martedì 30 agosto 2011

MAI FINE AL PEGGIO!

Come era prevedibile anche l’impossibile si è verificato: il peggioramento della cosiddetta manovra. D’altra parte, a questa banda di malfattori riesce, a volte, anche l’impossibile.


Tolgono la “contribuzione solidale”. Ai benestanti (quelli da 5000 euro netti al mese in su) non tolgono dalle tasche i 50 o 300 euro al mese (per i conteggi vi rimando su questo stesso blog all’articolo “POLITICA E FAR DI CONTO”), ma questo significa che ai grandi ladri (quelli che guadagnano come Marchionne e oltre) non si toglie nulla. E infatti anche la possibile patrimoniale è rimasta lettera morta. Il grande cialtrone, che oggi si congratula con se stesso perché, dice, resisterà fino al 2013, non ha voluto scalfire il suo bacino elettorale e dirà, con la solita faccia, di non aver messo le mani nelle tasche. L’aumento dell’IVA è rientrato, o meglio, tenuto di riserva, perché questa manovra non regge neppure fino a Natale, e prima di fine anno faranno una integrazione, a danno ancora una volta dei soliti.
Ridicola la conclusione sui “costi della politica”. Ridotti un po’ attraverso le tasse i redditi dei parlamentari, e aboliti i gettoni per i consiglieri dei piccoli comuni (che erano solo spiccioli, comunque), per le province se ne parlerà con un decreto costituzionale (notte dei tempi), lo stesso che dovrà decidere la riduzione del numero di senatori e deputati. D’altra parte questo era l’argomento principale per conquistare consenso nella vasta area del qualunquismo dilagante, quelli che ancora non vogliono capire che la questione fondamentale è la divisione proprietaria esistente (aggravatasi ulteriormente a svantaggio dei poveri negli ultimi vent’anni) e non invece il privilegio che la classe dei proprietari assegna e concede ai propri ligi servitori.
Avrebbero, così dicono, ridotto i tagli agli enti locali. Non si capiscono i conti e le previsioni, ma resta la certezza che tagli ci saranno e ricadranno come sempre sulla parte più povera e meno abbiente delle comunità. Vedremo se la battaglia ingaggiata dai sindaci in modo bi-partisan proseguirà: in questo caso bisognerà aderire con convinzione.
Sulle pensioni credo che siamo al capolavoro. Ho la sensazione che la trovata sia incostituzionale: con il prolungamento dell’età pensionabile attraverso la cessazione del conteggio degli anni dell’università o della leva obbligatoria ho la sensazione che si sia leso un diritto acquisito, e che quindi la decisione sia incostituzionale. Se poi la nuova norma dovesse riguardare quelli che cominciano oggi a contare gli anni per il pensionamento, i cosiddetti benefici contabili per l’erario si avrebbero fra 40 anni! Chissà che cosa ne penseranno Trichet e l’Europa!
Un commentatore faceva osservare che l’unico cosiddetto ministro a non veder toccata la sua parte è stato Sacconi, quello che ha insistito, a unico vantaggio del peggiore padronato possibile, per distruggere le garanzia di lavoratori e l’articolo 18. La cosa non mi meraviglia affatto. Il Sacconi è un craxiano di ferro, rappresenta cioè una delle esperienze politiche più indegne e vergognose della storia italiana e quindi da un simile individuo non ci si poteva aspettare altro. Il guaio è che della storia italiana ci si ricorda in pochi, occorrerebbero ogni tanto qualche lettura e qualche ripasso collettivi.

giovedì 25 agosto 2011

OTTO PER MILLE

Sono ancora in tanti a non conoscere il meccanismo fraudolento che regola la distribuzione dell’8 per mille. E allora mi permetto di fornire qualche informazione.
La scelta per attribuirlo, in sé legittima, avviene come è noto con la dichiarazione dei redditi, o anche soltanto con l’invio del CUD: è sufficiente apporre la propria firma nell’apposita casella. Le caselle, nell’ultima dichiarazione erano sette: lo stato, la chiesa cattolica e altre cinque confessioni religiose, fra le quali l’evangelica e l’ebraica. La distribuzione alle varie entità non avviene sommando per ciascuna l’8 per mille delle tasse di ciascun contribuente sottoscrittore (come avviene invece per la scelta del 5 per mille) ma facendo riferimento all’intero ammontare delle imposte derivanti dall’IRPEF. E questa è una prima anomalia.

