Ho appreso su FB che, per cercare di attenuare il crollo di
consensi registrato nelle recenti elezioni amministrative, il guru delle stelle
ha paragonato il recente voto di Roma con quello di cinque anni fa. Dal che
risulterebbe uno strepitoso aumento del 222%! Solo un cialtrone come lui
potrebbe essere capace di una cosa così azzardata. E lo conferma il fatto che i
crolli degli altri (PD e PdL) sono calcolati non sulla base delle minori
percentuali di voto registrate ma in percentuale sul calo dei voti ricevuti.
Insomma, se gli elettori erano 100 e un partito aveva 50 voti, la sua
percentuale era 50%; se poi votano in 50 e i voti ricevuti sono 25 non conta il
fatto che la sua percentuale sia rimasta pari al 50%, conta invece che abbia
perso il 50% dei voti (altra cosa sarebbe la preoccupazione per il calo enorme
di affluenza al voto, ma di questo parliamo più avanti). Ovviamente è ridicolo
che il cialtrone faccia il confronto con cinque anni fa, all’esordio del M5S, e
non invece con il voto di tre mesi fa, cioè con l’altro ieri. Oltretutto a Roma
si era votato negli stessi giorni anche per le regionali, vicine quindi alla
logica di un voto amministrativo, e il candidato di Grillo, pur perdendo
120.000 voti rispetto al voto delle politiche (già è incredibile che 120.000
elettori cambino voto cambiando scheda!), aveva comunque ottenuto 316.923 voti,
pari al 20,09%, oltre 185.000 voti in più di quelli che tre mesi dopo porta a
casa il candidato sindaco, con il 12,8%.
Credo che non possano esserci dubbi sul fatto che: cianciare
di scontrini; rifiutare ogni logica di governo del paese; limitarsi alle
condanne dei servi dell’informazione, mistificando oltretutto il fatto
innegabile che la presenza in ogni talk-show delle comparsate di Grillo nelle
piazze ha certamente favorito il consenso alle liste del movimento; tutto ciò
abbia deluso centinaia di migliaia di elettori (potremmo dire quasi 5 milioni
se il dato si riflettesse sulla platea nazionale). Il risultato negativo pare
stia creando rabbia e dissenso fra molti degli eletti. Non ci sono fra questi
soltanto quelli che non intendono rinunciare così presto ai privilegi e ai
soldi che le cariche parlamentari e amministrative consentono. Credo che ci
siano tanti, a differenze di chi indecorosamente li rappresenta e si arroga il
diritto di esserne ispiratore e portavoce, a essere davvero già stanchi di
questo modo inconcludente di condurre una battaglia politica, specialmente in
presenza di una crisi gravissima che ogni giorno aumenta in dimensione e
pericolosità. Speriamo che qualche risultato si concretizzi. E ancora di più
dopo le ultime offese del pessimo comico indirizzate contro uno dei
galantuomini del paese, proprio quel Rodotà che un mese fa elettori e
parlamentari grillini volevano, giustamente, come presidente della repubblica!
Dicevo del dramma dell’astensione. E’ di una dimensione
spaventosa. Mette in secondo piano il fatto, pur positivo, che la destra abbia
perduto consensi e che il ballottaggio potrebbe garantire a tante città una
guida meno oltraggiosa di quelle precedenti della destra. Penso a Brescia, a
Treviso, soprattutto a Roma: se qualcuno pensasse che Marino e Alemanno sono la
stessa cosa lo inviterei a farsi ricoverare in psichiatria! Ha scritto Massimo
Giannini qualche giorno fa su Repubblica:
“Se la democrazia rappresentativa non mi rappresenta perché non risolve i
problemi della mia vita quotidiana il mio voto non serve”. Si può aggiungere
che purtroppo questo modo di pensare è presente proprio negli strati più deboli
della popolazione. Ed è la contraddizione più lacerante, perché chi è forte,
chi sta bene, chi è ricco, può anche fregarsene di chi e come si governa,
mentre è proprio chi è debole che dovrebbe vedere garantito da qualche scelta
di governo il diritto a forme di protezione. E invece no. E’ proprio nei quartieri popolari che si era
fatto avanti in modo prorompente il fenomeno grillino come espressione di
sfiducia nella politica e che oggi si è registrata la più alta percentuale di
astensione.
Che cosa conta la sinistra definita radicale? Il voto di Roma
segna la definitiva scomparsa. Un candidato sindaco di valore, Medici, già
valido e apprezzato presidente di un Municipio, raccoglie con una sua lista e
con quella di Rifondazione e Comunisti italiani (fermi all’1,14%) soltanto
l’1,99%. Oltre mille voti in meno di quelli raccolti dalla destra di Storace,
Casa Pound e Forza nuova. C’è di che rabbrividire. O si comprende che si deve
cambiare quasi tutto o il volontariato di quanti ancora pensano di fare qualcosa
di utile per il paese e per i lavoratori è destinato a produrre soltanto
frustrazione. Lo ripeto ancora una volta: i simboli e i nomi che pensiamo
possano riassumere gli ideali e le giuste aspirazioni di cambiamenti profondi
nell’assetto della società devono essere sostituiti da programmi concreti e
realizzabili sui quali provare ancora a coinvolgere le persone. Non possiamo
più ignorare che cosa la gente alla quale ci dovremmo rivolgere associa alla
parola “comunismo”: senza andare indietro e stare all’oggi, il fatto che i
principali miliardari del mondo siedano nel comitato centrale del partito
comunista cinese, che i nordcoreani siano governati da un buffone coi capelli
crestati che vorrebbe sommergere gli USA di missili lanciati con la fionda. La stessa
Cuba, che a parte il familismo ha sicuramente realizzato riforme più che sane e
condivisibili, ha una popolazione di 11 milioni che rispetto ai 7 miliardi di
popolazione mondiale sono del tutto non rappresentativi.
Allora il riferimento ideologico non serve, può essere solo
un diversivo. Forse una lista civica nazionale con un programma chiaro e
leggibile potrebbe rappresentare un elemento di positività. Con il quale
misurarci di nuovo nei quartieri, a cominciare proprio da quelli nei quali
l’astensione dal voto può segnalare un bisogno inascoltato.
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