martedì 24 gennaio 2012

POLITICA E ARITMETICA


L’assenza dell’aritmetica è un limite grave della politica: parlare senza mai far di conto complica le cose e rende sempre più incomprensibili le proposte, ammesso che qualche volta ci siano. Ma il deficit di aritmetica rende spesso incomprensibili anche le notizie di cronaca che pure, per la loro rilevanza, dovrebbero farci sperare.
E’ il caso dell’indagine della Finanza che ha individuato 7.500 grandi evasori. Bene, ci sarebbe solo da aggiungere che questi in galera non ci vanno mai e sarebbe invece il caso di cambiare regola e, come si dice troppo spesso per i poveracci, chiuderli e gettare via la chiave.


La cosa si complica se ti metti a fare due conti sul proseguo della notizia: “hanno sottratto all’erario 21 miliardi di euro”. “Sottratti all’erario” vuol dire che quei 21 miliardi erano tasse, e quindi che il reddito era molto di più, più del doppio, dal momento che l’aliquota più alta è del 43%. Per arrotondare facciamo circa 50 miliardi di euro di reddito. Bene. La cosa si complica se ti viene in mente di dividere quei 50 miliardi per il numero di evasori totali scoperti ai quali fanno capo. Giocando con gli zeri (che per il miliardo sono nove) ti accorgi che, in media, ciascuno di quei 7.500 furfanti ha un reddito di oltre sei milioni e mezzo di euro, uno stipendietto alla Marchionne, insomma, escluse ben inteso le stock option.
E qui la cosa si complica ulteriormente. Perché la notizia riportata dal Fatto quotidiano ti racconta di un medico da 100 euro all’ora al quale la Finanza ha contestato 600 mila euro di entrate non denunciate. Per rispettare la media dei sei milioni e mezzo a cranio, quindi, ce ne deve essere almeno uno che di entrate ne ha avute per 12 milioni. E così via.
In ogni caso, dalla notizia corredata di aritmetica discenderebbe che in Italia di ladri titolari di un reddito alla Marchionne, cioè superiore ai 6 milioni e mezzo di euro, ce ne sono almeno 7.500. In realtà molti di più, ma fermiamoci al dato.
Viene allora spontaneo chiedersi: perché questi tecnici al governo, che pure per gestire i loro affari di banca sono certamente esperti di aritmetica, non hanno saputo fare un po’ di conti nell’interesse del paese? Sarebbe bastata una patrimoniale del 20% sui redditi di quei 7.500 ladri (che ovviamente avrebbero potuto scoprire anche prima, e comunque meno male che la Finanza abbia saputo e voluto farlo) per recuperare una decina di miliardi, invece di sottrarli ai pensionati, ai lavoratori, ai precari. Sapendo bene, poi, che quei 7.500 sono solo la punta di un iceberg.
La risposta è una sola. Questo governo, sobrio, pulito, presentabile sulla scena internazionale, discreto, educato, che sa anche parlare le lingue e non soltanto muoverle, è un governo di destra, che di fronte a ogni scelta sa bene da che parte stare, quella dei poteri forti, dei ricchi, dei banchieri, e quindi di quel pezzo di società dove si annidano i peggiori ladri e furfanti.
Di certo non fa il bunga bunga. E per questa ragione è apprezzato. Ciò ha una conseguenza meritevole, tuttavia: non potendo più parlare di bunga bunga siamo obbligati a parlare di politica. Se ci mettiamo finalmente un po’ di aritmetica, forse ce la possiamo ancora fare.

giovedì 12 gennaio 2012

ADDIO REFERENDUM. E LA SINISTRA?


Sono convinto da tempo che il meccanismo del referendum vada modificato: ad esempio aumentando di molto il numero delle firme necessarie (anche fino a due milioni), con congruo aumento dei tempi per raccoglierle, e abolendo il quorum, lasciando cioè ai cittadini il diritto-dovere di decidere.
Sono altrettanto convinto che sia una violenza alla democrazia privare i cittadini di questo diritto-dovere, come ha fatto oggi la corte costituzionale, con motivazioni che non guardano alla sostanza e che mi appaiono sinceramente ridicole.


