mercoledì 24 aprile 2013

NUMERI PER UN PROGRAMMA DI GOVERNO



Mi capita spesso di ripetere che sarebbe già un passo avanti per la bella politica se si cominciasse a parlare con i numeri invece di continuare a ripetere le stesse cose, a volte con parole diverse. Il vantaggio sarebbe innegabile: ognuno sarebbe in grado di riconoscere se quella proposta è favorevole o contraria alla propria condizione sociale, se lo aiuta a uscire dalla crisi e se obbliga qualcuno che non lo ha mai fatto a farsi carico dei problemi della società.
L’idea di fondo, un po’ bolscevica, è che si debba partire (esagerando un po’, ma a volte è necessario per potersi capire) da un concetto semplice: la ricchezza è un reato, commesso in proprio o da chi ha trasmesso l’eredità. E quindi che la ricchezza va colpita, nei modi consentiti dalle leggi e dai regolamenti. Cioè in primo luogo dal fisco.
Qualche esempio. Si era parlato di ridurre le prime aliquote di un punto, abbassare cioè dal 23 al 22 l’aliquota percentuale sullo scaglione fino a 15.000 euro lordi e dal 27 al 26 l’aliquota per il reddito lordo da 15.000 a 28.000 euro. Ciò avrebbe comportato riduzioni di tasse comprese fra i 150 e i 280 euro annui. Poco certo, ma in tempi di crisi non fanno schifo neppure quelli. Quello che fa schifo, invece, è che non c’era nessun riequilibrio per i redditi un po’ più alti. Quei 280 euro li avrebbero risparmiati anche Marchionne (no, lui no, perché va in Svizzera) e Berlusconi, tanto per citarne due a caso. Allora, sempre per stare ai numeri, quella proposta di riduzione dovrebbe essere integrata con l’aumento da 38 a 39 dell’aliquota fra 28.000 e 55.000 (in questo caso un reddito di 55.000 euro lordi avrebbe ancora un beneficio di 10 euro annui, ma si tratta di netti di oltre tremila euro mensili) e con l’aumento da 41 a 42 dell’aliquota per la parte di reddito fra 55.000 e 75.000 euro (e in questo caso il possessore di un reddito lordo di 75.000, cioè oltre 4000 euro netti al mese, avrebbe un aggravio di 190 euro all’anno, cioè 15, 83 euro al mese, non proprio un aggravio da suicidio).
Fin qui abbiamo parlato non di ricchezza, ma di legittimi redditi che provengono dal lavoro, dall’esercizio di botteghe commerciali, da attività artigianali, quando va bene. Ma è per significare come sia necessario affrontare la questione proprio partendo dai numeri. Ovviamente occorrerebbe rivedere al rialzo la tassazione per i redditi milionari, oggi del tutto assente: infatti lo scaglione più alto previsto è quello per redditi sopra i 75.000 euro ai quali si applica una aliquota del 43 per cento. Cioè in questo paese ridicolo non c’è differenza di ricchezza fra chi ha, poniamo, un reddito di 200.000 euro e chi ha invece un reddito di 200 milioni di euro! E ricordarsi che non Lenin, ma il democristiano Vanoni aveva previsto aliquote fino al 70% per i redditi davvero alti!
E’ persino ovvio che le osservazioni che precedono indirizzano alla proposta di introdurre una patrimoniale sui grandi patrimoni, come mezzo prioritario per il reperimento dei fondi necessari a far fronte a qualche drammatico problema sociale. Patrimoniale permanente (ovviamente con aliquote più leggere), e non una tantum sia chiaro, e dell’ordine (per quella una tantum) di almeno 5 punti percentuali. E decidendo che deve considerarsi grande patrimonio quello al di sopra del milione e mezzo di euro. Se si valuta che il solo patrimonio edilizio del paese ha una consistenza di circa ottomila miliardi, anche solo una tassa patrimoniale media del 5% porterebbe nelle casse dello stato quaranta miliardi.
La questione è rilevante anche per quanto riguarda l’IMU. Ripeto fino alla noia che la più grande sciocchezza è quella di parlare e insistere sulla “prima” casa. E’ invece necessario parlare di “unica” casa: se non è di lusso è del tutto logico che l’IMU sull’unica casa venga eliminata, ricompensata da un aggravio dell’imposta su chi ha anche la seconda, la terza, la quarta e via patrimonializzando. Le tasse sono decisive, perché nel bilancio dello Stato rappresentano quasi il 90% di quei 520 miliardi di euro che sono le entrate previste per il 2013.
Due punti chiave sui quali intervenire: il bilancio della Difesa presenta una spesa di 21 miliardi, dei quali 9,68 sono il costo del personale della Funzione difesa (esercito, aviazione, marina), con i 180 mila militari, e 5,76 miliardi il costo della sicurezza interna, cioè dell’arma dei carabinieri. Non sono in quei 21 miliardi i costi per gli inutili, dannosi e inefficaci aerei, il cui contratto di acquisto va semplicemente stracciato. Ridurre il bilancio della difesa anche solo di un 5% vorrebbe dire risparmiare un miliardo. Dove metterlo? Per esempio nel bilancio di Istruzione, università e ricerca, ridotto al lumicino, nonostante i 40,7 miliardi, perché quella attività è riconosciuta come il motore fondamentale di qualunque ripresa economica finalizzata al paese e non ai guadagni illeciti di qualche sporcaccione.
Poi, certo, restituire all’Europa la lettera berlusconiana di accettazione del vincolo del 3% sulla passività di bilancio e rivendicare che in ogni caso non entrano in quel computo le passività derivanti da investimenti destinati all’attività produttiva. E qui sta il punto decisivo: riavviare con forza la presenza pubblica nell’economia, alla facce di tutte le lenzuolate e delle stupidaggini ultraliberiste sul privato è bello e sulla legge del mercato.
Per oggi basta. Ne riparliamo, sperando in critiche, correzioni, aggiornamenti. Tutto può servire.

