sabato 19 gennaio 2013

RIDATECI LE TRIBUNE POLITICHE!





Alla fine ha dovuto chiedere scusa due volte per averla condotta male; sarebbe dignitoso riconoscere che è stata organizzata peggio. Mi riferisco a Leader, la trasmissione malcondotta da Lucia Annunziata, andata in onda venerdì sera su RAI 3, presentata come la grande novità che avrebbe dato, nel corso di quattro puntate, i capi delle principali liste “in pasto” ai cittadini. Primo ospite Ingroia, accompagnato da un po’ di candidati della lista Rivoluzione civile. Senza sorteggio, ovviamente, ma in base alla caratura del peso politico (vedremo la conferma nelle prossime puntate, se la direzione RAI non provvederà a sostituirla con qualcosa che abbia almeno il sapore della decenza). E subito qualcosa di strano c’è. Fra i candidati che accompagnano Ingroia c’è l’ex cinque stelle Favia (con l’accento sulla prima a, occorre precisarlo perché anche la conduttrice lo chiama Favìa, e lui giustamente la corregge, come dovrà fare anche con altri ospiti della trasmissione). Però, accenti a parte, la sua presenza giustifica il collegamento con un ampia palestra con grandi gradinate nella quale si esibisce Grillo, che mostra le sue doti di camminatori andando da una parte all’altra inseguito da una nutrita truppa di cameraman e portamicrofoni. C’entra? Forse, perché una prima accusa (o domanda) a Ingroia riguarda la possibile alleanza con il grand hotel. Giornalismo spinto, vedremo nelle prossime puntate.
Di possibili consumatori del “pasto” c’erano, al freddo, in piazza, una quindicina di operai di Pomigliano, qualche dipendente del San Filippo, un paio di giovani. Sul finire della puntata sono stati accolti in un una sala attigua e hanno potuto rivolgere un paio di domande. Prima, cioè per tre quarti di trasmissione, le domande la hanno fatte: una giornalista di Repubblica e il graziato direttore del Giornale (che naturalmente è stato protagonista di uno dei suoi soliti numeri tesi a impedire che da casa si capisse qualcosa); un rappresentante dei piccoli imprenditori trevigiani; un rappresentante di quartiere di Scampia, interessato soltanto a sapere perché un consigliere di Napoli sia stato candidato in Veneto; un sindacalista dei militari, comunque almeno contrario alle spese per armamenti, droni inclusi; un rappresentante di un’associazione di omosessuali, giustamente desideroso di sapere quale fosse l’orientamento di Ingroia sul tema dei diritti civili. Non potevano mancare due sindaci valsusini, interessati a sapere come il programma di Rivoluzione civile potesse essere contrario alla TAV avendo fra i promotori Di Pietro che la TAV la aveva approvata e sostenuta quando era ministro. La conduttrice non è stata neppure sfiorata dalla curiosità e non ha domandato ai due sindaci quale fosse semmai la loro posizione sulla TAV rispetto a quella dei molti cittadini valsusini. Anche per la circostanza che i due appartengono a due partiti schierati energicamente a favore della TAV: uno del PD e l’altro del PDL: questo, a scanso di equivoci, ha precisato di essere un galantuomo.
C’era già materia per sospettare una trasmissione condotta male e organizzata peggio. La certezza è arrivata quando sono entrati in scena i “cittadini”. Un operaio di Pomigliano ha inveito contro le critiche a Marchionne che servono solo a denigrare un’azienda che investe un miliardo (Bonanni non deve avergli spiegato che di miliardi da investire ne aveva promessi 24!). L’ospedaliero si è limitato a urlare che sono mesi che lui e sua moglie, anch’essa dipendente del San Filippo, non percepiscono stipendio, questione che è davvero difficile attribuire come colpa ad Ingroia. Che cercava di rispondere, spesso in maniera poco brillante e convincente. Alla fine hanno cercato di intervenire anche la sorella di Stefano Cucchi e la madre di Federico Aldrovandi, ma l’Annunziata ha presto interrotto entrambe con il solito artificio dei tempi stretti, quando si è resa conto che la cosa si complicava sul tema scottante delle violenze attribuibili a corpi dello Stato.
Insomma, come erano belle le Tribune politiche condotte da Jader Jacobelli e Ugo Zatterin! Belle anche perché a rispondere c’erano Togliatti, Nenni, persino Fanfani, e poi Moro, Pertini e il più grande di tutti, l’Enrico. Ecco, l’Annunziata non è certo Jacobelli e neppure Zatterin. Purtroppo anche Ingroia non assomiglia a quegli altri.
E non è certo un difetto soltanto suo. Mala tempora currunt.

giovedì 13 dicembre 2012

COME USCIRE DALLA SUBALTERNITA’?



