grandi redditi (la Camusso ha proposto di colpire i redditi lordi oltre gli 800.000 euro, può essere un primo passo), lotta spietata all’evasione e, lo ripropongo qui, pubblicazione degli elenchi degli evasori scoperti, perché voglio sapere a chi non richiedere più prestazioni lavorative e professionali. E poi, certo, un ripensamento sulle lenzuolate e sulle liberalizzazioni: basta l’esempio del basso livello al quale è giunto il trasporto ferroviario, liberalizzato di nome (ma la logica è quella), in Italia: bei treni per i ricchi su alcune linee a grande percorrenza e treni puzzolenti (quando ci sono) per milioni di pendolari.
Per affrontare questi problemi c’è comunque una condizione preliminare: cacciare il capobanda di Arcore. Non ci può più essere equivoco su questo punto. Ha ragione Loris quando dice che per ripulire il paese dal berlusconismo occorreranno decenni (magari anche con un’autocritica di tanti padri e tante madri), ma il punto è che senza la cacciata di B gli anni rischiano di diventare cinquanta! Non vi è dubbio che occorre provvedere a restituire dignità e cultura civile al Paese, ma anche ciò diventa improponibile con la permanenza di B, perché questa presenza sempre più anomala al governo di in un Paese che voglia considerarsi civile comporta la diffusa presenza di ominicchi (e donnicchie), veri e propri quacquaracqua (come direbbe Sciascia) in ogni ganglio istituzionale, tutta robaccia che senza Berlusconi sarebbe destinata alla scomparsa dalla scena pubblica.
Proviamo a pensarci. Sul serio.

Giuliano Giuliani