lunedì 31 gennaio 2011

FEDERALISMO DA BARZELLETTA

“Il forestiero che arriva, sedotto dalla bellezza delle fresche e profonde vallate che lo circondano, s’immagina dapprima che gli abitanti siano sensibili al bello; e in verità essi parlano anche troppo della bellezza del loro paese, non si può negare che ne facciano gran conto; ma è perché questa bellezza attira dei forestieri, il cui denaro arricchisce gli albergatori, la qual cosa, attraverso il meccanismo del dazio, rende alla città.” E anche al signor di Renal, aggiungiamo noi.
E’ un breve brano de Il Rosso e il Nero, di Henry Beyle, meglio noto come Stendhal, che ci introduce alla cittadina, tra il reale e il fantastico, di Verrières, nella Franca Contea, il cui sindaco (il signor di Renal, appunto) utilizza quel dazio per abbellire la parte di città più vicina alle sue proprietà. Il romanzo è del 1830 (per non correre rischi e fastidi per possibili accostamenti con la seconda rivoluzione e la caduta di Carlo X, Stendhal lo retrodatò al 1828), ma ho voluto ricordare quel meccanismo del dazio perché induce a pensare che, con l’introduzione della “tassa di soggiorno”, siamo tornati indietro non di uno ma di due secoli.
Veniamo all’oggi. Questa tassa sta dentro le illogicità degli articoli e degli emendamenti proposti a proposito di federalismo fiscale e dovrebbe permettere di aiutare i bilanci dei Comuni che saranno penalizzati dal mancato trasferimento di fondi statali. E’ evidente la disparità che una simile norma potrebbe introdurre fra Comuni “belli” e Comuni meno ricchi di bellezze naturali e artistiche, e quindi meno capaci di attrarre forestieri danarosi. Ma ancora più grave è che, con tali norme, si finirà per considerare le bellezze naturali e artistiche di questo nostro Paese (sperando sempre che Bondi non aggravi la situazione) non patrimonio nazionale ma ricchezza locale, secondo, appunto, una illogicità aberrante.

E’ che, a questi fantasiosi elaboratori del nulla, non passa minimamente fra le tempie che basterebbe aggravare le pene per l’evasione fiscale e combatterla ancora più duramente di quanto (e meno male) stia facendo la Guardia di finanza. Facciamo due calcoli. Si dice che la tassa di soggiorno potrà essere al massimo di 5 euro al giorno. Bene, dieci milioni di turisti “forestieri”, che si fermano dieci giorni nelle varie città, fanno in tutto 500 milioni di euro, mezzo miliardo. I dati sull’evasione fiscale scoperta parlano di un quarantina di miliardi di euro, e quelli sull’evasione presunta di circa duecento miliardi all’anno. Allora, vogliamo smetterla di prenderci per il flaccido?
Seconda questione. Mi pare il caso di chiedere che vengano resi pubblici gli elenchi nominativi di quegli otto o novemila evasori totali scoperti dalla GdF nell’anno appena trascorso. Per sapere a quale imprenditore, a quale commerciante, a quale professionista non sia più il caso di rivolgersi in caso di necessità. Questione di privacy, oserebbe dire qualcuno? Se lo sentite mandatelo a quel paese, a Verrières!

Giuliano Giuliani

domenica 30 gennaio 2011

CHE SIA DAVVERO UNO SPIRAGLIO?

L’angoscia con la quale viviamo la quotidianità di questo Paese ci spinge a cercare notizie che in qualche modo possano farci intravvedere spiragli di luce.
Una di queste notizie viene, a parer mio, da una discoteca riminese, per quello che è successo dentro e fuori. Soprattutto dentro, perché fuori c’era un gruppo di civlissime/i ragazze/i (che palle con questa lingua maschista, bisognerà cercare di convincere i produttori di tastiere a fornirci un tasto composito!) che manifestavano contro le porcate degli ultimi mesi dietro uno striscione con una sola parola: Indignazione.


Dentro appunto. Ora, una discoteca non è proprio, per come la penso io, il luogo privilegiato della cultura, ma lì, per le ore piccole, quando si realizza il clou dell’evento (così dicono), avevano invitato la protagonista della telenovela del bunga bunga, la Ruby appunto. E allora, dov’è la notizia? La notizia è che è stata accolta dai pochi presenti con qualche fischio e molta indifferenza, e soprattutto che la frequentazione e l’incasso sono stati molto bassi, meno della metà dell’attesa.
Sono assolutamente indifferente al mancato guadagno del proprietario della discoteca, tanto meno a quello della finta nipote di Moubarak (questa scelta, con quello che sta succedendo, può tradire la circostanza che il capobanda di Arcore porta anche sfiga), che si è vista ridurre a un quarto il cachet concordato, oltretutto con ricevuta fiscale, almeno così pare. Ma che questo sia accaduto appunto dentro una discoteca lo considero uno di quei segnali che ci fanno andare a dormire con minore angoscia.

Giuliano Giuliani

venerdì 28 gennaio 2011

UNA BELLA PROVA

E ritorna il sereno, cantava molti anni fa Shel Shapiro, e forse, senza eccedere in ottimismo, la mattinata trascorsa può farci tornare alla mente quel simpatico ritornello. Una bella giornata di partecipazione. Anche a Genova, dove in corteo erano davvero tanti. Belle facce, pulite, facce di operai in prevalenza. Anche tanti giovani, e con loro un pezzo di città che vuole guardare avanti. Presenti anche delegazioni di partiti della sinistra, molte bandiere, persino qualche appartenente al PD (a titolo personale, ovviamente). Insomma, un bel clima, tale da farci digerire anche il numero davvero eccessivo di neopartiti comunisti, molti di costituzione recente. Nessun comizio, un lungo corteo che ha attraversato buona parte del centro. In coda i COBAS (la cui proclamazione dello sciopero generale ha permesso la partecipazione di un po’ di dipendenti pubblici) e una folta delegazione di studenti, in prevalenza universitari.