Dove sta la “frode”, allora? Sta nel fatto che la distribuzione alle singole entità avviene percentualmente sulla base delle scelte operate da quei contribuenti che decidono di scegliere. In effetti scelgono di optare per la destinazione dell’8 per mille una netta minoranza di contribuenti che compilano la dichiarazione (tra il 30 e il 40 per cento), ma il risultato finale tiene conto delle percentuali espresse. Cioè: se, poniamo, di quel 30 per cento che sceglie, il 90 per cento sceglie la chiesa cattolica, al Vaticano va il 90 per cento dell’importo globale dell’8 per mille. Chiaro? E’ così che con la dichiarazione dei redditi del 2010, quella di quest’anno, alla chiesa cattolica sono andati un miliardo e 118 milioni, pari all’85% dell’intero ammontare dell’8 per mille! Insomma, se a scegliere fossero solo Bertone e la Bindi, alla chiesa cattolica andrebbe il 100% dell’intero importo!
Sembrerebbe del tutto logico correggere la “frode”. Difficile che si decidano a farlo e anche l’attuale opposizione parlamentare si guarderebbe bene dall’inimicarsi l’oltretevere. Resta una sola cosa da fare: scegliere la destinazione. Ma qui non c’è molto da stare allegri: se l’alternativa è lo stato, con la banda b al governo neanche a parlarne, immaginarsi che cosa ne farebbero Tremonti, Brunetta e Calderoli! La scelta meno dolorosa, anche per un feroce laico non credente, potrebbe essere la chiesa evangelica, sicuramente la scelta del meno peggio.

martedì 23 agosto 2011

GLI USA, LA LIBIA E LA GUERRA

In un articolo su Repubblica di oggi, Federico Rampini riporta una frase di Obama che sintetizzerebbe la strategia statunitense in relazione alle vicende libiche: “E’ crollato in soli sei mesi un regime che durava da 41 anni, e non è stato necessario mandare un solo soldato americano sul territorio libico.” Se fosse possibile utilizzare il sarcasmo, rispetto alla perenne tragedia di una guerra, verrebbe da dire: “Appunto!”; perché in quasi tutte le altre occasioni la presenza dei soldati americani non ha certo sortito i risultati che la dirigenza statunitense si aspettava. Facciamo memoria.


Dopo il sostanziale stallo verificatosi in Corea (il presidente Truman dovette dimettere quel pazzo del generale MacArthur che voleva sganciare atomiche, peraltro decise a Hiroshima e Nagasaki dallo stesso Truman) si apre lo scontro militare più infausto per le truppe statunitensi: quello in Vietnam. Nonostante l’uso e l’abuso di mezzi militari terrificanti (Apocalypse now tradusse per gli schermi gli effetti agghiaccianti del napalm) e l’impiego di oltre un milione di soldati, gli USA non riuscirono ad impedire che il popolo vietnamita ottenesse la unificazione del paese dopo la riscossa anticoloniale nei confronti della Francia. Un conflitto durato anni, durante quattro presidenze (Kennedy, Johnson, Nixon, Ford), due democratiche e due repubblicane, una vera guerra bi-partisan.
All’inizio degli anni ’90 scoppia la Guerra del golfo, eufemismo per “guerra del petrolio”. Ci sono interessi ancora più grandi da difendere, quelli dell’oro nero del Kuwait, appunto, e l’impegno è massiccio. Ma non è ancora giunto il momento di celare gli interventi a difesa dell’impero economico occidentale con la coperta corta della “esportazione di democrazia”. Saddam Hussein è un terribile dittatore sanguinario? Ci penserà qualcun altro.
E puntuale arriva. Dabliu Bush, il più impresentabile di tutti i presidenti USA, non per altro tra i grandi amici di s. b. Prima però c’è da mescolare le carte sull’incidente, si fa per dire, provocato a Ground Zero dagli amici del suo amico Osama. E allora via con i bombardamenti e le truppe in Afghanistan. Obiettivo i talebani, cioè quelli che anni prima gli USA avevano armato contro i sovietici per garantire il controllo dei corridoi del gas e del petrolio. Già, ma adesso i sovietici non ci sono più, c’è il quasi amico Putin, quello del lettone. non a caso altro grande amico di s. b. Morale, dopo dieci anni sono ancora lì, i talebani anche, la corruzione dilaga, di democrazia non se ne parla neanche per scherzo. Stessa cosa in Iraq, con la variante teletrasmessa dell’impiccagione di Saddam e una scia di attentati e di morti che continua. Sì, è così, per fortuna in Libia non ci sono andati!
Eppure una cosa giusta erano riusciti a farla. Contribuire a sconfiggere Hitler, aiutare i partigiani a battere i fascisti di Salò. Non so se si possa dire così, ma forse quella è stata l’unica guerra “di sinistra”! (E so già quante me ne diranno i miei amici pacifisti, convinti che non esistono guerre giuste, e quindi neppure di sinistra; ma allora alla Resistenza occorre associare un altro sostantivo, perché quella è stata giusta davvero, eccome!).