Che l’Europa (non dimentichiamo che il partito popolare è quello di maggioranza relativa e di fatto esprime il governo europeo) indichi il candidato preferito per guidare l’Italia nella prossima legislatura non mi pare una buona cosa. E’ vero, si può obiettare, è stata una riunione di partito. Ma così dicendo si nasconde che lì c’erano rappresentanti di primo piano dei governi, a cominciare dalla Merkel, che davano ben altra ufficialità alla riunione. Lo stesso sobrio tecnico vi ha partecipato in quanto capo quasi dimissionario del governo italiano (d’altra parte non è membro del parlamento europeo e neppure fa parte di uno dei partiti che concorrono alla formazione del partito popolare europeo). Nessuno ha sollevato problemi sotto questo profilo, e anche ciò non mi pare buona cosa.
Non riduce la pericolosità di un simile accaduto la considerazione che quella riunione ha ribadito la assurdità della ricandidatura della mummia, come lo definisce la grande stampa europea. Non possiamo accontentarci di così poco, né il ridicolo che ricopre la mummia in tutto il mondo civile può farci recuperare ottimismo.
E’ certo che la situazione di sottostima in cui versa il paese e che sembra legittimare un intervento sovranazionale deriva proprio dall’operare della mummia in questi diciotto anni trascorsi (ai quali vanno aggiunti, non scordiamocelo mai, quelli del maestro della mummia, il Bottino). Ma anche ciò non riduce il senso di smarrimento che può derivare dai fatti che si srotolano in questi giorni.

C’è tanto da fare, allora. E di tempo ne rimane pochissimo, se pensiamo che altri cinque anni nelle condizioni di oggi probabilmente non ce li possiamo permettere. Ciò che si muove a sinistra non va molto al di là di qualche balbettio, purtroppo. E in ogni caso non si parla mai con sufficiente chiarezza delle cose da fare. Allora, al di là dei personaggi ai quali le potremmo rivolgere come domande per verificare la loro credibilità a candidarsi, propongo qui una serie di punti che potrebbero rappresentare un programma. Con una considerazione preliminare: intorno a quel programma occorrerebbe costruire uno schieramento maggioritario, per definire il quale è del tutto prevedibile che ad alcuni punti sarebbe necessario rinunciare, altri potrebbero essere modificati, altri potrebbero essere aggiunti. Insomma, quello che succede quando non si fanno chiacchiere ma si vuole fare politica.
Ecco i punti che mi paiono, salvo errori ed omissioni, qualificanti di un programma per rinnovare le condizioni della politica e del paese.

  1. Ripristinare l’articolo 18.
  2. Garantire gli esodati e ammorbidire la tagliola Fornero sulle pensioni.
  3. Ritirare le truppe dall’Afghanistan.
  4. Sospendere l’acquisto dei cacciabombardieri.
  5. Rispettare la Costituzione, chiudendo le sedi fasciste.
  6. Introdurre il codice identificativo alfanumerico per le forze dell’ordine.
  7. Introdurre una tassa aggiuntiva del 15% sui soldi rientrati con il condono Tremonti.
  8. Stipulare l’accordo con la Svizzera per tassare le ricchezze italiane abusivamente custodite nelle banche di quel paese, come hanno fatto già altri Stati?
  9. Introdurre una patrimoniale di almeno il 5% sui patrimoni superiori a 1 milione di euro?
  10. Modificare le aliquote e gli scaglioni fiscali, introducendo un’aliquota del 45% per la quota di reddito superiore ai 200.000 euro lordi (attualmente è 43) e un’aliquota del 49% per la quota di reddito superiore ai 500.000 euro (si noti che sarebbe comunque meno di quello che facevano pagare ai ricchi i democristiani!). Calcolare bene le entrate aggiuntive e ridurre parallelamente le aliquote per quelli al di sotto dei trentamila euro.
  11. Introdurre regole e pene severe per gli evasori.
  12. Restituire allo Stato la capacità-possibilità di intervento diretto nella politica industriale del paese, nelle scelte produttive e nella gestione.
  13. Dare la cittadinanza a tutti gli umani nati nel territorio della Repubblica.
  14. Approvare una legge decente sul fine vita.
  15. Approvare le unioni civili.
  16. Fare la legge sul conflitto di interessi.
  17. Affidare la direzione del servizio pubblico televisivo ai giornalisti ed eliminare le nomine dall’alto.
  18. Ridurre il numero dei parlamentari, delle province, dei comuni (molti si possono accorpare dal punto di vista amministrativo pur senza perdere la storia e la memoria) e naturalmente dei consiglieri comunali, provinciali, regionali; ridurre stipendi e indennità; rimodellare il finanziamento pubblico con obbligo di trasparenza. E modificare la legge elettorale in senso proporzionale con sbarramento e preferenze.