ELEZIONI IN FRIULI



Le elezioni in Friuli aprono ad alcune considerazioni interessanti, fermo restando il primo dato preoccupante rappresentato dall’enorme calo dell’affluenza al voto. Ha votato infatti solo il 50,48 per cento degli aventi diritto, con un calo di 27 punti percentuali rispetto alle elezioni di due mesi fa e soprattutto con un calo di circa 250 mila votanti.
Un’altra premessa riguarda il meccanismo elettorale delle regionali, molto diverso dal porcellum. Si può infatti votare soltanto per il candidato presidente senza votare anche per una lista che lo sostiene o anche in modo disgiunto (presidente e lista di un altro candidato). Questo ha fatto sì che ci sia stata una forte differenza fra i voti di ciascun candidato presidente e quelli ottenuti complessivamente dalle liste ad essi collegate.

Comunque le differenze registrate rispetto a solo due mesi fa sono impressionanti.
Primo dato. La candidata del centrosinistra Serracchiani ha avuto 211.508 voti, oltre 13 mila voti in più rispetto a quelli avuti dalla coalizione Bersani alla Camera. E ciò comporta che la percentuale, proprio per effetto del calo di votanti, sale dal 27,48 al 39,39, cioè addirittura di dodici punti. All’interno della coalizione è ottimo, anche se pur sempre contenuto, il risultato di SEL che acquisisce addirittura 58 voti in più, ma con incremento percentuale dal 2,45% al 4,45%. Ora è vero che il PD conquista come voto di lista solo 107.155 voti, rispetto ai 178.149 di due mesi fa, ma è addirittura ovvio che il voto alla Serracchiani individuava il partito di appartenenza. Vuol dire che la scelta di un candidato conta molto. E questo apre una serie di considerazioni sulla personalizzazione della politica che qui tralascio.
Secondo dato. Il PdL, che pure aumenta percentualmente di un punto, raccoglie oltre 54 mila voti in meno (andamento simile quello della Lega, che guadagna un punto e mezzo e lascia sul terreno oltre 15 mila voti. Dal punto di vista dei voti di lista va segnalato che quella personale del candidato del centrodestra Tondo raccoglie 42.847 voti, pari al 10,72%, che sommati a quelli del PdL, dell’UDC e della destra, oltre ai soliti pensionati d’appoggio, porta i voti di lista a 180.657, cioè il 45,21% dei voti di lista espressi. E questa è una delle cose incredibili del voto friulano. Un 45 e passa per cento come voto di lista e solo il 39% come voto da presidente, con un totale di 209.442. Si vede che proprio non potevano sopportarlo. Comunque il centrodestra due mesi fa aveva raccolto 201.865 voti, il 27,98% e che occorre ricordare che deu messi fa la lista Monti (alle regionali solo il pezzetto casiniano ha appoggiato il candidato del centrodestra) aveva avuto ben 92.813 voti, pari al 12,85%.
Terzo dato. Succede per il candidato grillino l’esatto opposto di quello accaduto a Tondo. La lista raccoglie soltanto 54.952 voti, il 13.75%, mentre il candidato Galluccio ne ha avuti 103.133, cioè il 19,21%. Ma per il grillino Galluccio il tonfo rispetto a due mesi fa è davvero impressionante. Alla Camera il M5S aveva raccolto 196.218 voti, pari al 27,22%. Quindi un calo di quasi 100 mila voti considerando quelli raccolti dal candidato e 142 mila rispetto alla lista. E ciò mentre tutto poteva lasciar pensare che, visto quello che stava succedendo in parlamento con l’elezione dei presidente, il M5S avrebbe fatto il pieno. Il capocomico dice che le elezioni regionali non hanno nulla a che vedere con le politiche. Contento lui!
Alla prossima.