sabato 20 agosto 2011

POLITICA E FAR DI CONTO

Un limite grave di chi fa politica è la scarsa dimestichezza con l’aritmetica, limite che spesso investe anche i commentatori e i giornalisti. Un esempio è fornito in questi giorni dal tanto parlare (e dal poco far di conto) rispetto alla cosiddetta “tassa di solidarietà”, che dovrebbe colpire i possessori di redditi superiori ai 90.000 o ai 150.000 euro, e che naturalmente ha incontrato le ire esplicite di tanti pidiellini e quelle malcelate di un po’ di piddini.

L’altra sera, durante la trasmissione “In onda” su La7, un poco noto sottosegretario ha detto che con quella tassa aggiuntiva, che nel caso di parlamentari potrebbe prevedere il raddoppio (dal 10 al 20 per cento), un contribuente arriverebbe a pagare al fisco il 63 per cento del suo reddito lordo. Balle, ovviamente, perché il poco noto sottosegretario, oltre ad essere un cretino in aritmetica, è anche più propriamente un imbroglione (altrimenti non sarebbe sottosegretario di Berlusconi). Dai conduttori della trasmissione, purtroppo, silenzio.
Allora vediamo un po’ come stanno le cose. Poniamo un reddito lordo di 200.000 euro. Attualmente, al lordo delle eventuali detrazioni, le tasse ammonterebbero a 79.170 euro, pari cioè al 39.59%. Con la tassa di solidarietà le tasse salirebbero a 87.179 euro, pari al 43,59% (rispettivamente 92.170 euro, e 46,1% se si applicasse l’aliquota doppia del 20% sulla parte eccedente i 150.000 euro). Dov’è l’imbroglio del “poco noto”? Nella affermazione che il 20% si dovrebbe aggiungere (ma non è affatto così!) all’aliquota massima prevista già oggi (43%) per la parte di reddito  che eccede i 75.000 euro lordi annui: 43 + 20 = 63 e che questa aliquota si dovrebbe applicare all'intero reddito. Chiaro? Ma non è affatto così!
Senza contare che, traducendo le percentuali in cifre reali, a quel povero contribuente da 200.000 euro lordi annui (l’equivalente di una dozzina di operai e di una ventina di precari) resterebbero comunque 9.000 euro al mese da spendere (9.400 se la maggiorazione non fosse raddoppiata e si fermasse al 10%). Insomma, comunque non farebbe la fame!
I conti sono ancora più espliciti, sotto il profilo di una proposta che non è affatto cannibalesca, se prendiamo in esame un reddito più “povero”, diciamo 160.000 euro annui. In questo caso (e non si tratterebbe di un parlamentare) le tasse passerebbero da 61.970 euro a 65.970 euro annui, con un aumento mensile di 333 euro, undici al giorno (e gliene resterebbero comunque 7.835 al mese (261 al giorno). Ancora più risibile l’aumento nel caso di un reddito da 100.000 euro lordi annui: l’aumento sarebbe di “ben” 41 euro al mese, un euro e trentotto centesimi al giorno!
Consiglierei al “poco noto” e anche a molti commentatori di fare qualche analogo conteggio rispetto all’aumento dei costi dei servizi che colpiranno le decine di milioni di cittadini “normali”. Resta tuttavia l’indignazione per l’assenza di proposte serie sul fronte della lotta all’evasione, per lo svicolare rispetto alla possibilità di colpire i redditi rimpatriati coperti dal ridicolo scudo del 5% (con un po’ di coraggio si raccoglierebbe quasi metà dell’intera manovra aggiuntiva!), per le misure che colpiscono diritti essenziali dei lavoratori, in primo luogo la sostanziale abolizione della norma di salvaguardia sui licenziamenti. Attendiamo qualche segnale dall’attuale, debolissima, opposizione parlamentare.

