giovedì 30 dicembre 2010

IO STO CON LA FIOM

Non è uno sciopero come gli altri quello deciso dalla FIOM per il 28 gennaio prossimo, questo è certo. Non è in gioco una vertenza, come le tante per le quali si è lottato in anni diversi. E’ in gioco davvero un pezzo decisivo della democrazia. Si tratta di stabilire se per sopravvivere è giusto perdere diritti fondamentali e ridursi in forme di vera e propria schiavitù, o se questa aberrante prospettiva va respinta con forza e con sdegno.
Quali sono questi diritti fondamentali? In primo luogo quello di scegliere da chi essere rappresentati in una parte decisiva della nostra vita, quella che trascorriamo nei luoghi di lavoro, cioè un fondamento della democrazia rappresentativa: sei contro l’accordo, dice Marchionne, e allora non esisti.
Il diritto a sopravvivere ai ritmi di lavoro imposti dalla catena di montaggio, basta ascoltare i racconti di quelli che lo fanno da venti o trent’anni, che non sembrano proprio “fannulloni”.
Il diritto ad ammalarsi, conseguenza non rara con quei ritmi di lavoro e con le condizioni spesso presenti in fabbrica, e magari anche ad essere curati, cosa sempre più complicata nel Paese.
Il diritto a non essere presi in giro. Cito qui l’aumento di salario concordato: 360 euro lordi all’anno! Traduciamo: detratti gli oneri previdenziali e le tasse, un po’ meno di 20 euro netti al mese, neanche un caffè al giorno, a meno di consumarlo nelle macchinette che Marchionne generosamente installerà all’interno dei reparti, pausa permettendo.
Sono diritti faticosamente conquistati con decenni di lotte sindacali che la destra sta quotidianamente sbriciolando: bastava vedere il ghigno del ministro Sacconi che commentava l’accordo firmato da CISL e UIL e da un po’ di altri sindacati di comodo.
Che cosa possiamo fare, allora? Offrire ai lavoratori metalmeccanici la nostra solidarietà, parlarne con le persone che incontriamo, svelare le manovre, contrastare un’informazione di comodo che è già partita con il tam tam sugli estremisti di sinistra che vogliono distruggere la FIAT, convincere gli elettori del PD che è giusto rimandare ai mittenti le considerazioni dei vari D’Alema, Fassino e Chiamparino,
fare gruppo. Insomma, fare Politica, quella con la p maiuscola, appunto.
Da  qui al 28 gennaio c’è un mese, un mese che può essere importante per le sorti del Paese. Utilizziamolo al meglio. Magari anche condividendo questa nota.

Giuliano Giuliani

martedì 28 dicembre 2010

GIUSTIZIA?!

Ieri sera, su RAI3, Carlo Lucarelli ci ha raccontato con la consueta maestria la storia della “mala del Brenta”, una banda criminale che un abile e disinvolto individuo ha costruito negli anni con rapine, case da gioco, traffico di armi e stupefacenti, riciclaggio di denaro sporco, corruzione di appartenenti a corpi dello Stato, mettendo insieme una ricchezza enorme disseminata nelle banche di mezza Europa. Non sono mancati, ovviamente, una trentina di omicidi. La “mala” si è presto trasformata in una potente mafia del nord (il Brenta scorre nel Veneto). L’intraprendente capobanda, dopo essere stato più volte arrestato e altrettante volte evaso con la complicità di guardie compiacenti, ha saputo cogliere l’occasione offerta dalla legislazione che prevede i pentiti di mafia, e ha cominciato a raccontare molte cose, persino che una parte degli omicidi lo vedevano direttamente coinvolto e non solo mandante. I suoi racconti, così si dice, hanno agevolato la cattura di qualche centinaio di individui a vario titoli implicati nelle vicende che hanno visto terrificante autrice la banda. E così nel processo il capobanda è stato condannato a 17 anni, se non ho capito male già scontati.