Un minuscolo gruppetto di aspiranti sottosegretari nel governo di B ha cercato di guastare la festa, con un paio di sassi, un bancomat e un tentato assalto alla sede di Confindustria. Ma questa volta, ritornando ai tempi della canzone di Shapiro, c’era un forte servizio d’ordine della FIOM, che ha vanificato l’impresa imbecille convincendoli con cortese fermezza a fare dell’altro. Bene, anche questo è un segnale positivo, perché una lotta che si annuncia dura esige una forte organizzazione che garantisca modalità adeguate agli obiettivi che ci si propone, e quindi, in primo luogo, nessuno spazio a squallide provocazioni.

Giuliano Giuliani

RECUPERARE GLI ASTENSIONISTI

Venerdì scorso più di millecinquecento persone gremivano la Sala chiamata dei portuali genovesi, numeri reali non ingigantiti con le rituali moltiplicazioni, una presenza che a Genova non si verificava da tempo. Era venuto a parlare, in altri casi si direbbe tenere un comizio, Nichi Vendola. Sì, proprio parlare, perché la sua capacità affabulatoria è indiscussa, entusiasma, attrae, colpisce, come hanno sottolineato i frequenti applausi. Fra i presenti ho potuto valutare un discreto numero di giovani, cosa rara non solo a Genova ma ovunque l’argomento abbia a che vedere con la politica. Anche questo può essere ascritto a merito del governatore della Puglia, che nella sua narrazione genovese ha inserito, vorrei dire finalmente se non dovesse suonare eccessivamente polemico, qualche elemento programmatico, in primo luogo le questioni del lavoro.
Quasi in contemporanea sono stati diffusi i risultati di un sondaggio che vedono in consistente ascesa il gradimento di Vendola e del partito di riferimento, SEL. E’ persino scontato, in quest’epoca di dominio del rettangolo, fare riferimento alle sue frequenti apparizioni televisive. Ma un dato del sondaggio credo vada guardato con grande rispetto ed attenzione: emerge che una percentuale rilevante del consenso (un quarto) proviene dall’astensione. Ci sarebbero cioè molte conferme a un’analisi che si fa da tempo e a considerazioni che non hanno ancora prodotto comportamenti conseguenti. L’astensione ha colpito quasi esclusivamente lo schieramento di sinistra e a conti fatti ha consentito che la destra, votata da non più di un terzo dei cittadini, possa sbandierare una menzogna colossale spacciandola per verità: e cioè che Silvio B. ha avuto il consenso della maggioranza degli italiani.
Ho da tempo la convinzione che, per recuperare questo distacco crescente dalla politica, occorra proporre un programma di governo leggibile e credibile, fatto di concretezza, di numeri, di come e di perché. Un programma che non citi neppure una volta i termini insignificanti e mistificatori di “riforma” e, peggio ancora, di “riformismo”, che indichi invece con precisione che cosa occorre cambiare e che cosa conservare, a cominciare dagli articoli della Costituzione, ribadendone semmai l’intangibilità e sottolineando la necessità di una piena applicazione di essi.
Insomma, l’esatto contrario di quanto si sente raccontare nei convegni MoDem. Ma che c’entra il moderatismo con la crisi morale, civile, economica, culturale di questo nostro Paese? Una crisi che esige rigore, durezza di analisi e soprattutto di energia propositiva. A chi bisogna collegarsi, con questo nuovo modem veltroniano? Al terzo polo? Si può mai pensare di recuperare i delusi dalla politica con queste operazioni da prima repubblica, il sogno del grande centro, l’alleanza col cilicio? Non dicono nulla le perdite ulteriori di consenso che colpiscono il PD, che resta tuttavia indispensabile per una vera alternativa alla destra?
Occorre lavorare per rimettere insieme quanto è possibile della sinistra, aiutare una riemersione dall’oblio della Federazione della sinistra (gli sbarramenti elettorali veltroniani hanno colto nel segno), correggere errori, liberarsi di quella parte dei gruppi dirigenti che hanno fallito e aumentare la capacità di condizionamento da sinistra del PD. Non è certo impresa facile, ma è difficile illudersi che ci siano altre strade da percorrere.

Giuliano Giuliani

martedì 25 gennaio 2011

SOMIGLIANZE

Dopo i Nummeri, Trilussa mi ha suggerito un altro accostamento con la poesiola L’opportunismo. Mi è venuto spontaneo pensare a personaggi del calibro di Casini e Rutelli, e comunque, a loro discolpa, devo dire che c’è ben di peggio. Credo che neanche Trilussa possa aver scritto qualcosa da accostare ai servi più noti come il craxiano Sacconi (è riuscito persino a dire che la presidente di Confindustria ha elogiato il governo e che il presidente della CEI ha benedetto B!), o il viscido, già radicale, Capezzone, o l’ex lottatore continuo direttore del TGCom (tg delle comiche), o l’ululante sgarbato. Si è salvata, nel gruppo, la cantante: invitata da B a lasciare lo studio dell’Infedele è rimasta seduta al suo posto. Penso che avrà provato ribrezzo nel correre il rischio di essere paragonata alla Santanchè.
E adesso, a voi Trilussa.

Ner mejo de la lotta
fra li Sorci e l’Uccelli,
ce fu la Lega de li Pipistrelli
che s’ariunì d’urgenza in una grotta.
– E noi che famo? – chiese er Presidente,
che pe’ paura d’esse compromesso
era rimasto sempre indipendente –
er sorcio, ne convengo, c’è parente,
ma dell’uccello se po’ di’ l’istesso. –

Un Pipistrello, che parlava in nome
der gruppo de le Nottole, rispose:
       Prima vedemo come
se mettono le cose.
La vecchia tradizione der partito
c’insegna de decide l’intervento
all’urtimo momento,
quanno tutto è finito.
Pe’ questo aspetterei
che se formi er corteo der vincitore
per imboccasse, senza fa’ rumore,
framezzo a le bandiere e a li trofei.
Io, infatti, da che vivo,
ogni tre mesi cambio distintivo
e vado appresso a tutti li cortei.

