venerdì 25 maggio 2012

L’IMBROGLIO DEI MERCATI (e dell’informazione)



Fra i giornali che si stampano in Italia la Repubblica non è certo il peggiore, però non può certo sottrarsi agli interessi del suo editore, che quanto a finanza non scherza. Così, giovedì scorso, titolo di prima pagina: “Crollano le borse”.


Ohibò, non è la prima volta. E allora andiamo a vedere nel merito, come sempre con i numeri, abbiate pazienza. Listini della Borsa di Milano di lunedì 21, martedì 22 e mercoledì 23, il giorno del crollo. Prendiamo qualche titolo: Benetton 4.586, 4.600, 4.582; Carige 0,657, 0.740, 0,705; Eni 15.370, 15.900, 15.340; FIAT 3,638, 3,870, 3,878; Generali 8,565, 8.875, 8,490; Impregilo (quella del ponte sullo stretto) 2,978, 3,156, 3,018; Mediobanca 2,986, 3,100, 2,960; Monte dei Paschi 0,216, 0,230, 0,213; Intesa San Paolo 1,024, 1,071, 1,024; Unicredit 2,478, 2,620, 2,536. Insomma, titoli che, dopo il rialzo di martedì, ritornano praticamente ai valori di lunedì, in alcuni casi superandoli. E’ da notare che nessun giornale - quindi neanche Repubblica - riportando mercoledì i valori borsistici di martedì avevano titolato “Boom della borsa”, neppure un timido “Lieve recupero”, come usano fare quando gli affari dei finanzieri e dei banchieri di riferimento vanno benissimo.

La questione davvero seria è che l’andamento delle borse viene assunto come prova della “fiducia” o “sfiducia” dei mercati. Ci si dimentica che, sostanzialmente, in Borsa si gioca, eufemismo per dire che si specula, e che si compra e si vende determinando con il più semplice effetto dell’incontro tra domanda e offerta il valore in quel momento del titolo, molto spesso senza nessun riferimento al valore reale dell’impresa che rappresenta (è palese il caso FIAT: nonostante i disastri e la macelleria umana di Marchionne è cresciuto anche giovedì, arrivando 4,048: ma forse è proprio per la macelleria umana che i cosiddetti mercati lo premiano). Va tenuto presente che spesso, a riprova della sostanziale logica speculativa, si vende senza possedere realmente i titoli, per far abbassare il valore e comprarli a una quota inferiore (poi ci sarebbero regole per impedirlo, ma vai ad applicarle!).
In queste operazioni girano quantità incredibili di denaro, miliardi di euro: tant’è che quando c’è un calo del valore dei titoli sui giornali scrivono a tutta pagina “Bruciati centinaia di miliardi di euro”, e si guardano bene dal dire che il giorno dopo, quando il valore risale, si sono ricomposte le ceneri.
E allora un rimedio ci sarebbe per dire basta a questi giocatori d’azzardo, a questi speculatori, a questi affamatori delle imprese oneste (qualcuna ce n’è), a questi infingardi sfruttatori della buona fede altrui: ridurre le pensioni sociali, licenziare un po’ di tempi indeterminati, aumentare la precarietà. Insomma, impedire che pensionati al minimo, precari, disoccupati e cassintegrati continuino a giocare in borsa, rovinandoci la tranquillità e mettendo a rischio la solidità del paese e dei mercati!

lunedì 21 maggio 2012

MARCO DORIA È SINDACO


Meno male che ogni tanto accade qualcosa che ti permette di respirare: Marco Doria ha vinto senza problemi il ballottaggio e farà il sindaco di Genova.


Ciò detto cerco di ragionare ancora una volta sui numeri.       

