martedì 30 ottobre 2012

VOTO IN SICILIA



Come di consueto, anche per le elezioni siciliane è opportuno fare due conti per cercare di capire meglio quello che sta succedendo. Scontato, e mi pare condiviso sufficientemente, lo sconforto per l’aumento vertiginoso dell’astensione, arrivata ad oltre il 52 per cento degli aventi diritto. Significa che oltre due milioni e quattrocento mila siciliani non hanno esercitato il diritto-dovere che contraddistingue le democrazie dai regimi totalitari. Scavando un po’ di più, è utile confrontare i dati con quelli delle precedenti regionali del 2008. Gli aventi diritto sono aumentati di circa 75.000 unità, come saldo attivo tra le nuove leve e un po’ di elettori, prevalentemente vecchi immagino e spero, passati a miglior vita. Ciononostante il numero dei cittadini che hanno disertato le urne rispetto al 2008 è stato di ottocentoquarantacinque mila. La percentuale dei votanti è scesa infatti di quasi venti punti, dal 66,68 al 47,43. Pazzesco! Si può subito trarre una considerazione interessante. Molti commentatori hanno detto che senza la presenza del grand hotel (5 stelle) l’astensione sarebbe stata maggiore. Ne dubito. La provincia in cui si è registrata la maggiore astensione (ha votato soltanto il 41,3%) è Caltanissetta, dove è nato il candidato grillino e dove aveva sede lo stato maggiore del comitato organizzatore. Non voglio dire che è perché lo conoscevano. (Invito invece i nisseni a protestare con Microsoft, perché word segna errore sia per Caltanissetta che per nisseni!).


Il movimento di Grillo conquista il primo posto nei voti dati alle formazioni politiche con il 14,7%, ben 13 punti percentuali in più rispetto al 2008. Va subito evidenziato che il candidato nisseno ottiene il 18,1%, quindi 3,4 punti in più del partito che lo sostiene. E’ l’effetto del voto disgiunto, che rimescola le carte, perché è possibile votare per un presidente e per una lista che ne sostiene uno diverso. Acrobazie della democrazia! Occorre notare tuttavia un dato: differenze di un certo rilievo fra le percentuali dei candidati e la somma di quelle raccolte dalle liste che li sostengono si registrano solo nel caso di Miccichè (4,7 punti in meno rispetto alle liste) e Musumeci (candidato berlusconiano, che ottiene 1,3 punti percentuali in più), oltre naturalmente al Cancellieri movimentista, che come abbiamo appena ricordato vede invece aumentare notevolmente la propria percentuale. Tutto può succedere nel tourbillon del voto disgiunto, ma è singolare che Cancellieri aumenta mentre un candidato della destra vede diminuire le proprie preferenze. Un caso o una scelta consapevole degli elettori di destra? Ai posteri l’ardua sentenza! Per non essere accusato di parzialità ricordo che anche Giovanna Marano perde un 0,5% rispetto alle liste che la sostenevano (IDV e lista Fava, nella quale erano confluiti SEL, FdS e Verdi) e che l’unico a non aver sofferto del voto disgiunto è Crocetta: solo lo 0,01% in meno (cioè niente) rispetto alle percentuali delle liste che lo sostenevano: PD, UDC e lista del presidente.
Va inoltre segnalata l’ulteriore sconfitta della sinistra, quella che potremmo definire, riandando con la memoria a una delle tante disillusioni, Arcobaleno: l’1,8% in meno, dal 4,8 al 3 per cento, cioè niente, e con l’esclusione ancora una volta dalla assemblea regionale: era necessario infatti superare la soglia del 5%. Particolare curioso: l’unica formazione politica, se così si può dire, che supera la percentuale del 2008 è, insieme al grand hotel ma con un incremento assai più contenuto, l’IDV, che guadagna l’1.7%, più o meno quello perso dall’Arcobaleno, insieme al quale sosteneva la candidata che ha sostituito Fava, escluso poco prima del voto per non essere residente nell’isola. Si potrebbe dire che l’IDV è stato graziato dal fatto che la puntata di Report è andata in onda a urne chiuse! Ma questa rischia di essere antipolitica.
A tal proposito vorrei ricordare, come invito alla speranza, le parole di una bellissima canzone di Francesco De Gregori, composta quasi trent’anni fa, La storia. Dice così: E poi ti dicono "Tutti sono uguali, tutti rubano alla stessa maniera". Ma è solo un modo per convincerti a restare chiuso dentro casa quando viene la sera.
Credo stia succedendo proprio questo dramma.