Buona rilettura

Giuliano Giuliani

lunedì 24 gennaio 2011

TROPPI ZERI

Carlo Alberto Salustri, meglio noto come Trilussa (anagramma del cognome), non è stato certo un fervente democratico, tanto meno uno di sinistra. Durante il fascismo il suo umorismo, del resto come altri, si adagiò nel meno compromettente qualunquismo. Tuttavia, gli orrori della guerra risvegliarono anche in lui la voglia di colpire nel segno: lo fece infatti in una delle sue ultime poesie, intitolata Nummeri, del 1944. Ve la ripropongo qui di seguito.

Conterò poco, è vero:
diceva l’Uno ar Zero,
ma tu che vali? Gnente: propio gnente.
Sia nell’azzione come ner pensiero
rimani un coso voto e inconcrudente.
Io, invece, se me metto a capofila
de cinque zeri tale e quale a te,
lo sai quanto divento? Centomila.
È questione de nummeri. A un dipresso
è quello che succede ar dittatore
che cresce de potenza e de valore
più so’ li zeri che je vanno appresso.

Che ne dite, non è lo specchio dell’Italia di oggi e degli ultimi diciassette anni? Cerchiamo di leggere questa poesia di Trilussa a un po’ di zeri, non si fatica a trovarli.

Giuliano Giuliani

sabato 22 gennaio 2011

TANTA MUFFA E UNA BUONA NOTIZIA

Riordinando i libri negli scaffali mi è capitato fra le mani un testo di Paul Sweezy, Il presente come storia. E’ un testo del 1953, che ha avuto successive edizioni, ed è apparso in Italia nel 1962, edito dalla Einaudi, che allora non era ancora diventata di proprietà del capobanda. Nel capitolo dedicato alle élite del potere, l’autore commenta un libro di un professore della Columbia University e ne cita alcuni passi. Uno è questo: “L’idea che il milionario non incontri altro che noia e vuoto al vertice della società, che i ricchi non sappiano che farsi del loro danaro, che la gente cui arride il successo s’inzeppi di futilità, che siano tanto ricchi quanto tapini; insomma l’idea del ricco sconsolato è sostanzialmente un’illusione con la quale i non ricchi si riconciliano con la loro condizione”. E più avanti: “i ricchi e i potenti hanno ogni interesse a creare le celebrità, in parte perché costituiscono un buon affare, e in parte per distrarre l’attenzione della popolazione subalterna da cose più serie”.
C’è poco da aggiungere, con riferimento a quanto è successo da noi e continua a succedere con modalità sempre più gravi.
Sweezy cambia “élite del potere” in “classe dominante”. Ma oggi anche questa terminologia appare inadeguata. E non perché non esista un dominio di classe sempre più accentuato (se non fosse così non si capirebbe l’arroganza di Marchionne), ma perché il termine “classe” è troppo elogiativo nei confronti di questo ciarpame. Bastava osservare un servizio trasmesso dal TG3. B, consuetudine sempre più frequente in questi giorni, ha telefonato a una riunione di ex socialisti per ripetere ancora una volta le sue truci banalità. Sul palco un pezzo della sua corte: Cicchitto, Alfano, Quagliarello ed altri meno tristemente noti: facce ammuffite, speculari a quelle di una platea di ridotte proporzioni (e ciononostante con molte poltroncine vuote), età media elevata (d’altra parte era un convegno di ex), applausi di circostanza. Una pena, se non prevalesse il disgusto.
E’ stata una giornata negativa per gli eredi del craxismo. Anche la figlia del latitante ha dovuto abbandonare la piazza dove si teneva una cerimonia di intitolazione di una via e proseguirla al chiuso. Ma anche per i berlusconiani che provengono da CL. Intervistato dal TG3, Formigoni ne ha dette di tutti i colori: 1) che quella militante del PdL (poverina), che ha osato dissentire e chiedere le dimissioni della igienista dentale, non era (o “non è più”) nel partito del predellino, cioè è stata cacciata all’istante; 2) che la magistratura deve lavorare (sottolinea che questa volta lo dice pure lui) e che soltanto alla fine si potrà sapere se l’igienista ha torto; 3) che il capo ha tutte le ragioni per difendersi. Insomma, sembra che abbia deciso di modificare le sue origini, e che la sua sigla di appartenenza ideale oggi sia diventata CF, comunione e fornicazione. Non poteva mancare l’insorgere di Marina. Saviano ha dedicato ai magistrati milanesi la laurea ad honorem che gli hanno consegnato a Genova, e la figlia del capobanda ha gridato vergogna, a dimostrazione che i valori della famiglia sono alti e intoccabili.

La buona notizia di oggi è la sentenza della Cassazione che ha confermato in via definitiva la colpevolezza, con relativi sette anni di galera, per Totò vasa-vasa. Non ho ascoltato commenti di Casini (Cuffaro è un senatore, decaduto, UDC). Dovrebbe invece fare attenzione Veltroni, che a Torino, al convegno MoDem (il “collegamento” al moderatismo è un’ossessione), ripropone un centro-sinistra penzolante a destra con il terzo polo. E’ proprio sicuro che là dentro non si annidino altri Cuffaro, Calearo, Scilipoti, e via elencando?

Giuliano Giuliani

venerdì 21 gennaio 2011

UN RIDICOLO IMPEDIMENTO

Per la prima volta (c’è sempre una prima volta), facendo zapping per vedere che cosa mandavano in onda le varie reti, mi è capitato questa mattina di apprendere il sommario delle notizie trasmesse dal TG4. Fra queste, l’informazione che ai funerali dell’alpino ucciso in Afghanistan erano presenti “le alte autorità”. Ohibò, mi sono detto: possibile che il TG del principale servo del capobanda non ne citi, con inchino di accompagnamento, nome, cognome e qualifica? Deve esserci sotto qualcosa. E infatti c’era. O meglio, non c’era proprio, parlando del capobanda. C’era invece la giustificazione, l’impedimento appunto. Non poteva presenziare ai funerali perché terribilmente e tenacemente impegnato a risolvere i problemi aperti sul federalismo, visto che le opposizioni e i comuni italiani (tutti i comuni, compresi quelli amministrati dagli amici del capobanda) hanno giudicato molto male il relativo decreto del governo, chiedendone forti e motivate modifiche e rinvio di almeno sei mesi della decisione.