ASTENSIONE Certamente raggiunge a Genova un dato molto alto: il 61%. Ciò significa che al ballottaggio hanno votato soltanto 196.894 elettori degli oltre 500 mila aventi diritto. Ovviamente non esiste alcun problema di legittimità del voto, come sembra adombrare il perdente Musso. In ogni caso al primo turno (dove votò il 55% degli aventi diritto) le liste che sostengono Doria ebbero più del 50 per cento dei voti espressi. Può essere interessante leggere attentamente questi dati sull’astensione. Al primo turno i voti validamente espressi furono 263.849, al ballottaggio sono stati 191.329, quindi 72.520 in meno. Sommando i voti raccolti al primo turno dai candidati delle 5 stelle, della lega e delle liste fantasiose si ha un totale di 63.315. E’ assai probabile che questi elettori si siano ben guardati dall’andare a votare al ballottaggio, secondo un concetto assolutamente personalistico della democrazia: se non ci sono io, non voto!

VOTI ESPRESSI Al primo turno Doria aveva totalizzato 127.477 consensi, Musso 39.589. Al ballottaggio Doria raccoglie 114.245 voti (quindi 13.232 in meno), Musso 77.084 (quindi 37.495 in più). Ma al primo turno il candidato ultraperdente del PdL aveva totalizzato 33.468 voti, ed è assai probabile che abbiano fatto confluire il loro inutile voto sul candidato più vicino alla destra. Se fosse andata così (ed è quasi certo), Musso avrebbe raccolto altri 4.027 voti (i 37.495 di aumento meno i 33.468 del candidato del predellino).
E qui l’aritmetica fa fare un sussulto: la differenza tra gli astensionisti che si sono aggiunti e i voti raccolti al primo turno dalle stelle, dai leghisti e dai fantasiosi (cioè 72.520 meno 63.315) è 9.205. Perché il sussulto? Perché se dai 13.232 voti persi da Doria tra il primo e il secondo turno sottraiamo proprio questi 9.205 voti (immaginando che siano elettori pigri del centrosinistra che in occasione del ballottaggio avevano altro da fare) il risultato fa proprio 4.027! Cioè i voti che una parte dell’elettorato di Doria regala a Musso. Viste le sofferenze che il maggior partito della coalizione di centrosinistra ha patito nelle primarie, non è difficile pensare che questo sia stato un altro regalino che la parte destrorsa del PD ha voluto offrire, dopo quello già elargito al primo turno, al candidato del terzo polo.

Chiuso con l’aritmetica, non resta che augurare sinceramente buon lavoro al nuovo sindaco di Genova.

venerdì 11 maggio 2012

UNA ANALISI DEL VOTO DI GENOVA


Come era nelle previsioni più pessimistiche, a Genova Marco Doria va al ballottaggio con un margine di 33 punti percentuali sul candidato del terzo polo, che in base alle dichiarazioni di Casini è sotto le macerie. Non dovrebbero proprio esserci problemi, a meno che non si moltiplichino i giochi inconfessabili di una parte del PD e non aumenti la corsa al suicidio della sinistra oggi extraparlamentare.
Avendo sottomano i risultati definitivi è possibile avanzare qualche considerazione sul voto del primo turno. A Genova si è votato anche per i nove municipi nei quali è divisa la città e i confronti sono di una certa utilità, così come lo sono quelli con le precedenti elezioni, in particolare quelle regionali del 2010. 