martedì 30 ottobre 2012

VOTO IN SICILIA



Come di consueto, anche per le elezioni siciliane è opportuno fare due conti per cercare di capire meglio quello che sta succedendo. Scontato, e mi pare condiviso sufficientemente, lo sconforto per l’aumento vertiginoso dell’astensione, arrivata ad oltre il 52 per cento degli aventi diritto. Significa che oltre due milioni e quattrocento mila siciliani non hanno esercitato il diritto-dovere che contraddistingue le democrazie dai regimi totalitari. Scavando un po’ di più, è utile confrontare i dati con quelli delle precedenti regionali del 2008. Gli aventi diritto sono aumentati di circa 75.000 unità, come saldo attivo tra le nuove leve e un po’ di elettori, prevalentemente vecchi immagino e spero, passati a miglior vita. Ciononostante il numero dei cittadini che hanno disertato le urne rispetto al 2008 è stato di ottocentoquarantacinque mila. La percentuale dei votanti è scesa infatti di quasi venti punti, dal 66,68 al 47,43. Pazzesco! Si può subito trarre una considerazione interessante. Molti commentatori hanno detto che senza la presenza del grand hotel (5 stelle) l’astensione sarebbe stata maggiore. Ne dubito. La provincia in cui si è registrata la maggiore astensione (ha votato soltanto il 41,3%) è Caltanissetta, dove è nato il candidato grillino e dove aveva sede lo stato maggiore del comitato organizzatore. Non voglio dire che è perché lo conoscevano. (Invito invece i nisseni a protestare con Microsoft, perché word segna errore sia per Caltanissetta che per nisseni!).


Il movimento di Grillo conquista il primo posto nei voti dati alle formazioni politiche con il 14,7%, ben 13 punti percentuali in più rispetto al 2008. Va subito evidenziato che il candidato nisseno ottiene il 18,1%, quindi 3,4 punti in più del partito che lo sostiene. E’ l’effetto del voto disgiunto, che rimescola le carte, perché è possibile votare per un presidente e per una lista che ne sostiene uno diverso. Acrobazie della democrazia! Occorre notare tuttavia un dato: differenze di un certo rilievo fra le percentuali dei candidati e la somma di quelle raccolte dalle liste che li sostengono si registrano solo nel caso di Miccichè (4,7 punti in meno rispetto alle liste) e Musumeci (candidato berlusconiano, che ottiene 1,3 punti percentuali in più), oltre naturalmente al Cancellieri movimentista, che come abbiamo appena ricordato vede invece aumentare notevolmente la propria percentuale. Tutto può succedere nel tourbillon del voto disgiunto, ma è singolare che Cancellieri aumenta mentre un candidato della destra vede diminuire le proprie preferenze. Un caso o una scelta consapevole degli elettori di destra? Ai posteri l’ardua sentenza! Per non essere accusato di parzialità ricordo che anche Giovanna Marano perde un 0,5% rispetto alle liste che la sostenevano (IDV e lista Fava, nella quale erano confluiti SEL, FdS e Verdi) e che l’unico a non aver sofferto del voto disgiunto è Crocetta: solo lo 0,01% in meno (cioè niente) rispetto alle percentuali delle liste che lo sostenevano: PD, UDC e lista del presidente.
Va inoltre segnalata l’ulteriore sconfitta della sinistra, quella che potremmo definire, riandando con la memoria a una delle tante disillusioni, Arcobaleno: l’1,8% in meno, dal 4,8 al 3 per cento, cioè niente, e con l’esclusione ancora una volta dalla assemblea regionale: era necessario infatti superare la soglia del 5%. Particolare curioso: l’unica formazione politica, se così si può dire, che supera la percentuale del 2008 è, insieme al grand hotel ma con un incremento assai più contenuto, l’IDV, che guadagna l’1.7%, più o meno quello perso dall’Arcobaleno, insieme al quale sosteneva la candidata che ha sostituito Fava, escluso poco prima del voto per non essere residente nell’isola. Si potrebbe dire che l’IDV è stato graziato dal fatto che la puntata di Report è andata in onda a urne chiuse! Ma questa rischia di essere antipolitica.
A tal proposito vorrei ricordare, come invito alla speranza, le parole di una bellissima canzone di Francesco De Gregori, composta quasi trent’anni fa, La storia. Dice così: E poi ti dicono "Tutti sono uguali, tutti rubano alla stessa maniera". Ma è solo un modo per convincerti a restare chiuso dentro casa quando viene la sera.
Credo stia succedendo proprio questo dramma.