Ora, c’è qualche imbecille che può davvero credere che B abbia cognizione della questione federalista abbastanza complicata e che ci metta tutto il suo impegno per affrontarla? E che la mattinata non sia stata invece impiegata per trovare una nuova fidanzata; parlare con i suoi avvocati per vedere come rimandare al mittente le richieste dei magistrati; mandare alla Santanchè la promessa di un ministero per ringraziarla delle sguaiate prestazioni orali ad Annozero; rispondere alle proteste dell’amministratore del condominio dell’Olgettina che vuole cacciare le ragazze per via del disturbo recato agli abitanti; e altri impegni nazionali e internazionali del genere? No, non è andato ai funerali perché insieme alle alte autorità c’erano anche rappresentanti vaticani di alto livello. E B si sarebbe trovato forse a disagio, perché anche oltre Tevere hanno cominciato a dire qualcosa. Persino il papa, anche se con una prudenza che travalica la consuetudine: “indebolimento della percezione dei principi etici”. D’altra parte è giusto non pretendere che da quel pulpito si usino le parolacce o il linguaggio pesante che caratterizza i componenti del governo.
Proprio per questo sarebbe il caso che, con la nota circospezione, il papa prendesse le distanze dalle difese di cui si è resa protagonista la becera sottosegretaria, che ha addirittura abbandonato anzi tempo la trasmissione quando Vauro offriva le sue sempre esilaranti vignette. Insomma, essere difesi dalla Santanchè dovrebbe essere considerato da chiunque, figuriamoci dal papa, una offesa insopportabile.

Giuliano Giuliani

mercoledì 19 gennaio 2011

FACCIAMO TORNARE L’UMANITÀ

Nella trasmissione Le Storie – Diario italiano, che va in onda all’ora di pranzo su RAI3, Corrado Augias ha presentato oggi L’ira di Remo Bodei, commentandolo in studio con l’autore,.
Mi ha molto colpito un’immagine colta tra i ricordi del libro: un marine di colore, entrato ad Auschwitz con le truppe americane, si è messo ad urlare con una veemenza inaudita tutto il suo dolore e il suo raccapriccio. Qualcuno ha avuto la grande intuizione di commentare: “Ecco, è tornata l’umanità!”.
Nessun parallelismo, per carità, ma penso che sia utile mettersi a gridare, almeno in qualche occasione. E che sia utile farlo in tanti, tutti insieme, all’unisono o alternandosi, con quelle spontanee regie che si creano anche quando si è in tanti perché rappresentano anch’esse l’espandersi di una forte condivisione, di un comune sentire, di una necessità avvertita.


Avremo fra qualche giorno una importante occasione: il 28 gennaio, fin dal mattino, unendoci allo sciopero proclamato dalla FIOM. C’è da rivendicare la dignità dimostrata dai tanti operai di Mirafiori; il diritto al lavoro senza ricatti vergognosi; un salario che consenta almeno di sopravvivere (adesso si riempiono la bocca di ciò che è in vigore in molte fabbriche tedesche, quelle stesse che hanno mandato a quel paese Marchionne e le sue innovazioni contrattuali); la necessità di garantire il diritto alla rappresentanza nei luoghi di lavoro. Tutti obiettivi che possono, anzi devono, essere ricompresi in un’unica, semplice, ma insieme grande e complicata finalità: la piena applicazione della Costituzione in ogni aspetto della nostra vita quotidiana.
Semplice, perché si tratta di rispettare la legge fondamentale; grande e complicata, perché questa destra balorda e oscena quella legge l’ha già violata più volte e proprio nei suoi cardini.
Essere in tanti, il 28 gennaio. Lavoriamo perché anche visivamente, nelle piazze, risulti chiara un’unità di popolo, a cominciare dai soggetti più presenti oggi sulla scena della riscossa civile: lavoratori, studenti, precari, mondo della ricerca. E gridiamo forte. Perché un urlo capace di rivendicare dignità e cultura è molto più efficace di un sasso: colpisce nei sentimenti e nella ragione. Può far tornare l’umanità.

Giuliano Giuliani



martedì 18 gennaio 2011

COSA NON SI FA PER L’OTTO!

Qualche giorno fa un giovane amico mi ha offerto una sottilissima e cattivissima interpretazione dell’invito papale rivolto ai genitori: date ai vostri figli nomi italiani. Il miglior nome a cui avrà pensato il papa, ha commentato quel mio amico, è Otto, nel senso, ovviamente, dell’Otto per mille.
Ecco, il titolo di questa nota andrebbe corretto: COSA SI FA PER L’OTTO. Cioè, si tace. Sì, un silenzio assordante quello della gerarchia, e non solo, sulle recenti oscenità del capobanda di Arcore. Silenzio che si può comprendere solo come scambio. E non solo per l’otto per mille.
D’altra parte lo aveva capito bene Costantino già millesettecento anni fa, che andare d’accordo con la chiesa crescente poteva garantire il potere. E quel groviglio di interessi e di scambi si è fatto nei secoli sempre più intrecciato: dominio delle coscienze e dominio degli interessi assolutamente materiali, che sulle coscienze finiscono con il prevalere quasi sempre.
Certo, con l’otto per mille pubblicizzano che si fanno tante opere di bene meritorie, poi si scopre che quasi l’80 per cento dell’immenso gettito è destinato al mantenimento della struttura. E la struttura serve, con la complicità del potere, per garantire che leggi assolutamente degne di un paese civile, come l’aborto e il divorzio, possano essere messe in discussione (tranne la fornitura eucaristica al capobanda), e che altre leggi altrettanto degne, come il fine vita, la procreazione assistita o la ricerca sulle e con le staminali, vengano ostacolate, impedite o combattute con tutti i mezzi. Alimentando vere e proprie campagne di consenso verso la peggior coalizione della storia repubblicana e mantenendo una parte dei cittadini in una condizione di oppressione psicologica che nulla ha a che vedere con una fede legittima.
E questo è il punto. La grande stagione dell’illuminismo, e poi quei grandi pensatori che ci hanno ben spiegato come la religione sia l’oppio dei popoli, hanno provato a rimettere, sia pure con qualche forzatura, le cose in equilibrio. Ma resta la considerazione che il vivere la fede con onestà razionale, come molti amici credenti mi dimostrano, e non come effetto di un pagano feticismo, dovrebbe far emergere indignazione non solo per le porcherie di Arcore ma anche, e forse persino di più, per il silenzio della gerarchia. Insomma, non si può accusare di omicidio una madre abortista o un ricercatore su una cellula e poi bersi una serata di bunga-bunga.