Un primo dato singolare è che nei municipi il numero delle schede bianche e nulle è quasi doppio di quelle per l’elezione del sindaco. Singolare, perché, almeno apparentemente, i candidati delle varie liste dovrebbero essere più vicini all’elettore, e in ogni caso anche nei municipi non mancavano alcune liste stravaganti che avevano portato nel Comune al totale complessivo di venticinque! Questa ipotesi non regge. Il dato certo è che il numero così elevato di bianche e nulle va riferito in buona parte al fatto che il “grand hotel” (con riferimento alle cinque stelle dei grillini) era presente solo in tre dei nove municipi, e ha raccolto molto meno della metà dei voti registrati nel comune: 14.109 voti rispetto ai 36.579 che sono andati al loro candidato sindaco. In buona sostanza, può essere una prima lettura delle oltre 11 mila schede bianche e nulle in più nei municipi (anche se mancano all’appello gli altri 11 mila voti).
In generale, i candidati sindaci (persino quelli delle liste stravaganti) prendono nelle elezioni per il Comune più voti delle liste ad essi collegate. Particolarmente rilevante la differenza per quello che riguarda il concorrente di Doria al ballottaggio, tale Musso, senatore nominato da Berlusconi e poi approdato al terzo polo, già battuto da Marta Vincenzi al primo turno nelle precedenti elezioni: si tratta di quasi 11 mila voti, che si riducono a quasi 6 mila se si confronta il dato con la lista presente nei nove municipi.
Come candidato sindaco Doria raccoglie 127.477 voti, 10 mila in più rispetto alla coalizione (117.254); ma se il confronto viene fatto con i voti di lista raccolti nei nove municipi (142.717) si desume che Doria ne ha avuti 15 mila in meno e la coalizione addirittura 25 mila in meno. Altri dati interessanti riguardano le differenze fra i nove municipi e il Comune per le liste della coalizione (ricordiamo, una coalizione di centro sinistra “prodiano”, non foto di Vasto quindi, ma con la presenza della Federazione della sinistra). Tutte indistintamente riducono il numero dei voti: il PD perde oltre 22 mila voti, quasi un terzo; l’IDV 10 mila, quasi la metà; SEL addirittura più di 14 mila, quasi il 60%; la FdS oltre 5 mila, la metà esatta. Sicuramente una parte di questi voti volatili sono confluiti nella lista direttamente collegata a Marco Doria, che raccoglie oltre 26 mila  voti, ma dove sono finiti tutti quelli mancanti all’appello (e sono 15 mila voti, cioè i 25 mila in meno delle liste ai quali vanno sottratti i 10 mila in più che Doria raccoglie come sindaco rispetto alla coalizione)? Si possono fare alcune ipotesi: certamente una parte considerevole (o forse tutti) i voti di SEL finiscono nella lista di Doria (SEL ha sponsorizzato Doria molto più di tutti gli altri); è probabile che identica fine abbiano fatto buona parte dei voti che mancano all’IDV. Quelli che mancano possono essere il risultato di una preoccupante decisione: una parte degli elettori del PD rifiutano Doria (che aveva sconfitto alle primarie la candidata ufficiale del PD, senatrice Pinotti, alla quale si era contrapposta anche la sindaca uscente Vincenzi) e hanno scelto Musso.
Diverso il giudizio che si può dare per le differenze che riguardano la FdS. Nei municipi alcune delle liste nelle quali si fraziona l’estrema sinistra non erano presenti, e può darsi che il valore del simbolo possa aver giocato un ruolo. Difficile dire che sia stato positivo, perché il dato generale segna comunque, purtroppo, un ulteriore calo di rappresentatività. Soltanto due anni fa, alle Regionali, la lista della Federazione aveva raccolto il 4% dei voti. Dimezzarsi in due anni è segno di un declino inarrestabile.
Pesante anche il segno della disaffezione al voto: 55%, cinque punti in meno rispetto a due anni fa, quando bianche e nulle erano state la metà di quelle registrate quest’anno. Significa che il totale dei voti validamente espressi si è ridotto in due anni di 35 mila unità, l’equivalente di una città di media dimensione.
L’aritmetica, come mi capita di dire spesso, serve alla politica. Sicuramente serve a cercare di capire che cosa sta succedendo.

UNA ANALISI DEL VOTO DI GENOVA


Come era nelle previsioni più pessimistiche, a Genova Marco Doria va al ballottaggio con un margine di 33 punti percentuali sul candidato del terzo polo, che in base alle dichiarazioni di Casini è sotto le macerie. Non dovrebbero proprio esserci problemi, a meno che non si moltiplichino i giochi inconfessabili di una parte del PD e non aumenti la corsa al suicidio della sinistra oggi extraparlamentare.
Avendo sottomano i risultati definitivi è possibile avanzare qualche considerazione sul voto del primo turno. A Genova si è votato anche per i nove municipi nei quali è divisa la città e i confronti sono di una certa utilità, così come lo sono quelli con le precedenti elezioni, in particolare quelle regionali del 2010. 