Ciò premesso vengo alla sostanza della questione, e cioè alle divisioni a sinistra che la stessa indizione del referendum e la raccolta delle firme hanno innestato (come se ci fosse bisogno di altri argomenti di divisione e di distinguo in questa derelitta sinistra italiana!). E lo faccio perché sono altrettanto sinceramente preoccupato da alcune ovazioni alla decisione della corte che ho sentito e letto su FB.
È certamente condivisibile l’affermazione che il cosiddetto mattarellum non è il massimo e che il miglior sistema elettorale, in grado di restituire alla politica e ai partiti la capacità di decidere come governare, è il proporzionale puro con adeguato sbarramento per evitare la degenerazione ridicola delle cinquanta liste (operazione nella quale la sinistra non ha eguali: oggi, in Italia, si contano 12 partiti cosiddetti comunisti!). Insomma, un sistema alla tedesca, spread permettendo.
Il mattarellum elegge il 75% dei parlamentari col sistema dei collegi uninominali (favorendo quindi il formarsi di coalizioni ma obbligando a scelte di persone che abbiano almeno una parvenza di dignità), e affida il restante quarto al proporzionale, con uno sbarramento al 4% su base nazionale (favorendo quindi anche la possibilità di non essere obbligati a scelte di coalizione). E per questo 25% di parlamentari da eleggere ci sono le preferenze, unica garanzia contro la elezione di uno Scilipoti o di uno Stracquadanio, o di quel radicale eletto nel PD che vota a favore dei casalesi. E invece no, guai al mattarellum, così ci teniamo il porcellum che, nell’attuale panorama, può consentire a una coalizione che prenda poco più di un terzo dei voti espressi (cioè poco più di un sesto del corpo elettorale, data la convinzione presente ad esercitare il diritto-dovere di voto) di ottenere la maggioranza assoluta di 340 seggi alla Camera e condizionare così il governo in modo totalitario. Con l’aggiunta che ladri, mafiosi, saltimbanchi (tutti, naturalmente, a loro insaputa!), senza nessun controllo da parte dei cittadini, potranno tranquillamente continuare a frequentare le aule parlamentari.
Pia illusione, con tanti auguri di ristabilimento, quella di chi pensa che l’attuale quadro politico possa consentire un’intesa per una nuova legge elettorale. Per come sono adesso i gruppi dirigenti dei partiti presenti in Parlamento, non emergerà proprio una voglia di pulizia e di rinnovamento. Il risultato sarà che quella che viene considerata la sinistra radicale del paese verrà esclusa dalla rappresentanza parlamentare anche nella prossima legislatura e si avvierà così alla definitiva estinzione.
Questo, sinceramente, mi addolora e mi preoccupa.

domenica 4 dicembre 2011

MEGLIO IL MARE


Grazie a RAI NEWS abbiamo conosciuto in diretta i punti della manovra di Monti e la conferma che è proprio necessario CAMBIARE PROGRAMMA. Ma non nel senso di non guardare martedì quella schifezza di P a P.
La manovra del governo di salvezza nazionale è proprio indigeribile. Perché? Perché l’equità più volte ricordata come uno dei fondamentali principi ispiratori della manovra non c’è affatto. I ricchi non pagano, persino quell’uno e mezzo per cento di tassa aggiuntiva sui furti di danaro all’estero che B e il suo ministro avevano graziato con lo scudo è insignificante rispetto alla mannaia che si abbatte su milioni di pensionati con la deindicizzazione delle pensioni: salvano quelle sotto i 960 euro lordi mensili, come se quelli che stanno un po’ sopra possano considerarsi benestanti. C’è stata persino la cerimonia delle lacrime del ministro mentre annunciava la misura accreditandola col termine di “sacrificio”. Una misura oscena che ha assunto le pensioni, presenti e future, come fonte per fare cassa. Una scelta vergognosa. 