martedì 16 agosto 2011

GIUSTIZIA DA BINGO

Che l’amministrazione della giustizia offra spesso esempi che eufemisticamente possano essere considerati contraddittori è cosa nota. I processi sulle tragiche vicende genovesi hanno abbondantemente confermato questa opinione: lo dimostrano le sentenze emesse nei diversi gradi di giudizio. L’opinione viene tuttavia consolidata anche da fatti assolutamente risibili rispetto a quelli genovesi. A me ne è capitato uno che qui vi racconto.


A Genova ci sono molte strisce gialle, quelle che delimitano il percorso viario riservato ai mezzi pubblici, oggetto di svariate polemiche per la collocazione non sempre funzionale, ma soprattutto oggetto di scarsa manutenzione, cosa che le rende spesso non adeguatamente visibili. Per il nobile servizio di nonno-sitter mi è capitato di percorrere una strada di Genova dove esiste una di quelle strisce, o meglio, dove si dovrebbe presumere che esista, dal momento che in quasi tutto il percorso la striscia, a quell’epoca (ottobre 2009), risultava del tutto invisibile. Tranne l’ultimo tratto, una decina di metri, sette dei quali tratteggiati, per permettere all’automobilista di prendere la corsia di destra in prossimità del semaforo che immette in una piazza. E’ quasi ovvio che la telecamera che controlla la zona sia stata collocata a dieci metri dal semaforo, dopo una curva, in modo tale che le fotografie scattate possano cogliere l’infrazione anche di quelli che, come è stato il mio caso, oltrepassano la striscia continua negli ultimi metri, con il nobile intento di non intralciare il traffico che sulle due corsie restanti imbocca un tunnel.
Nel febbraio 2010, poco prima della scadenza dei 150 giorni, mi arrivano cinque contravvenzioni. Prima della scadenza dei 60 giorni previsti faccio ricorso al Giudice di pace, allegando le foto della zona a dimostrazione della inconsistenza della segnaletica. Il giudice, l’avv. Franco Nativi, mi convoca in pubblica udienza il 19 ottobre 2010 e il giorno successivo deposita la sentenza. Respinge il ricorso ma, “ritenuto che vada garantito il diritto di difesa, anche in caso di soccombenza, appare giusto contenere la sanzione amministrativa entro il minimo di legge, oltre alle spese”. Morale, 137,51 euro in tutto per le cinque multe.
Prima della convocazione mi erano pervenute, sempre per lo stesso motivo e sempre nello stesso punto, altre otto contravvenzioni, relative al mese di novembre 2009. Rispettando i tempi previsti, nuovo ricorso al Giudice di pace, adducendo gli stessi motivi, le stesse documentazioni, e allegando ovviamente i riferimenti al precedente ricorso. Convocazione a tempi biblici, 4 luglio 2011. Questa volta mi tocca Angela Salaspini, che decide per il “minimo edittale”. La scoperta è che l’aggettivo  da tardo romano impero, “edittale”, significa 82,95 euro per ciascuna contravvenzione, in totale, quindi 663,60 euro. Cioè, la contravvenzione piena. “Minimo” dovrebbe significare che non si è applicato il raddoppio per via del ritardo di pagamento, dovuto per altro al ricorso legittimo e ai tempi biblici del palazzo del giudice.
Palazzo che, vista e subita la incomprensibile difformità di giudizio, mi sembrerebbe più conforme intitolare “palazzo del bingo”!

sabato 13 agosto 2011

MANOVRA E COSTI DELLA POLITICA

Qualche mese fa, esattamente il 1° maggio, avevo pubblicato sul blog un articolo che riguardava un aspetto particolare della pubblica amministrazione; aspetto che, dopo la oscena manovra, è diventato l’argomento principale dietro il quale governo, giornali di destra e corifei di varie collocazioni nascondono, o cercano di nascondere, le porcherie aggravate con le decisioni assunte. Anche la grande informazione e pezzi dell’opposizione parlamentare si uniscono al coro senza sollevare i necessari distinguo.


