lunedì 30 aprile 2012

COSE DI IERI E DI OGGI


“In una città così grande e così corrotta, non era stato difficile a (…) raccogliersi attorno tutti i dissipati e i criminali e farne, si può dire, la sua guardia del corpo. Non c’era degenerato, adultero, puttaniere, scialacquatore del patrimonio al gioco, al bordello, a tavola, non c’era uno indebitato fino al collo per riscattarsi dall’infamia o dal delitto, non un parricida, un sacrilego d’ogni paese, condannato o in attesa di giudizio, non uno di quei sicari e spergiuri che prosperano sul sangue dei cittadini, non c’era infine che non fosse dei suoi. E se capitava a qualcuno, ancora immune da colpe, d’entrare nel giro, i rapporti quotidiani, le tentazioni, ben presto lo facevano diventare come gli altri”.


Sembra proprio cronaca recentissima, la descrizione di un potente del quale paghiamo tragiche conseguenze. Somiglia soltanto, anche se moltissimo. Ma si riferisce a un personaggio di più di duemila anni fa: i puntini fra parentesi stanno per Catilina, l’autore è Sallustio e il testo è, appunto, “La congiura di Catilina”.
La citazione, tuttavia, non serve soltanto a indurre la considerazione che una costante della storia è la sua ripetibilità, o la riflessione che, in fondo, duemila anni sono solo una breve parentesi. O ancora, che in duemila anni non si sia ancora riusciti a creare opportuni anticorpi per evitare che simili individui possano calcare le scene del potere. No, da quelle pagine esce anche una amara verità: l’uso spregiudicato della cultura, dell’informazione, il danno che uomini del sapere come Sallustio, proni al servizio dei potenti e dei ricchi, hanno procurato alla società. Catilina non era affatto quello descritto, nonostante tutti i difetti che gli si possono attribuire pensava di sconfiggere e di abbattere il potere del privilegio dal quale derivava tutto il malessere sociale che Sallustio attribuisce ai seguaci di Catilina.
Quanti sono i Sallustio di oggi? Tanti, purtroppo, dai più sfacciati e indegni a quelli più subdoli, e quindi ancora più pericolosi, perché accattivanti, simpaticoni diciamo oggi.
Una nota a margine. Ho letto “La congiura di Catilina” in uno dei libretti con testo a fronte che accompagnano il “Corriere della sera”. E’ una delle rarissime operazioni serie di quel giornale: nonostante, a volte, le asfissianti quanto inutili prefazioni dei vari Mieli e Battista, offre la possibilità di riaffacciarsi al latino e al greco e soprattutto di recuperare letture che i tempi della scuola, e soprattutto della società, ci avevano costretto a tralasciare.

sabato 28 aprile 2012

LA RICCHEZZA E’ UN REATO


A volte mi capita di ricordare che il non essere credente non mi impedisce di nutrire grande rispetto e stima per l’uomo Gesù, al quale le offese provengono invece numerose dai suoi cosiddetti fedeli. Fra le convinzioni che i messaggi di Gesù (almeno per come sono stati riportati) hanno consolidato c’è quella che riguarda la ricchezza. Ricordate, Matteo? “In verità vi dico: difficilmente un ricco entrerà nel regno dei cieli. Ve lo ripeto: è più facile che un cammello passi per la cruna di un ago, che un ricco entri nel regno dei cieli.” Secondo la tradizione, non si entra nel regno dei cieli se si è in peccato: quindi essere ricchi induce al peccato, o è di per sé un peccato. Quindi, traducendo laicamente il termine peccato, la ricchezza è un reato.


Ecco, appunto, la ricchezza è un reato. Lo è quasi sempre per le modalità con le quali se ne è venuti in possesso, oppure per come la si usa (sempre le due tipologie si intersecano e si sommano). La questione è che si tratta di un reato non previsto, ancorché sufficientemente diffuso, nel codice penale e quindi non perseguibile con gli strumenti della giustizia. Potrebbe essere colpito dalla politica e dalla democrazia, ma i governi democraticamente eletti (o demoformalmente nominati) se ne guardano bene, come fanno del resto le forze politiche che rappresentano la maggioranza degli elettori. Si può aggiungere, come postilla minore, che se ne guarda bene anche il furente demagogo che sta dominando le scene televisive: d’altra parte non lo si potrebbe pretendere da un miliardario (in lire, dato che lui stesso propone l’uscita dall’euro).
Solo una ruvida e robusta presa di coscienza da parte della cittadinanza attiva potrebbe affrontare la questione e provare a risolverla, anche senza essere costretti a cacciare i ricchi dal tempio a pedate nel sedere (e qui al tempio si possono aggiungere i tanti luoghi nei quali la sfrontata ricchezza si esercita). Ma sembra purtroppo che gli interessi delle masse, nonostante la pesantezza della crisi e le difficoltà crescenti, siano rivolti altrove (tra gli esempi, le cronache ci informano della crescente e diffusa richiesta di i-pod e tavolette elettroniche, o come diavolo si chiamano).
Certo, occorre definire la misura e la fattispecie del reato. Sul punto, basterebbe ricorrere a una semplice operazione aritmetica e alla memoria di una condizione privilegiata del secolo scorso, come è stato ricordato recentemente in relazione alle vicende Fiat: il grande capo della fabbrica torinese, Valletta, guadagnava trenta volte il salario di un operaio, e la Fiat cresceva e vendeva automobili. Oggi sarebbero circa quarantamila euro, non i 450.000 (stock option a parte) del furbetto svizzero-canadese, che la Fiat la sta distruggendo, massacrando prima di tutto i lavoratori.
Sembra troppo un rapporto 1 a 30? Via, non facciamo i soliti estremisti mai contenti. Cominciamo così, poi si vedrà. Soprattutto cerchiamo di capire che quel rapporto cancellerebbe una delle più vergognose storture di questa semidemocrazia, il fatto ciò che negli ultimi anni il 20% della ricchezza prodotta si è spostata dal 90% della popolazione per andare a finire nelle tasche del 10% più ricco, aumentando quindi le differenze e le disparità. Aumentando il numero dei reati, quindi, dovremmo dire.
Una delle strade più pacate, ma anche ferocissime contro la ricchezza, è quella della tassazione (combinata ovviamente con una rigorosissima lotta all’evasione). Le aliquote fiscali attuali, nella loro conseguenza diretta, sono da un lato massacranti e dall’altro ridicole. Il massacro sta nel modo in cui colpiscono i redditi più bassi (i veri portatori, per altro, delle entrate dello stato); il ridicolo nell’aver fissato lo scaglione più alto a 75.000 euro lordi annui e l’aliquota massima al 43%. Cioè, la cialtroneria non ha limiti: la ricchezza, per i banchieri e per chi li ha preceduti al governo, è rappresentata da un reddito lordo di circa 7 mila euro al mese, un netto poco sopra i 4 mila. Vogliamo ricordare a questi imbroglioni che i governi “comunisti” di Fanfani e Moro e ministri “trotzkisti” come Vanoni avevano stabilito un’aliquota del 75% per i redditi superiori a 500 milioni? Naturalmente tutto ciò servirebbe a ridurre le tasse sui bassi redditi e, facendo ritornare la domanda, facilitare anche la cosiddetta crescita (con tutte le cautele culturali e ambientaliste del caso).
Questo per stare dentro una logica di governo assolutamente liberal-democratica. Poi si potrebbe cominciare a discutere del resto.