Le tasse sulla casa hanno uno squilibrio molto forte, perché è imparagonabile la condizione di reddito fra chi ha soltanto la casa dove vive (per molti ancora sotto mutuo) e chi di case ne ha diverse. È la rinuncia a una vera patrimoniale che, quella sì, avrebbe potuto introdurre qualche riequilibrio nel senso dell’equità.
La lotta all’evasione si riduce a una tracciabilità sopra i mille euro, non proprio la spesa dal panettiere o dal lattaio. Poca cosa la estensione dell’imposta di bollo sulle transizioni finanziarie. Nulla invece sulla assimilazione ai redditi da lavoro di tutte le altre fonti di reddito, e in primo luogo di quelle finanziarie, che restano tassate al 12,5%. E pura fantasia l’aumento ventilato delle aliquote IRPEF sui redditi oltre i 75.000 euro (non proprio una pensione minima!). La destra non lo permetteva. Domanda: perché il centro-sinistra dovrebbe permettere tutto il resto?
Ma la cosa più indisponente della presentazione è stata la farsa sulla riduzione delle spese della politica, compresa la dichiarazione di Monti sulla rinuncia all’assegno del premier, visto che, ai suoi redditi, si è aggiunto lo stipendio da senatore. Come dire: guardate come siamo bravi, non siamo politici, siamo solo tecnici. E i gonzi ci cascano. E adesso tutti parlano della riduzione dei costi della politica perché nella manovra ci sarebbe anche la riduzione a 10 del numero dei consiglieri provinciali (per altro già contestata come anticostituzionale dall’Unione delle Provincie). Un’altra bufala. Cento provincie in Italia, significherebbe ridurre il numero complessivo dei consiglieri di circa duemila unità. Se anche lo stipendio fosse di 100.000 euro annui ci sarebbe un risparmio di duecento milioni di euro all’anno. Ridicolo rispetto ai 30 miliardi aggiuntivi della manovra.
Insomma, propaganda pura. Si direbbe molto politica, per stare al tema, e per niente tecnica. Chissà se lo si capisce!

sabato 3 dicembre 2011

CAMBIARE PROGRAMMA


Ho partecipato recentemente a un dibattito sulla repressione, con particolare riferimento al luglio genovese del 2001 e al recente 15 ottobre romano. Fra gli intervenuti, un anziano partecipante (un mio coetaneo, insomma) ha sostenuto che è del tutto legittimo spaccare vetrine e bancomat, che il più grave errore del movimento è stata la scelta della non-violenza e che i cosiddetti black bloc sono una avanguardia. Non ho avuto difficoltà ad osservare che mi sarebbe stato difficile e complicato, proprio con riferimento ai fatti di Genova e di Roma, accettare un carabiniere e un poliziotto vestiti di nero come avanguardie del movimento del quale intendo continuare a far parte.
Passando a cose più serie, la discussione si è sviluppata intorno alle vicende politiche. Riporto qui alcune osservazioni che mi è parso necessario fare.
La prima. E’ sufficientemente condivisa la constatazione della gravità della situazione presente e dei rischi che si corrono. Forse non altrettanto la valutazione di un dato storico: dopo la rivoluzione d’ottobre, le grandi e gravi crisi economiche che hanno travagliato le diverse società hanno sempre determinato una svolta a destra, nei casi più terrificanti col fascismo in Italia e il nazismo in Germania. Soltanto una volta l’uscita dalla crisi è avvenuta “a sinistra”, negli Stati Uniti con Roosevelt dopo la crisi del ’29.


