domenica 13 febbraio 2011

GRAZIE ALLE DONNE

Una fitta pioggia ha consigliato a parecchie persone di abbandonare piazza De Ferrari e trovare riparo sotto i portici di XX settembre, mentre un fiume stava ancora risalendo da Caricamento lungo via San Lorenzo. Così l’impressione finale della gloriosa piazza di Genova piena  di storia è stata inferiore al reale coinvolgimento. Ma, stando appunto alla realtà e non alle inutili moltiplicazioni, la manifestazione per la dignità delle donne ha visto non meno di ventimila presenze, un dato enorme se lo misuriamo con i tempi correnti. Inutile il contributo ai numeri da parte di qualche povero idiota berlusconiano che assisteva al corteo, ben riconoscibile per il volto che disperatamente cercava di celare il vuoto espressivo con l’assetto grintoso.
Tantissime donne, molti uomini, discreta presenza di under-30, anche bambine e bambini con i loro genitori, è giusto che imparino fin dalla tenera età per potersi meglio regolare. Tante persone insomma. Solo cartelli, qualche sciarpa e qualche palloncino, rigorosamente bianchi, nessuna bandiera. E infatti la prima riflessione è: se ci fossero state le bandiere di partito si sarebbero contate meno di un quarto delle presenze. Quasi tutti d’accordo con questo giudizio. E allora? Sì, perché l’accordo di quasi tutti è anche sulla certezza che un partito, cioè una organizzazione politica, è assolutamente necessaria. Resta quindi l’imperativo, per coloro che hanno questa convinzione, di fare qualcosa per riorganizzare una forza unitaria della sinistra, correggere gli errori (non pochi), liberarsi di un po’ di ingombranti e incapaci dirigenti. E sconfiggere l’altro nemico sempre in agguato, il qualunquismo, l’astensionismo.
L’indifferenza, insomma. E qui, se permettete, ritorno a Gramsci.

Odio gli indifferenti: credo che vivere vuol dire essere partigiani. Indifferenza è abulia, è parassitismo, è  vigliaccheria, non è vita. Perciò odio gli indifferenti.
L’indifferenza è il peso morto della storia. È la palla di piombo per il novatore, è la materia inerte in cui affogano spesso gli entusiasmi più splendenti, è la palude che recinge la vecchia città e la difende meglio delle mura più salde, meglio dei petti dei suoi guerrieri, perché inghiottisce nei suoi gorghi limosi gli assalitori, e li decima e li scora e qualche volta li fa desistere dall’impresa eroica.


L’indifferenza opera potentemente nella storia. Opera passivamente, ma opera. È la fatalità; è ciò su cui non si può contare; è ciò che sconvolge i programmi, che rovescia i piani meglio costrutti; è la materia bruta che si ribella all’intelligenza e la strozza. Ciò che succede, il male che si abbatte su tutti, non è tanto dovuto all’iniziativa dei pochi che operano, quanto all’indifferenza, all’assenteismo dei molti…
Alcuni piagnucolano pietosamente, altri bestemmiano oscenamente, ma nessuno o pochi si domandano: se avessi anch’io fatto il mio dovere, se avessi cercato di far valere la mia volontà, il mio consiglio, sarebbe successo ciò che è successo? Ma nessuno o pochi si fanno una colpa della loro indifferenza, del loro scetticismo, del non aver dato il loro braccio e la loro attività a quei gruppi di cittadini che, appunto per evitare quel tal male, combattevano, di procurare quel tal bene si proponevano.
I più di costoro, invece, ad avvenimenti compiuti, preferiscono parlare di fallimenti ideali, di programmi definitivamente crollati e di altre simili piacevolezze…
Odio gli indifferenti anche per ciò, che mi dà noia il loro piagnisteo di eterni innocenti. Domando conto ad ognuno di essi del come ha svolto il compito che la vita gli ha posto e gli pone quotidianamente, di ciò che ha fatto e specialmente di ciò che non ha fatto. E sento di poter essere inesorabile, di non dover sprecare la mia pietà, di non dover spartire con loro le mie lacrime…
Vivo, sono partigiano. Perciò odio chi non parteggia, odio gli indifferenti.

Lo scritto è apparso su La città futura l’11 febbraio 1917, novantaquattro anni fa. Facciamone tesoro.

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