Giuliano Giuliani

P.S. L'Osservatore romano continua a tacere, mentre il giornale dei vescovi, l'Avvenire, ha sollevato il problema. Meglio che niente.

lunedì 17 gennaio 2011

POVERA ITALIA!

Commentando le vicende che riguardano sempre più oscenamente il capobanda, il Financial Times ha scritto che “l’Italia si merita altro”. Si tratta di uno dei più autorevoli giornali internazionali che si occupa di finanza, cioè di un mondo che ha pochi rapporti con gli anarcoinsurrezionalisti, per dire che è difficile riuscire a cogliere una ostilità (per quanto più che comprensibile) preconcetta. Ha tuttavia il pregio di essere, appunto, un giornale, cioè un mezzo di informazione, che pubblica le notizie e che, sulla base delle notizie fornite ai lettori, si permette di aggiungere qualche commento riassumendolo, come in questo caso, nelle titolazioni.
Sì, l’Italia non si merita questo sconcio.
Una ulteriore dimostrazione del basso livello al quale siamo giunti viene da un’altra notizia: le Terme di Fiuggi potrebbero essere acquistate da uno dei grandi amiconi del losco individuo di Arcore, cioè da Gheddafi. Durante l’insultante, recente visita del dittatorello libico a Roma, condita da tende e da centinaia di povere ragazze, ai ricevimenti era presente anche il sindaco di Fiuggi, forse, ma è da approfondire, per trattare i dettagli della compravendita. Che il capobanda, in ogni caso, potesse fare da mediatore è davvero difficile non sospettarlo.
A sentire i commenti di alcuni abitanti di Fiuggi, che il TG3 ha intervistato, lo sconforto cresce. Perché alcuni di questi esibivano pieno consenso all’operazione. Ora, siamo in regime di libero mercato, purtroppo (purtroppo perché troppo libero, senza regole, e non in grado quindi di riconoscere il merito ma solo di affossare i deboli e di cancellare i diritti delle persone normodotate). Ma è possibile arrivare a questi punti? Possibile che ci siano cittadini così rincretiniti da 16 anni di berlusconismo da non riconoscere più la decenza, la dignità di un Paese, di non distinguere più l’onestà dal marcio? Colpa della TV, del crollo della cultura, di una informazione venduta al potere? Certo, ma colpa anche nostra, che facciamo troppo poco per far rivivere, anche nel nostro tran tran quotidiano, quei valori.
Che facciamo troppo poco per cercare di suscitare negli altri, con una ritrovata capacità di dialogo e di rapporto, come si faceva una volta, la voglia di riscatto e di cambiamento.

Giuliano Giuliani

domenica 16 gennaio 2011

DUE PERSONE PER BENE

Ieri sera Maurizio Landini a Che tempo che fa, oggi Susanna Camusso a In mezz’ora: due persone per bene, due dirigenti sindacali che offrono credito e sollecitano rispetto per l’organizzazione che rappresentano. E ottimi messaggi per la politica che, se facesse propri i loro suggerimenti e stimoli, potrebbe anche ricominciare a scriversi con la P maiuscola, come spesso mi capita di scrivere. Fra l’altro, anche una buona televisione, RAI3, che per par condicio dovrà poi ospitare purtroppo anche Bonanni (l’Annunziata ha dovuto quasi giurarglielo), ben diversa dagli altri canali pubblici che propongono come commentatore persino Sgarbi o che dedicano un’intera trasmissione per spiegarci che siccome le griffes adesso le puoi trovare anche al supermarket è segno che la moda “è diventata democratica” (e non invece che non sanno più che cosa inventarsi per fare affari e prenderci in giro!).
Riaprire la trattativa e costringere il padrone a riconoscere il diritto alla rappresentanza (su questo punto appare legittimo cercare di ottenere in Parlamento una legge, tanto più legittimo dal momento che subito il Sacconi si è dichiarato contrario: come dire, la prova che sarebbe un provvedimento ottimo).
Qualche risultato si dovrà cercare di ottenerlo anche sul piano più generale. Penso che, senza ricopiare pagine della storia passata (perché è proprio vero che tutto è cambiato e che il mondo che ci circonda è davvero diverso), si possa confidare in una nuova unità che, sul piano sociale, tenga insieme lavoratori, a cominciare proprio da quei coraggiosi operai della FIAT, giovani studenti e il mondo del precariato. Una unità che riesca a convincerci che ad essa si può solo rispondere con l’unità politica della sinistra, fondata su un progetto che, intanto, metta insieme idee e programmi che abbiano l’ambizione di rispondere ai problemi messi in primo piano dalle lotte degli studenti e degli operai della FIAT.