La mia memoria corre sempre ai fatti del luglio 2001, e registra che nel processo di appello a carico di 25 manifestanti, accusati di associazione per delinquere finalizzata alla devastazione e al saccheggio, uno di questi è stato condannato a 15 anni di galera. Si noti che l’imputazione prevedeva danneggiamenti a vetrine, automobili e bancomat.

Se non ricordo male, la legge dice che la pena deve essere finalizzata al recupero del colpevole e sempre commisurata alla gravità della colpa. Il codice fissa il minimo e il massimo per ogni reato, fatte salve le attenuanti e le aggravanti. E poi c’è la giurisdizione speciale. Ma la mia domanda è: c’è un nesso tra 17 anni per chi si è reso direttamente responsabile di numerosi omicidi, oltre a tutto il resto, e che non ha neppure restituito la montagna di denaro illecitamente accumulata, e i 15 anni comminati per danni alle cose? Intendiamoci, non giustifico le inutili bravate compiute a Genova, e che, va sempre ricordato, hanno offerto un alibi per la spietata e organizzata repressione nei confronti dei veri manifestanti; penso che siano reati e che i danni prodotti vadano risarciti, ma non offendiamo Beccaria più di tanto!

Non credo neppure che ci sia un coinvolgimento dei collegi giudicanti. A Genova, gli stessi giudici assolvono o condannano a pene lievi cadute in prescrizione una cospicua parte di quei 25, perché le loro azioni sono state “una reazione a cariche ingiustificate e violente dei reparti dei carabinieri”, un’azione di resistenza insomma. Per comminare 15 anni si sono forse limitati a una applicazione burocratica di ciò che prevede l’articolo del codice? E nel caso del capo della mafia del Brenta? Anche in quel caso, forse, i 17 anni derivano da un astruso calcolo di riduzioni successive previsto dalla legislazione speciale (uno degli amici avvocati che leggono mi aiuti a correggere eventuali errori interpretativi). Ma questo è il punto che voglio sollevare: penso che ogni legge e ogni articolo vadano applicati con una dose interpretativa che esalti il ruolo di un giudice e di un collegio giudicante, altrimenti la cosa si potrebbe risolvere a minor costo con un computer. Potrebbe essere una delle questioni da approfondire nel quadro di una riforma vera della giustizia (non quella di Alfano e di B, dunque!).

Un’ultima noterella. Se passasse la proposta leghista e berlusconiana dei giudici eletti direttamente dal popolo, nei due casi in questione avremmo avuto dieci ergastoli per il ragazzo di Genova e il Nobel per la pace per il capo della mafia del nord (bastava sentire nella trasmissione di Lucarelli i commenti di un po’ di concittadini dall’inconfondibile accento “brentiano”).

Giuliano Giuliani

lunedì 27 dicembre 2010

UN TRILEMMA

Sull’Unità di oggi Francesco Piccolo conclude il suo pezzo politico ironico così: il PD è come i bambini dell’asilo, che sono fidanzati con le bambine dell’asilo, ma le bambine non lo sanno. Alla ricerca di alleanze senza avere deciso per fare che cosa, se non un sempre più vago e generico “via B”.

Ecco, è proprio il “che fare” che continua ad essere praticamente assente dalla scena politica, e potremmo aggiungere il “per chi fare”. Anzi no: perché se si decidesse prima il “per chi fare” sarebbe più facile far discendere il che fare. Il dilemma non è estraneo neppure alla sinistra, oggi extraparlamentare soprattutto per i suoi errori e le sue debolezze. D’altra parte, nella situazione politica attuale, non si può prescindere dal “con chi fare”, altrimenti sono chiacchiere (e mi insegnava mia nonna napoletana – qui ovviamente lo traduco – che “chiacchiere e tabacchiere di legno il Banco dei pegni non le impegna”). E così il dilemma diventa un trilemma.

