Le motivazioni della sentenza della Cassazione sulla
macelleria messicana alla scuola Diaz vanno ben oltre la stessa condanna. Erano
state molte le critiche per le riduzioni di pena, le prescrizioni intervenute,
il guanto di velluto usato nei confronti dei massimi responsabili di quella
vergogna. Critiche che, a parer mio, non coglievano il fatto in sé
straordinario di quella condanna: in primo luogo, avere colpito, forse per la
prima volta in Italia, un vero e proprio gotha della polizia, gli alti dirigenti,
divenuti ancora più alti rispetto alla data dei crimini commessi perché tutti
promossi; in secondo luogo, averli estromessi per cinque anni dai pubblici
uffici.
Ebbene le motivazioni vanno oltre. E’ scritto:
- la
“consapevole preordinazione di un falso
quadro accusatorio ai danni degli arrestati”;
- “l’odiosità del comportamento” di tutti gli
alti responsabili, cioè di chi “in posizione di comando a diversi
livelli come i funzionari, una volta preso atto che l’esito della perquisizione
si era risolto nell’ingiustificabile massacro dei residenti nella scuola,
invece di isolare ed emarginare i violenti denunciandoli, e di rimettere in
libertà gli arrestati, avevano scelto
di persistere negli arresti creando una serie di false
circostanze”;
-
i poliziotti “si erano scagliati sui presenti, sia che dormissero, sia che
stessero immobili con le mani alzate, colpendo tutti con i manganelli (detti
“tonfa”) e con calci e pugni, sordi alle invocazioni di non violenza
provenienti dalle vittime, alcune con i documenti in mano, pure insultate al grido di bastardi”;
- “il sistematico ed ingiustificato uso della forza”.
Tutto ciò ha “gettato discredito sulla Nazione agli occhi del
mondo intero”.
Ce n’è anche per l’attuale
sottosegretario alla presidenza del consiglio con delega ai servizi, l’allora
capo della polizia Gianni De Gennaro, che, è scritto, esortò ad eseguire gli
arresti. L’esortazione rivolta dal capo
della polizia (a seguito dei gravissimi episodi di devastazione e saccheggio
cui la città di Genova era stata sottoposta) ad eseguire arresti, “anche per riscattare l’immagine della polizia dalle
accuse di inerzia, ha finito con l’avere il sopravvento rispetto alla verifica
del buon esito della perquisizione stessa”. Insomma, sembra quasi che venga
messa in discussione la recente sentenza della Cassazione che aveva prosciolto
De Gennaro da un’accusa di istigazione alla falsa testimonianza sempre relativa
ai fatti della Diaz.
Un'altra riga delle motivazioni merita sottolineatura:
l’irruzione alla Diaz fu condotta con “caratteristiche denotanti un assetto
militare”. Certo, ma non solo l’irruzione alla Diaz: gran parte delle violenze
praticate sui manifestanti dagli agenti in servizio “denotavano” un assetto
militare. Lo aveva detto a chiare lettere l’allora tenente dei carabinieri Nicola
Mirante, facente parte del gruppo di comando che ha operato in piazza Alimonda,
durante la sua testimonianza al processo a carico dei venticinque manifestanti:
“guerra e ordine pubblico sono la stessa cosa, cambiano solo gli strumenti
dell’offesa”.
Discredito sulla Nazione agli occhi del mondo intero, scrive la Cassazione.
Perfetto. E quelle centinaia di carabinieri che la sera del 20 luglio,
acquartierati negli spazi della Fiera di Genova, cantano “faccetta nera”,
gridano “morte sua vita mia”, “uno due tre, viva Pinochet”, “quattro cinque
sei, morte agli ebrei”, “sette otto nove, il negretto non commuove” hanno forse
contribuito al credito dell’Italia? Non è stato aperto un solo procedimento per
accadimenti genovesi nei quali fossero implicati carabinieri. E quando
l’impunità copre a prescindere comportamenti delinquenziali di appartenenti
all’Arma c’è il rischio che a soffrirne non sia solo il credito del Paese ma
anche ciò che resta della sua dignità democratica.
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