Intanto un esempio: come è possibile ottenere che tutta la “grande” (si fa per dire) managerialità si dedichi alla produzione e non abbia come obiettivo prioritario l’accrescimento dei (propri) risultati finanziari? Certo, riconoscendo in questa fase che il profitto ha persino una sua dignità rispetto allo sconcio delle speculazioni in borsa e delle stock option. Il ragionamento ci riporta ancora una volta alla questione fiscale, che in questa fase può davvero essere assunta come paradigma di un’azione politica che intende guardare alle grandi questioni della solidarietà, dell’uguaglianza dei diritti, della socialità, della difesa dei deboli. Vogliamo porre con forza l’obiettivo di tassare le rendite finanziarie come tutti gli altri redditi, e in primo luogo i redditi da lavoro? E finirla così con lo scandalo che il salario di un’ora di lavoro viene tassato mediamente con un aliquota del 25% mentre la rendita di un’azione o di un titolo pubblico viene tassata al 12,5%? Non sarebbe questa una strada, quella di introdurre una aliquota più alta fermo restando il diritto per ciascun contribuente di ricalcolare il dovuto nella dichiarazione dei redditi, per giungere anche a una più efficace lotta all’evasione? E a proposito di evasione, vogliamo introdurre pene severe, commisurate alla entità del danno arrecato non solo all’erario, ma a tutti i cittadini onesti e a quelli in difficoltà che proprio a causa dell’evasione vedono costantemente ridotte le proprie garanzie e tutele?
Per oggi basta così. Però parliamone.

Giuliano Giuliani



sabato 15 gennaio 2011

E’ LA DEMOCRAZIA, BELLEZZA!

Comincio dai numeri. Dei 5434 dipendenti di Mirafiori hanno votato 5119; 59 le schede bianche e nulle; voti validi, quindi, 5060, il 93,1% degli aventi diritto.
Una prima osservazione sorge spontanea. Se le forze politiche di centrosinistra avessero la capacità di chiamare una simile percentuale di cittadini al voto, probabilmente B lo avremmo mandato a casa da un bel po’ di tempo. Non è certo una novità che l’astensionismo punisce in primo luogo l’opposizione e la sinistra in particolare.


L’espressione di voto ha visto 2735 dipendenti favorevoli all’accordo (54%) e 2325 contrari (46%). Se analizziamo l’andamento del voto nei reparti (come è stato fatto con qualche errore di conteggio) abbiamo questi dati: gli operai hanno espresso 2314 Sì e 2305 No, mentre gli impiegati hanno votato in massa per il Sì (421 contro 20). Ci sono distinzioni anche nel voto operaio, perché nei reparti del montaggio (dove la riduzione delle pause ha colpito pesantemente) il No ha prevalso nettamente mentre dove esiste la possibilità del turno notturno continuativo (che accresce la busta paga per via dell’indennità) c’è stata una maggioranza di Sì. Sembra quindi che abbiamo avuto un qualche peso nella decisione di voto le condizioni materiali e contrattuali che caratterizzano la posizione lavorativa, oltre naturalmente al pesante ricatto messo in atto dal padrone.
In definitiva, il voto degli impiegati ha avuto senza dubbio un peso, ma non decisivo, perché anche fra gli operai ha finito col prevalere il Sì, anche se per soli 9 voti. Ciò nulla toglie allo straordinario risultato ottenuto dalla FIOM, che ha visto un consenso alle posizioni sostenute almeno doppio rispetto alla percentuale di iscritti. Soprattutto non toglie nulla al grande coraggio civile e politico che ha sostenuto coloro che hanno votato No.
In ogni caso, tuttavia, possono sorgere altre domande. E’ giusto che un impiegato, al quale nessuna norma aggiuntiva impedisce di usufruire della toilette più volte al giorno, decida se l’operaia e l’operaio alla catena debbano o non debbano godere di un diritto analogo? Sarebbe giusto che l’operaio e l’operaia della catena decidessero che l’impiegato debba manovrare la tastiera del computer con l’alluce del piede sinistro, perché così, intanto, con le mani sistema gli incartamenti?
E’ questo il senso del titolo di questa nota. E’ il limite della democrazia, ma non è stato ancora inventato niente di meglio, a ben vedere. Perché con tutti i limiti, con la democrazia quel risultato, che oggi ha visto prevalere l’assenso mal digerito alle imposizioni del padrone, può essere ribaltato, facendo crescere ancora una coscienza dei propri diritti, una coscienza politica diffusa e condivisa. Non fermiamoci a quei 410 voti in meno (ben poca cosa rispetto ai quarantamila che segnarono la sconfitta storica della classe operaia torinese trent’anni fa), tanto meno a quei 9 voti in meno. Cerchiamo di ripartire dall’esempio storico e coraggioso che gli operai del montaggio ci hanno fornito. E accresciamo le nostre convinzioni.
Una nota per farlo. Lunedì andiamo a vedere l’andamento dei titoli delle due nuove società inventate da Marchionne. E’ assai probabile che saliranno, e che costui vedrà aumentare ancora il profitto delle sue stock option, mentre i lavoratori di Mirafiori andranno in cassa integrazione, con congrua riduzione delle loro opzioni di sopravvivenza, fino a dicembre 2011. Per convincerci che si dovrà fare molto per riempire la democrazia di clausole di uguaglianza.

Giuliano Giuliani 


venerdì 14 gennaio 2011

SIAMO ALLA FRUTTA

A Genova, in Prefettura, è stato rinnovato il bagno dell’appartamento del prefetto e costruita una veranda sul tetto del palazzo cinquecentesco che ospita la rappresentanza governativa. Maggior decoro e gradevolezza, pare siano state le giustificazioni. Sì, perché l’allarme è stato sollevato (persino Maroni ha drizzato le orecchie e spalancato gli occhi) dal costo dei due interventi: si parla di duecentomila euro, il salario mensile di duecento operai che votano sull’ultimatum del padrone, come è di moda ricordare di questi tempi.
Il prefetto di Genova si chiama Francesco Musolino. Nulla a che vedere, ovviamente, con Giuseppe Musolino, meglio noto come “u rre dill'Asprumunti”, un brigante insomma. Le uniche affinità sono il cognome e la provenienza territoriale.


Tuttavia, il prefetto è il rappresentante del governo sul territorio provinciale. In questo caso ha il triste onere di essere il rappresentante del possibile puttaniere di Arcore (vedi il recente fascicolo aperto sul caso Ruby). E quindi un cesso d’oro e una verandina da “bellu vede” possono rappresentare la normalità. Ma sollevare ugualmente almeno qualche perplessità.

Giuliano Giuliani



giovedì 13 gennaio 2011

CHE GIORNATE!