martedì 16 ottobre 2012

GOVERNO DI BANCHIERI



Ancora una volta questi banchieri osceni chiamati tecnici non si sono smentiti. Avete fatto un po’ di conti sulla ventilata riduzione dell’IRPEF a favore dei più deboli? Già, perché è con questi termini che i banchieri osceni e chi li appoggia, incuranti del ridicolo o fiduciosi nel fatto che il popolo non sa far di conto, hanno commentato la proposta. Ebbene, ecco i conti.
Con la riduzione di un punto della prima aliquota attuale, cioè dal 23 al 22 per cento, e sempre di un punto della seconda aliquota, cioè dal 27 al 26 per cento, succede questo (tenendo conto ovviamente dei vari scaglioni sui quali si applica la aliquota). Chi ha un reddito annuo lordo di 15.000 euro, cioè poco meno di 1000 euro netti al mese per 12 mesi, risparmia 150 euro all’anno, cioè 12,5 euro al mese. Chi ha un lordo di 28.000 euro annui, cioè 1750 euro al mese, sempre per 12 mesi, risparmia 280 euro all’anno, cioè 23,3 euro al mese. Ma lo stesso risparmio lo realizzano anche quelli che guadagnano molto di più, anche lo psiconano, tanto per citarne uno, e naturalmente anche tutti i banchieri chiamati inopinatamente tecnici.

Allora, sarebbe bastato, dopo la riduzione di un punto delle aliquote più basse, aumentare di un punto le aliquote più alte, ad esempio quella sopra i 55.000 euro lordi (da 41 a 42 per cento) e quella sopra i 75.000 euro lordi (da 43 a 44 per cento). Quali sarebbero stati i risultati di una simile operazione? Eccoli.


Chi ha un reddito lordo di 75.000 euro annui (più di 4.000 euro al mese, quindi) avrebbe ancora un piccolo guadagno, di 80 euro all’anno, insomma qualche caffè all’anno anche per lui, tenendo conto che più di quattromila euro al mese non sono proprio il salario di un precario. Invece chi ha un reddito, poniamo, di 150.000 euro lordi, cioè una bazzecola di 7.695 euro al mese, finirebbe col pagare in più solo 670 euro all’anno, cioè 56 euro al mese. Insomma, non dovrebbe fare la fila alla Caritas!
Ovvio che gli osceni banchieri soprannominati tecnici, chi li appoggia indecorosamente, lo psiconano e un po’ di diportisti che a Genova, mentre diminuiscono i visitatori del salone nautico, non fanno calare le vendite, ci sarebbero rimasti male. Ma una misura come quella, dal momento che non sono affatto pochi quelli che si mettono in tasca redditi ben superiori ai 150.000 euro lordi, avrebbe aiutato a coprire gran parte del costo derivante dalla riduzione delle aliquote sui redditi bassi e medi.

Ma quella misura avrebbe rappresentato per la prima volta da quando gli osceni banchieri governano il paese una scelta di equità, quindi di sinistra (anzi, comunista, avrebbero subito sbraitato gli squallidi corifei montian-passerani), coprendosi anche di ridicolo, perché sarebbe stata una scelta perfettamente in linea con la Costituzione che di equità e di giustizia sociale parla e sancisce a più riprese. Già, ma anche quella è “di sinistra” e infatti vogliono abrogarla proprio nelle sue parti più in linea con la democrazia e la dignità.