In quell’articolo parlavo del comune di Propata, incantevole paese dell’entroterra genovese, in Val Trebbia, che contava 167 abitanti nel censimento del 2007 e che nelle elezioni di maggio ha eletto un sindaco e dodici consiglieri. Nulla da obiettare alla decisione di accorpare i comuni sotto i mille abitanti, che si contano oltre il migliaio (oltretutto è possibile, come è il caso di Propata, che facciano già parte anche di una Comunità montana). Ma a fare due conti della serva già si evince che queste soppressioni eliminano da sole quindicimila delle 54 mila “poltrone” annunciate dal solito imbonitore imbroglione, ammesso che gli sgabelli di Propata possano definirsi tali. E lo stesso discorso vale anche per il risparmio economico: non risulta che i consiglieri di Propata consumino tutti i giorni caviale a un euro e mezzo!
Insisto su una questione di fondo, perché anche su FB si stanno sprecando le considerazioni sulla punizione della casta. La mia convinzione è che l’argomento (ripeto, senza nulla togliere al fatto che sia giusto operare elementari razionalizzazioni nell’amministrazione) venga usato per buttare fumo negli occhi, accrescere il disgusto per tutto ciò che attiene alla politica (non è un caso che l’abolizione di comuni e provincie stia sotto il titolo di riduzione dei costi della politica), diffondere un qualunquismo che definisco senza mezzi termini di natura fascista. E non è un caso che il capo della CISL, che non spreca neppure un sussurro sulla carneficina dei diritti sindacali, parli anche lui prevalentemente della riduzione dei costi della politica. Naturalmente si guarda bene dal citare quanto costino gli enti bilaterali, che al gruppo dirigente della CISL fanno particolarmente gola per la collocazione di un po’ di clienti.
A pagare, come sempre, sono i lavoratori dipendenti. Anche l’aumento delle aliquote che si voleva introdurre per i lavoratori autonomi è saltato. Cioè, i colpiti dalla manovra a tutti i livelli, anche i titolari di redditi medio-alti, sono solo i lavoratori dipendenti, quelli che le tasse le pagano fino all’ultimo centesimo. Piccoli e grandi evasori no. A quelli neanche un buffetto sulla guancia, forse hanno ritenuto che di questi tempi un altro condono sarebbe stato troppo.
Lavoratori dipendenti e poveri. Un taglio di 8 miliardi di euro agli enti locali che cosa produrrà se non un aggravamento insopportabile della condizione sociale, con ricadute sui servizi già così carenti? Vedremo che cosa succederà nel corso del dibattito parlamentare, quando forse si conosceranno le controproposte del PD, ripetutamente annunciate ma assolutamente ignote. Intanto si stanno muovendo le organizzazioni dei lavoratori degne di questo nome. Lo sta facendo la FIOM. Dobbiamo lavorare perché lo decida in fretta la CGIL. Suggerirei al gruppo che mi tempesta su FB di cambiare titolo e finalità: invece di “Camusso dimettiti” propenderei per “Camusso promuovi”, ovviamente lo sciopero generale al più presto.

venerdì 12 agosto 2011

MA CHE BELLA MANOVRA!