Siamo un po’ con la palpitazione in attesa di come uscirà il verdetto dalle urne di Mirafiori. Troviamo però il tempo di occuparci di quanto è accaduto oggi.

1) La Corte ha di fatto bocciato il lodo Alfano. Dico di fatto perché commentatori seri (non mavalà Ghedini quindi, o altri della banda) ci hanno spiegato che il rilievo della Corte rimette B nella condizione di qualunque altro cittadino (si fa per dire), che può non presentarsi davanti al giudice se ha un legittimo impedimento, come già ampiamente previsto dalla giurisdizione. Se hai la febbre per l’influenza puoi non presentarti. Non vale cioè per la carica che ricopri (ignobilmente!) ma per un impedimento che il giudice possa considerare legittimo. Qundi, di fatto, bocciatura di quello che era il vero spirito del lodo Alfano: impedire che B si presentasse davanti al giudice non perché legittimamente impedito, ma appunto perché B.


In un recente passato, la Corte ha bocciato il primo lodo, quello Schifani, che aveva lo stesso obbiettivo osceno di quello Alfano. Mi permetto qui un’osservazione che non ho ancora sentito fare: le due sentenze mettono questo povero Paese in una condizione singolare. Quale? Eccola: gli italiani hanno la seconda carica dello Stato (per l’appunto il presidente del Senato) e il ministro della Giustizia che hanno agito in palese contrasto con la Costituzione, cioè sono fuori della legge, della legalità. Ce li dobbiamo tenere? Pensiamo che possa succedere in qualunque altro paese che non sia uno degli staterelli dove B ha le sue residenze private?


2) In casa PD ci sono state le dimissioni dagli incarichi di Fioroni e Gentiloni, e l’annuncio di un voto contrario da parte dei veltroniani, preludio a spaccature ulteriori. Tutto rientrato in estremis, ad eccezione della uscita dalla sala dove si svolgeva la direzione, dell’ex rottamatore sindaco di Firenze. Peccato, poteva essere, se tutto fosse stato confermato, di un avvenimento da salutare con qualche speranza, e cioè che il principale partito di opposizione cominciasse a fare un po’ di chiarezza (o pulizia, se si preferisce) rispetto alla propria linea. L’uscita di qualche ex democristiano ancora legato al peggio di quella esperienza, o di qualche new entry di cui proprio non ci si segnala la necessità. Vedremo nel prosieguo. Certo è che autorevoli commenti hanno colpito nel segno. Segnalo fra tutti quello del direttore della Stampa Marcello Sorgi. Ha detto che nel PD c’è uno scontro simile a quello che c’è stato nel PdL, e che Veltroni è come Fini e Bersani come Berlusconi. Difficile decidere a chi dei due sia stata rivolta l’offesa più grave!

Giuliano Giuliani

martedì 11 gennaio 2011

OFFESE AL PAESE

Brava Susanna Camusso, quell’individuo che minaccia di portare la fabbrica negli USA, se dovesse vincere il NO, offende il Paese. Prima ancora di quel padrone schiavista, il Paese lo offende il peggior governo della Repubblica: tace, non si permette di sollevare neppure un dubbio sulla punteggiatura delle frasi di Marchionne. Peggio, quando parla, parla per bocca di uno dei suoi ministri più scandalosi, quel Sacconi che non perde occasione per ricordarci quali guasti, compresa la sua oscena presenza, ha prodotto il craxismo.
L’opposizione parlamentare langue. Il Ferdy è pronto a votare il meno peggio e intanto si schiera senza indugio dalla parte di Bonanni, cioè di Marchionne. Alla faccia degli illusi che hanno guardato a Casini e al terzo polo come a qualcosa di quasi serio. Nel PD continuano a levarsi le pacate riflessioni dei Fassino, Chiamparino, Veltroni, tutte, nei fatti, favorevoli al marchionismo. Perché è vero che sollevano dubbi (Ichino non ha neppure questi) sulla esclusione della FIOM dalla rappresentanza sindacale se vince il SÌ, ma sulla brutalità del ricatto non battono ciglio.
Se qualcuno ha ancora dubbi sulla necessità della sinistra in Italia se li faccia passare. Se qualcuno ha ancora in mente le grillate del tutti uguali dovrebbe cominciare a fare una seria autocritica. Altro è considerare che a sinistra c’è bisogno di serrare i ranghi, cambiare i gruppi dirigenti dove è necessario farlo, ristabilire ferree regole di moralità che informino la vita e il funzionamento dell’organizzazione, commisurare le idee e le speranze alla realtà e fare i passi giusti per modificarla, discutere seriamente di programmi e di come cercare di realizzarli invece di proseguire dispute ideologiche sempre più astruse o frazionamenti deliranti (da ultimo mi è capitato di conoscere tre esponenti del decimo partito comunista, il pcm, partito comunista maoista: ne sentivamo un impellente bisogno, viste le condizioni nelle quali vivono gli operai cinesi).
Il 28 gennaio le manifestazioni della FIOM ci saranno in varie piazze italiane. Cerchiamo intanto di riempire quelle.

Giuliano Giuliani

domenica 9 gennaio 2011

TENIAMOCI STRETTI

E’ una settimana che spaventa definire decisiva. Diciamo una delle più importanti dell’anno che si è aperto. E’ persino ovvio ricordarci perché, ma forse di ovvio, in questo nostro povero Paese, non c’è quasi più nulla. Quando ci si incontra, dal giornalaio (perché gente come noi ha ancora il difetto di leggere un giornale) o alla fermata dell’autobus (perché se possiamo, soprattutto per via dei parcheggi, lasciamo l’auto dove sta) o dal besagnino (perché continuiamo a sperare che il clementino non sia prodotto in laboratorio), ce lo ripetiamo spesso: se qualcuno vent’anni fa ci  avesse detto che saremmo arrivati a questo punto avremmo chiamato la Croce rossa.
E invece è successo. E può anche darsi che non sia finita, perché, come si dice, al peggio non c’è mai fine, anche se un bel tratto lo abbiamo fatto.