martedì 16 ottobre 2012

GOVERNO DI BANCHIERI



Ancora una volta questi banchieri osceni chiamati tecnici non si sono smentiti. Avete fatto un po’ di conti sulla ventilata riduzione dell’IRPEF a favore dei più deboli? Già, perché è con questi termini che i banchieri osceni e chi li appoggia, incuranti del ridicolo o fiduciosi nel fatto che il popolo non sa far di conto, hanno commentato la proposta. Ebbene, ecco i conti.
Con la riduzione di un punto della prima aliquota attuale, cioè dal 23 al 22 per cento, e sempre di un punto della seconda aliquota, cioè dal 27 al 26 per cento, succede questo (tenendo conto ovviamente dei vari scaglioni sui quali si applica la aliquota). Chi ha un reddito annuo lordo di 15.000 euro, cioè poco meno di 1000 euro netti al mese per 12 mesi, risparmia 150 euro all’anno, cioè 12,5 euro al mese. Chi ha un lordo di 28.000 euro annui, cioè 1750 euro al mese, sempre per 12 mesi, risparmia 280 euro all’anno, cioè 23,3 euro al mese. Ma lo stesso risparmio lo realizzano anche quelli che guadagnano molto di più, anche lo psiconano, tanto per citarne uno, e naturalmente anche tutti i banchieri chiamati inopinatamente tecnici.

Allora, sarebbe bastato, dopo la riduzione di un punto delle aliquote più basse, aumentare di un punto le aliquote più alte, ad esempio quella sopra i 55.000 euro lordi (da 41 a 42 per cento) e quella sopra i 75.000 euro lordi (da 43 a 44 per cento). Quali sarebbero stati i risultati di una simile operazione? Eccoli.


Chi ha un reddito lordo di 75.000 euro annui (più di 4.000 euro al mese, quindi) avrebbe ancora un piccolo guadagno, di 80 euro all’anno, insomma qualche caffè all’anno anche per lui, tenendo conto che più di quattromila euro al mese non sono proprio il salario di un precario. Invece chi ha un reddito, poniamo, di 150.000 euro lordi, cioè una bazzecola di 7.695 euro al mese, finirebbe col pagare in più solo 670 euro all’anno, cioè 56 euro al mese. Insomma, non dovrebbe fare la fila alla Caritas!
Ovvio che gli osceni banchieri soprannominati tecnici, chi li appoggia indecorosamente, lo psiconano e un po’ di diportisti che a Genova, mentre diminuiscono i visitatori del salone nautico, non fanno calare le vendite, ci sarebbero rimasti male. Ma una misura come quella, dal momento che non sono affatto pochi quelli che si mettono in tasca redditi ben superiori ai 150.000 euro lordi, avrebbe aiutato a coprire gran parte del costo derivante dalla riduzione delle aliquote sui redditi bassi e medi.

Ma quella misura avrebbe rappresentato per la prima volta da quando gli osceni banchieri governano il paese una scelta di equità, quindi di sinistra (anzi, comunista, avrebbero subito sbraitato gli squallidi corifei montian-passerani), coprendosi anche di ridicolo, perché sarebbe stata una scelta perfettamente in linea con la Costituzione che di equità e di giustizia sociale parla e sancisce a più riprese. Già, ma anche quella è “di sinistra” e infatti vogliono abrogarla proprio nelle sue parti più in linea con la democrazia e la dignità.