La seconda. Si dice spesso che i sondaggi non contano. Lo trovo sbagliato e incongruo. Un esempio convincente? Se B non avesse avuto la certezza, proprio attraverso i sondaggi, della sua sconfitta lacerante in caso di elezioni anticipate, non avrebbe compiuto il “gesto generoso”, come i suoi lecchini si ostinano a dire. I sondaggi sono ormai condotti con metodi scientifici e rappresentano la realtà. Mi chiedo allora come sia possibile che, nonostante le indiscrezioni sulla durezza a senso unico (traduco: sempre i soliti) delle manovre annunciate da Monti, il professore continui ad avere la piena fiducia di una grande maggioranza di cittadini italiani (fra i quali ci sono anche parecchi di quelli che decidono di non votare alle prossime elezioni). La risposta che mi do è una sola: la fiducia viene innanzi tutto dalla considerazione che lì in mezzo non ci sono “politici” (poi, come sappiamo, il dato è enfatizzato). Cioè sono il ribrezzo e lo schifo per la politica, tanto diffusi fra i cittadini, che determinano la fiducia per coloro che sono considerati (ripeto con un eccesso di enfasi) tecnici, e quindi non-politici a prescindere, direbbe Totò. Una fiducia che deriva dalla diffusione dell’antipolitica, alla quale molti portano acqua, a cominciare dal grillismo.
La terza. Per quanto possa apparire esagerato, soprattutto a chi continua ad avere stimoli e convinzioni sulla necessità della politica, questo schifo e questo ribrezzo diffusi hanno purtroppo fondamento nella situazione drammatica in cui la politica versa, ma rappresentano anche il dato da cui partire. Il rinnovamento, la questione morale, la modestia, la linearità dei comportamenti non possono essere opzioni, ma devono essere assunte come condizioni essenziali per la scelta (a tempo e non continuamente rinnovabile) dei gruppi dirigenti. E i programmi, i contenuti, le scelte da fare nell’immediato, le priorità, la credibile fattibilità, devono essere enunciati, discussi e spiegati nei dettagli, ed avere l’assoluta priorità sulle declamazioni ideologiche e simboliche.
Esiste una possibilità immediata per cercare di mettere in atto questo terzo assunto: il giudizio da dare (e come esprimerlo) sulle misure che il governo Monti porterà finalmente a conoscenza dei cittadini, dopo averlo illustrato ai suoi colleghi europei e ai responsabili della finanza mondiale (a quella nostrana ci hanno pensato, per consanguineità, alcuni ministri e sottosegretari, raccogliendo anzi preziosi suggerimenti). Troppe voci, spesso persino contrastanti, troppe indiscrezioni sfuggite alla sobrietà hanno finito col confondere giudizi di merito che in questa situazione dovrebbero avere l’assoluta priorità.
Su una cosa mi pare necessario prendere posizione subito. E ritenere indecorosa la scelta compiuta dal professore di andare ad illustrare il programma nello studio televisivo dell’insetto, anche se ha dovuto rassicurare che ciò avverrà dopo la frettolosa presentazione in Parlamento. Non riesco ad immaginare il plastico sobrio del sobrio programma che il sobrio professore presenterà. Ma certamente non mi curerò di sanare questa curiosità. Da qui l’invito rivolto a tutti, per quella sera: CAMBIARE PROGRAMMA!
È assai probabile che debba valere anche dopo, riferendosi a ben altri programmi; per questo occorre, appunto, una politica diversa da quella che ha fatto apprezzare l’arrivo dei banchieri al governo (come non bastasse già la loro invasiva presenza nell’economia finanziarizzata, prima causa della grave crisi economica). Ma, come scriveva Robespierre in epoca non sospetta: “E’ nella natura delle cose che la marcia della ragione sia lentamente progressiva. Il governo peggiore trova un appoggio potente nei pregiudizi, nelle abitudini, nell’educazione dei popoli. Lo stesso dispotismo deprava lo spirito degli uomini fino a farsi adorare e fino a rendere la libertà sospetta e terrificante a prima vista”.