Speravo di poter rivedere lo straordinario film di Forman con un altrettanto straordinario Nicholson, ma va ringraziata La7 che ha mandato in onda una diretta sulle decisioni del governo, con la conferenza stampa a palazzo e i commenti di qualche dirigente di partito. Perché ha svolto quello che dovrebbe essere il servizio pubblico, quello che avrebbero dovuto fare RAI1, RAI2 e anche RAI3. Mi permetto quindi alcune considerazioni a caldo.
La prima. Questa destra oscena vende in primo luogo la riduzione dei costi della politica e B ha sparato anche la cifra di 54 mila poltrone soppresse. Per carità, lo schifo ulteriore provocato dai costi del menù del senato della camera meritava senz’altro una risposta. Ma stiamo attenti: le 54 mila poltrone comprendono quelle dei comuni con meno di 1000 abitanti (allo scadere del mandato) perché verranno accorpati; e questi da soli fanno la maggioranza di quelle poltrone, oltre tutto con costi di bassissima rilevanza. La stessa riduzione degli stipendi di senatori, parlamentari, consiglieri regionali e giù a scendere, è giustissima, ma la quota complessiva di risparmio sarà di qualche centinaio di milioni di euro, ben poca cosa a fronte dei 45 miliardi aggiuntivi di manovra nei due anni, 2012 e 2013. Allora penso che dovremmo respingere una manovra qualunquista di natura fascista: seppellire sotto le urla per la punizione della casta (come hanno già fatto i corifei della stampa di destra) le critiche di fondo a una manovra che colpisce ben altro, cioè i diritti e la condizione sociale dei ceti popolari e medi. Non vorrei che a queste urla si associassero, come è già successo in altre occasioni, i simpatizzanti grillini.


La seconda. Le tasse aggiuntive per la parte di reddito eccedente i 90.000 euro (5%) o i 150.000 euro (10%), ipocritamente chiamate da B contributi di solidarietà, sono una misura che vede ridotta la sua potenziale utilità (e soprattutto la sua valenza politica) perché non è stata prevista nessuna patrimoniale. Ricordate la polemica sull’ICI? Abolita su tutta la proprietà, mentre la misura giusta e equa sarebbe stata (in qualche modo ci aveva provato il governo di centrosinistra) quella di toglierla solo sull’unica casa di proprietà. Siamo un paese nel quale una piccola minoranza possiede quasi la metà del patrimonio e della ricchezza nazionale e nel quale la differenza fra ricchi e poveri si è aggravata nell’ultimo decennio, con uno spostamento enorme di reddito dal basso verso l’alto. E quindi la patrimoniale è l’unica misura che può avviare un riequilibrio fra redditi e cittadini. Per questo non hanno voluto farlo, per questo anche l’opposizione parlamentare è quasi silenziosa. Eppure basterebbe appostare qualche finanziere nelle banche luganesi! Sempre La7 ha dato notizia che lì non ci sono più cassette di sicurezza da affittare, figuriamoci nei paradisi fiscali!
La terza. Si continua a parlare di 240 miliardi di euro sottratti annualmente al fisco con l’evasione. La manovra biennale costa qualcosa più di 70 miliardi. Allora? Vogliamo introdurre pene certe e immediate per i grandi evasori (discutiamo pure che cosa si debba intendere per “grandi”)? Vogliamo fare in modo che per ogni evasore che mettiamo in galera facciamo uscire due immigrati o due imputati in attesa di giudizio?
La quarta. Al di là della fine del federalismo fiscale (come dice persino un destro come Formigoni), i mancati trasferimenti agli enti locali (se non ho capito male, qualcosa come 9 miliardi di euro) apriranno catastrofi sociali nei servizi rivolti ai cittadini, a cominciare come sempre dai meno abbienti. E non si capisce come possano permettersi di dire che sanità e istruzione non saranno toccate (ancora!).
La quinta. Forse la più grave, se così si può dire. Abolizione di fatto dell’articolo 41 della Costituzione (vale la pena di riscriverlo: “L’iniziativa economica privata è libera. Non può svolgersi in contrasto con l’utilità sociale o in modo da arrecare danno alla sicurezza, alla libertà, alla dignità umana. La legge determina i programmi e i controlli opportuni perché l’attività economica pubblica e privata possa essere indirizzata e coordinata a fini sociali.”) Attacchi alla contrattazione, ai diritti  sindacali, alla sicurezza. Libertà di licenziamento.
Intanto la borsa di Milano recupera. Si sono accorti che forse era meglio impedire che si potessero vendere titoli senza possederli (cosa per altro sempre avvenuta). E nonostante il divieto ha recuperato. Ma lì non si produce nulla. Lì c’è la finanza, bellezza. Quella cosa che non c’entra niente con il lavoro, con l’intelligenza, con la passione, con il merito. E quindi va bene così. Finché dura. Finché la facciamo durare.
Adesso La7 ha fatto partire il film. Buona visione!