Un caro amico, Loris, mi ha invitato a leggere una sua risposta, garbatamente polemica, all’articolo di Claudio Fava apparso sull’Unità del 22 gennaio scorso, intitolato: “Il silenzio dei padri per le notti di Arcore”. Dice Loris (http://a-sinistra.blogspot.com), giustamente, che non si deve generalizzare, ma devo dire che non mi è parsa affatto questa l’intenzione dell’articolo. Anzi, se si leggono alcune intercettazioni, occorrerebbe sottolineare che non di silenzio si è trattato, ma di sollecitazione e di invito a frequentare il bordello di Arcore per trarne vantaggi propri e per la famiglia. Certo, questa è la telefonata di “un” cosiddetto padre, ma quale e quanta parte del Paese questo “un” è in grado, purtroppo, di rappresentare? E quelle decine di madri che davanti al teatro nel quale si svolgeva una selezione per veline invitavano le proprie figlie a “scoprirsi un pochino”? Certo, non tutte le madri delle ragazze aspirano al ruolo di maitresse, ciò non toglie che anche quella sia stata una spia della degenerazione che sta colpendo la società. E quelle anzianotte che intervistate per strada ripetono le sciocchezze dell’Emilio servitor di due padroni (Lele e B)? Allora, non generalizziamo ma guardiamo con serissima preoccupazione e grande attenzione quello che ogni giorno viene a galla. Valutiamo, facciamo i conti, come spesso mi capita di suggerire, sforziamoci di quantificare e di capire.

Mi avvalgo intanto delle parole di Stendhal. Il curato, che convince Julien Sorel ad abbandonare la vocazione, gli dice: “ Potrete far fortuna, ma bisognerà nuocere ai disgraziati, adulare il sottoprefetto, il sindaco, le persone stimate, e servire le loro passioni: tale condotta, che nel mondo si chiama saper vivere, può per un laico non essere assolutamente incompatibile con la salute eterna. Ma, nella nostra condizione, dobbiamo scegliere: si tratta di far fortuna o in questo mondo o nell’altro, non c’è via di mezzo.” A parte il fatto che anche nella condizione del curato si fanno porcherie della peggior specie (anche qui, senza generalizzare!), il messaggio è chiaro. E’ del 1830, ma potrebbe ripetersi tal quale. Solo che per noi c’è, eccome, una via di mezzo. Ed è quella di condurre una vita normale, non per aspirare a un’incredibile fortuna nell’altro mondo, ma per poter guardare gli altri negli occhi e poter essere guardati senza disprezzo o commiserazione.
Allora, abbandoniamo la poesia e passiamo ai numeri. 1) Le famiglie sono più povere (meno 2,7%), con una accentuata differenza fra Nord e Centro-Sud. A parte la solita questione delle percentuali che ingannano (la storia del pollo è ancora più valida, se è vero come è vero che metà della ricchezza nazionale è nelle tasche di un decimo della popolazione), risulta che, soprattutto al Sud, il calo è inferiore al 2%. Si scopre che Sicilia e Calabria sono le regioni nelle quali, così dice l’ISTAT, il calo è stato ancora meno sensibile. Che c’entri qualcosa l’economia mafiosa e ‘ndranghetista? 2) L’inquinamento malavitoso nei comuni del Nord è devastante. C’entra qualcosa la rinnovata volontà di impedire le intercettazioni, modificare le regole di accertamento dei reati, riparlare di processo breve, attaccare giudici e magistrati senza distinguere (poi si scopre che anche i giudici “laici” sono dei briganti, anzi dei brigandì!)? 3) La disoccupazione giovanile è in costante aumento, ma aumenta anche la precarizzazione di quelli che riescono a trovare il lavoretto. C’entra qualcosa il baluginare carriere rapide in politica o in tv con i compensi corporali? 4) I sondaggi dicono che l’astensionismo è altissimo (oltre il 40% del corpo elettorale). C’entra qualcosa la mancanza di proposte concrete sulle quali far misurare la voglia di uscire dal fango e guardare avanti con un po’ di serietà?
Insomma, non tutto è berlusconismo, nel senso che si riaffacciano problemi antichi, riconducibili al famoso rapporto di forze esistente fra ricchi e poveri, tra padroni e servi, tra imprenditori e sottoposti, insomma, per usare un linguaggio antico, tra capitalismo e forza lavoro. Un rapporto che sarebbe ridicolo pensare di sconfiggere oggi con gli schemi del passato, ma che bisogna modificare con proposte precise. Una di queste è la intangibilità della Carta Costituzionale (articolo 41, non è un caso che vogliono riformarlo) insieme con la strenua difesa del contratto nazionale di lavoro per i diritti dei lavoratori; l’altra è la leva fiscale: tassazione feroce delle rendite finanziarie, aumento delle aliquote sui grandi redditi (la Camusso ha proposto di colpire i redditi lordi oltre gli 800.000 euro, può essere un primo passo), lotta spietata all’evasione e, lo ripropongo qui, pubblicazione degli elenchi degli evasori scoperti, perché voglio sapere a chi non richiedere più prestazioni lavorative e professionali. E poi, certo, un ripensamento sulle lenzuolate e sulle liberalizzazioni: basta l’esempio del basso livello al quale è giunto il trasporto ferroviario, liberalizzato di nome (ma la logica è quella), in Italia: bei treni per i ricchi su alcune linee a grande percorrenza e treni puzzolenti (quando ci sono) per milioni di pendolari.
Per affrontare questi problemi c’è comunque una condizione preliminare: cacciare il capobanda di Arcore. Non ci può più essere equivoco su questo punto. Ha ragione Loris quando dice che per ripulire il paese dal berlusconismo occorreranno decenni (magari anche con un’autocritica di tanti padri e tante madri), ma il punto è che senza la cacciata di B gli anni rischiano di diventare cinquanta! Non vi è dubbio che occorre provvedere a restituire dignità e cultura civile al Paese, ma anche ciò diventa improponibile con la permanenza di B, perché questa presenza sempre più anomala al governo di in un Paese che voglia considerarsi civile comporta la diffusa presenza di ominicchi (e donnicchie), veri e propri quacquaracqua (come direbbe Sciascia) in ogni ganglio istituzionale, tutta robaccia che senza Berlusconi sarebbe destinata alla scomparsa dalla scena pubblica.
Proviamo a pensarci. Sul serio.
Giuliano Giuliani