Allora, proviamo a dire che si vuole rinnovare la politica per rispondere alle domande poste da quel blocco sociale (è espressione persino troppo grossa quanto a ottimismo) che sembra si stia delineando: operai a rischio lavoro, precari, operatori della cultura, un po’ di artigiani e giovani studenti, universitari e delle scuole superiori. Devi aggiungerci un buon numero di pensionati (quelli attuali!), altrimenti non fai il quorum. Per rispondere alle domande di questo “blocco” il “che fare” è facile da individuare: rispetto dei diritti e della sicurezza sul lavoro; un salario adeguato; garanzie di continuità dopo una flessibilità ridotta all’osso; valorizzazione di una risorsa essenziale per l’economia del Paese, la cultura appunto; aiuti concreti, in termini di valorizzazione della qualità dei prodotti; una scuola e una università riportate all’optimum che erano riuscite a raggiungere negli anni sessanta e settanta; aumento delle pensioni minime.

Dove si trovano i soldi? Impegno davvero serio nella lotta all’evasione (si parla di qualche centinaio di miliardi di euro, l’equivalente di decine di leggi finanziarie), tracciabilità, basta condoni, pene severissime per chi evade (il mio sogno è vedere qualche ricco in galera, lo fanno perfino negli Stati Uniti!), utilizzo dei beni sequestrati alle mafie (e non restituzione come vogliono fare questi banditi al governo), riforma fiscale con aumento delle aliquote sui grandi patrimoni e sulle grandi ricchezze.  Insomma, i soldi si possono trovare, l’importante è volerlo. E qui sta il punto.

Il PD è indispensabile, nella fase attuale, per un’alternativa a B. Ma i dubbi sulla credibilità del PD fanno venire i brividi. Come puoi pensare che si oppongano alle decisioni tiranniche di Marchionne individui come Fassino, Chiamparino, per non parlare di Ichino, che è d’accordo con i deliri di Sacconi nel giudicare gli accordi separati di Torino come l’avvio di una fase nuova che “farà scuola”? Certo, è dura, ma resta la considerazione che un cambio di governo è urgente perché così il Paese peggiora la sua rovina e non possiamo permetterci di attendere tempi migliori.

Io credo che l’urgenza è mettere insieme una forza di sinistra che condizioni il PD e lo obblighi a scelte sufficientemente coerenti con quel “per chi fare”. La “sufficienza” dipende proprio dai rapporti di forza che puoi mettere in campo.

Io la penso così. E voi?


Giuliano Giuliani

venerdì 24 dicembre 2010

BOMBE A OROLOGERIA

Però, che puntualità! Troppo bella e pacifica la manifestazione degli studenti romani, e poi, quel presidente che si permette anche di riceverli e di ascoltare le loro ragioni! E così arrivano le bombe, per adesso di calibro contenuto, anche se un poveretto ci rimette le mani. Ma quello che conta è la rivendicazione. Maroni l’aveva detto: sono anarchici. E infatti la sigla è FAI, Federazione Anarchica, ma la I non sta per Italiana, è l’acronimo di “informale”, più aderente alla caratteristica del governo. L’essenziale è che i babbioni ci credano, che non si facciano illusioni sulla reale volontà distruttrice di quei ragazzacci che protestano contro la migliore delle riforme possibili (questi cialtroni berlusconiani ricopiano persino gli slogan), colgano i collegamenti che gli studenti stanno costruendo con i precari, che sono tali perché fannulloni, come dice Brunetta, e con gli operai che accampano diritti invece di “lavurà” e basta, come suggerisce il Trota! E sotto la direzione di questi pensatori il Paese affonda miseramente.

La risoluzione di un gioco enigmistico mi ha offerto una frase del Giusti che si adatta molto al fondatore del partito del predellino: “Alcuni amano tanto la libertà da volerla tutta per sé”. Ecco, un’idea di fondo intorno alla quale raccogliere le volontà è che se non c’è libertà per i più deboli non c’è per nessuno a parte il tiranno e i suoi accoliti. Guarda caso è l’idea fondante della sinistra, non dimentichiamolo.