Allora. Venerdì 14, in serata, conosceremo l’esito del referendum tra i lavoratori di Mirafiori. Dopo l’ottimismo (“vinceremo con l’80 per cento”) i promotori del si sono fatti più prudenti, anche se l’accettazione del ricatto violento imposto dal padrone della FIAT appare come il risultato più probabile. Non se ne potrà addossare la colpa alle lavoratrici e ai lavoratori che avranno ingoiato ben altro che un rospo. Ognuno di noi è obbligato a chiedersi che cosa avrebbe fatto, ma a partire non tanto, o non soltanto, dalle proprie convinzioni ideali e politiche, ma dalle condizioni materiali proprie e della propria famiglia. Perché sta qui, ce lo hanno spiegato, la portata antidemocratica, fascista, dell’ultimatum di Marchionne. Titolavano bene qualche giorno fa l’Unità (“o la borsa o la vita”) e Liberazione (“né presente né futuro”). La colpa dovrà essere addossata esclusivamente alle scelte del padrone e al consenso esplicito che la destra al governo gli ha rappresentato. E anche alla acquiescenza con cui una parte rilevante del gruppo dirigente del PD ha risposto alle decisioni della FIAT. E’ vero che si sono levate voci contro uno degli aspetti gravi del cosiddetto nuovo contratto (l’esclusione della FIOM dalla rappresentanza sindacale), ma assolutamente debole è stata la vocina sul complesso dell’intesa firmata da CISL, UIL e consoci.
Dovremo guardarci da chi criticherà coloro che avranno votato No attribuendo loro una scelta opportunistica: mi salvo insieme la coscienza di classe e il lavoro da schiavo, perché comunque vincerà il . Niente affatto: sarà una scelta alla quale rendere la nostra gratitudine perché avrà dimostrato non soltanto coerenza (merce rara di questi tempi) ma soprattutto un grande coraggio civile e democratico. Un punto fermo nella necessità di ricostruire un fronte dal quale guardare a una possibile rinascita, quello di una sinistra capace di proporre una politica che parta dai problemi reali del Paese.

Allora. Giovedì 13, forse in serata, o forse già nel pomeriggio, conosceremo, sempre che non ci sia un altro rinvio, la decisione della suprema Corte sul legittimo impedimento. Sapremo cioè se ha ancora valore la frase scritta sulle pareti dei tribunali italiani (“la legge è uguale per tutti”) e se può avere ancora ragione Platone (la salvezza della città, spiegava agli ateniesi, si ha “dove la legge è signora dei governanti e i governanti sono i suoi schiavi”). Insomma, se l’attuale despota può essere processato per qualcuno dei suoi crimini o se invece deve essere considerato di fatto impunibile.
Non v’è dubbio che la decisione avrà ricadute sulla precaria situazione politica del Paese, sulle possibili elezioni anticipate, sulle difficoltà che dovremo incontrare, sul rischio che liberarsi di B non significhi affatto sconfiggere quella tara gigantesca che si è diffusa nel Paese, il berlusconismo. Ma riguarderà, appunto, una condizione assai precaria della politica.
Per questa ragione, in queste note, non ho rispettato il calendario. Perché la sconfitta del berlusconismo, al di là della sorte di B, potrà dipendere da quello che risulterà dalle urne di Mirafiori, da come sapremo raccogliere quella lezione, da quanto si riuscirà a pensare, elaborare, costruire, partendo da quella esperienza, dalle scelte politiche che ognuno di noi saprà proporsi e proporre agli altri.

Giuliano Giuliani

venerdì 7 gennaio 2011

La straordinaria attualità di Berlinguer

Riordinando la biblioteca mi è capitato tra le mani un volumetto con la relazione di Enrico Berlinguer al XIII congresso del PCI (13 marzo 1972). Mi è parso doveroso rendervi partecipi di qualche riga.

“L’attuale crisi di valori ideali e morali può essere sanata soltanto superando l’assurdo disordine, prodotto dello sviluppo capitalistico e di venticinque anni di governi conservatori, per costruire un ordine civile e democratico, libero e giusto.
I princìpi a cui ci ispiriamo, il rigore e la serietà che hanno sempre caratterizzato la politica e l’azione dei comunisti ci consentono di dare un nostro contributo allo sforzo di tutti gli italiani che vogliono trovare una via d’uscita anche dall’attuale crisi ideale e morale. Non è così, d’altronde, che Antonio Gramsci ci ha insegnato a concepire e a far vivere il partito? ‘Il moderno Principe deve e non può non essere il banditore e l’organizzatore di una riforma intellettuale e morale, ciò che poi significa creare il terreno per un ulteriore sviluppo della volontà collettiva nazionale popolare verso il compimento di una forma superiore e totale di civiltà moderna.’
Ciò vuol dire, nell’Italia di oggi, affrontare in tutta la loro portata, anche ideale, grandi questioni come quelle della scuola, della condizione femminile, della famiglia, del mondo cattolico e del modo come noi interveniamo con una posizione nostra nel suo attuale travaglio.
La crisi della scuola, giunta spesso a fenomeni di vera e propria disgregazione, è davanti a tutti: come penuria di attrezzature materiali, come arretratezza di contenuti e metodi didattici, come palestra di formazione civica e democratica, come possibilità per tutti di accesso all’istruzione. Sta qui l’origine dei movimenti studenteschi che sono ormai divenuti una forza accusatrice ed un dato permanente della vita italiana.”

E qualche pagina prima.

“Indigna l’infame, martellante campagna di calunnie tendente a rappresentare i movimenti di questi anni come una selvaggia esplosione di anarchismo, di disordine, di cieca violenza. Quale vergognoso rovesciamento della verità! Dietro l’asprezza delle lotte c’è prima di tutto un carico immenso di sacrifici, di ingiustizie, di dolori, c’è questo semplice fatto: che per vent’anni tutto il peso delle trasformazioni avvenute nella società italiana è stato riversato sulle spalle dei lavoratori e delle masse povere. Esse quindi sgorgano da esigenze insopprimibili di giustizia, di libertà, di progresso.”

Che dire? Soltanto: buona rilettura!