martedì 2 ottobre 2012

DIAZ: DISCREDITO SULLA NAZIONE



Le motivazioni della sentenza della Cassazione sulla macelleria messicana alla scuola Diaz vanno ben oltre la stessa condanna. Erano state molte le critiche per le riduzioni di pena, le prescrizioni intervenute, il guanto di velluto usato nei confronti dei massimi responsabili di quella vergogna. Critiche che, a parer mio, non coglievano il fatto in sé straordinario di quella condanna: in primo luogo, avere colpito, forse per la prima volta in Italia, un vero e proprio gotha della polizia, gli alti dirigenti, divenuti ancora più alti rispetto alla data dei crimini commessi perché tutti promossi; in secondo luogo, averli estromessi per cinque anni dai pubblici uffici.
Ebbene le motivazioni vanno oltre. E’ scritto:
- la “consapevole preordinazione di un falso quadro accusatorio ai danni degli arrestati”;
- “l’odiosità del comportamento” di tutti gli alti responsabili, cioè di chi “in posizione di comando a diversi livelli come i funzionari, una volta preso atto che l’esito della perquisizione si era risolto nell’ingiustificabile massacro dei residenti nella scuola, invece di isolare ed emarginare i violenti denunciandoli, e di rimettere in libertà gli arrestati, avevano scelto di persistere negli arresti creando una serie di false circostanze”;
- i poliziotti “si erano scagliati sui presenti, sia che dormissero, sia che stessero immobili con le mani alzate, colpendo tutti con i manganelli (detti “tonfa”) e con calci e pugni, sordi alle invocazioni di non violenza provenienti dalle vittime, alcune con i documenti in mano, pure insultate al grido di bastardi”;
- “il sistematico ed ingiustificato uso della forza”.
Tutto ciò ha “gettato discredito sulla Nazione agli occhi del mondo intero”.
Ce n’è anche per l’attuale sottosegretario alla presidenza del consiglio con delega ai servizi, l’allora capo della polizia Gianni De Gennaro, che, è scritto, esortò ad eseguire gli arresti. L’esortazione rivolta dal capo della polizia (a seguito dei gravissimi episodi di devastazione e saccheggio cui la città di Genova era stata sottoposta) ad eseguire arresti, “anche per riscattare l’immagine della polizia dalle accuse di inerzia, ha finito con l’avere il sopravvento rispetto alla verifica del buon esito della perquisizione stessa”. Insomma, sembra quasi che venga messa in discussione la recente sentenza della Cassazione che aveva prosciolto De Gennaro da un’accusa di istigazione alla falsa testimonianza sempre relativa ai fatti della Diaz.
Un'altra riga delle motivazioni merita sottolineatura: l’irruzione alla Diaz fu condotta con “caratteristiche denotanti un assetto militare”. Certo, ma non solo l’irruzione alla Diaz: gran parte delle violenze praticate sui manifestanti dagli agenti in servizio “denotavano” un assetto militare. Lo aveva detto a chiare lettere l’allora tenente dei carabinieri Nicola Mirante, facente parte del gruppo di comando che ha operato in piazza Alimonda, durante la sua testimonianza al processo a carico dei venticinque manifestanti: “guerra e ordine pubblico sono la stessa cosa, cambiano solo gli strumenti dell’offesa”.


Discredito sulla Nazione agli occhi del mondo intero, scrive la Cassazione. Perfetto. E quelle centinaia di carabinieri che la sera del 20 luglio, acquartierati negli spazi della Fiera di Genova, cantano “faccetta nera”, gridano “morte sua vita mia”, “uno due tre, viva Pinochet”, “quattro cinque sei, morte agli ebrei”, “sette otto nove, il negretto non commuove” hanno forse contribuito al credito dell’Italia? Non è stato aperto un solo procedimento per accadimenti genovesi nei quali fossero implicati carabinieri. E quando l’impunità copre a prescindere comportamenti delinquenziali di appartenenti all’Arma c’è il rischio che a soffrirne non sia solo il credito del Paese ma anche ciò che resta della sua dignità democratica.