Un primo dato singolare è che nei municipi il numero delle schede bianche e nulle è quasi doppio di quelle per l’elezione del sindaco. Singolare, perché, almeno apparentemente, i candidati delle varie liste dovrebbero essere più vicini all’elettore, e in ogni caso anche nei municipi non mancavano alcune liste stravaganti che avevano portato nel Comune al totale complessivo di venticinque! Questa ipotesi non regge. Il dato certo è che il numero così elevato di bianche e nulle va riferito in buona parte al fatto che il “grand hotel” (con riferimento alle cinque stelle dei grillini) era presente solo in tre dei nove municipi, e ha raccolto molto meno della metà dei voti registrati nel comune: 14.109 voti rispetto ai 36.579 che sono andati al loro candidato sindaco. In buona sostanza, può essere una prima lettura delle oltre 11 mila in più nei municipi (anche se mancano all’appello gli altri 11 mila voti).
In generale, i candidati sindaci (persino quelli delle liste stravaganti) prendono nelle elezioni per il Comune più voti delle liste ad essi collegate. Particolarmente rilevante la differenza per quello che riguarda il concorrente di Doria al ballottaggio, tale Musso, senatore nominato da Berlusconi e poi approdato al terzo polo, già battuto da Marta Vincenzi al primo turno nelle precedenti elezioni: si tratta di quasi 11 mila voti, che si riducono a quasi 6 mila se si confronta il dato con la lista presente nei nove municipi.
Come candidato sindaco Doria raccoglie 127.477 voti, 10 mila in più rispetto alla coalizione (117.254); ma se il confronto viene fatto con i voti di lista raccolti nei nove municipi (142.717) si desume che Doria ne ha avuti 15 mila in meno e la coalizione addirittura 25 mila in meno. Altri dati interessanti riguardano le differenze fra i nove municipi e il Comune per le liste della coalizione (ricordiamo, una coalizione di centro sinistra “prodiano”, non foto di Vasto quindi, ma con la presenza della Federazione della sinistra). Tutte indistintamente riducono il numero dei voti: il PD perde oltre 22 mila voti, quasi un terzo; l’IDV 10 mila, quasi la metà; SEL addirittura più di 14 mila, quasi il 60%; la FdS oltre 5 mila, la metà esatta. Sicuramente una parte di questi voti volatili sono confluiti nella lista direttamente collegata a Marco Doria, che raccoglie oltre 26 mila  voti, ma dove sono finiti tutti quelli mancanti all’appello (e sono 15 mila voti, cioè i 25 mila in meno delle liste ai quali vanno sottratti i 10 mila in più che Doria raccoglie come sindaco rispetto alla coalizione)? Si possono fare alcune ipotesi: certamente una parte considerevole (o forse tutti) i voti di SEL finiscono nella lista di Doria (SEL ha sponsorizzato Doria molto più di tutti gli altri); è probabile che identica fine abbiano fatto buona parte dei voti che mancano all’IDV. Quelli che mancano possono essere il risultato di una preoccupante decisione: una parte degli elettori del PD rifiutano Doria (che aveva sconfitto alle primarie la candidata ufficiale del PD, senatrice Pinotti, alla quale si era contrapposta anche la sindaca uscente Vincenzi) e hanno scelto Musso.
Diverso il giudizio che si può dare per le differenze che riguardano la FdS. Nei municipi alcune delle liste nelle quali si fraziona l’estrema sinistra non erano presenti, e può darsi che il valore del simbolo possa aver giocato un ruolo. Difficile dire che sia stato positivo, perché il dato generale segna comunque, purtroppo, un ulteriore calo di rappresentatività. Soltanto due anni fa, alle Regionali, la lista della Federazione aveva raccolto il 4% dei voti. Dimezzarsi in due anni è segno di un declino inarrestabile.
Pesante anche il segno della disaffezione al voto: 55%, cinque punti in meno rispetto a due anni fa, quando bianche e nulle erano state la metà di quelle registrate quest’anno. Significa che il totale dei voti validamente espressi si è ridotto in due anni di 35 mila unità, l’equivalente di una città di media dimensione.
L’aritmetica, come mi capita di dire spesso, serve alla politica. Sicuramente serve a cercare di capire che cosa sta succedendo.