domenica 21 aprile 2013

SCENARI DI UN PAESE DI… MACERIE



Lunedì il balletto ricomincia. Giuramento, un po’ di chiacchiere sulla democrazia e sul senso di responsabilità condiviso. E poi via alle cose serie. Fare il governo, ma non solo. Cioè, concretizzare l’inciucio, garantire chi ha problemi (quelli di casta, non di vita) e coprire le malefatte. Naturalmente (così diranno, senza vergogna) per affrontare i gravi, anzi gravissimi, non basta, tremendi problemi del paese (ormai con la p minuscola, visto come lo hanno ridotto).
Uno scenario mi sono permesso di tracciarlo quando la banda dei quattro (B B M M, dove la seconda M sta per Maroni) sono andati a piangere al colle: Amato premier e Berlusconi senatore a vita, e quindi immune per sempre. Poi Maroni ha fatto qualche bizza, Amato non lo vuole. Non è difficile fargli cambiare idea, basterebbe insinuare qualche dubbio sulla sua carica di governatore in Lombardia, ma insomma, non è il caso di complicarsi la vita. E allora vai con altre lungimiranti ipotesi.
La prima è davvero straordinaria. Un bel governo con dentro saggi e attuali ministri a volontà, presieduto da Enrico Letta con vice Gianni Letta. Zio e nipotino, stupendo: finalmente un governo che si occuperà della famiglia!

Ma se ne affaccia anche un'altra: incarico a Grasso, attuale taciturno presidente del senato. Questa scelta è più sottile dell’altra: si libera un posto. Un’occasione da non perdere per riequilibrare le cariche istituzionali, si fa per dire. D’altra parte Boldrini e Grasso li aveva scelti il PD, e visto lo stato comatoso intervenuto non vorrà mica pretendere di conservarle! Ma l’obiettivo sottile è un altro. Proviamo a pensare chi potremmo eleggere presidente del senato al posto di Grasso. Ma dai, non è poi così difficile, un nome a caso: Berlusconi! Non per altro si è fatto eleggere al senato; di lui si può pensare e dire il peggio immaginabile, ma non che sia uno stupido. Al fondo c’è che da presidente del senato, seconda carica della repubblichetta, in caso di impedimento si fa il saltino alla prima. E l’impedimento, vista l’età del attuale inquilino (e senza fare scongiuri in nessun senso), non è impossibile. Silvio coronerebbe così uno dei suoi sogni per niente nascosti e più ambiziosi. Poi, alla provvisorietà dell’incarico si potrebbe sempre porre rimedio con la rielezione mediante un altro inciucio. Renziani, margheritoni, veltroniani, dalemiani e giovani turchi stanno già meditando, se così si può dire.
E allora? Consegniamo il paese a Grillo e Casaleggio? Vedremo domani come gli effetti di queste giornate in parlamento si rifletteranno nel voto in Friuli-Venezia Giulia. La questione di fondo è che quel voto, ancora sostanzialmente di protesta e di rabbia, per altro del tutto comprensibili e giustificabili, coinvolge sempre di più un elettorato proveniente da un voto di sinistra. A cominciare proprio da questi occorrerebbe spiegare che la peggiore posizione dei due guru resta quella di continuare a non voler distinguere tra sinistra e destra, per succhiare anche da quella parte. E invece la differenza esiste sempre, eccome. Ma non viene fuori se ci si ostina soltanto a sventolare bandiere, simboli e nomi. Viene fuori, evidente e chiara, se si passa finalmente alle cose da fare, al come farle, con quale reperimento delle risorse e con quale prioritaria destinazione. Se si comincia finalmente a parlare anche con i numeri e non soltanto con gli slogan fatti di parole. Se, come si diceva una volta, c’è un programma.
Occorrerebbe lavorare in questa direzione. Almeno proviamoci.