Ho partecipato recentemente a un dibattito sulla
repressione, con particolare riferimento al luglio genovese del 2001 e al
recente 15 ottobre romano. Fra gli intervenuti, un anziano partecipante (un mio
coetaneo, insomma) ha sostenuto che è del tutto legittimo spaccare vetrine e
bancomat, che il più grave errore del movimento è stata la scelta della
non-violenza e che i cosiddetti black bloc sono una avanguardia. Non ho avuto
difficoltà ad osservare che mi sarebbe stato difficile e complicato, proprio
con riferimento ai fatti di Genova e di Roma, accettare un carabiniere e un
poliziotto vestiti di nero come avanguardie del movimento del quale intendo
continuare a far parte.
Passando a cose più serie, la discussione si è
sviluppata intorno alle vicende politiche. Riporto qui alcune osservazioni che
mi è parso necessario fare.
La prima. E’ sufficientemente condivisa la
constatazione della gravità della situazione presente e dei rischi che si
corrono. Forse non altrettanto la valutazione di un dato storico: dopo la
rivoluzione d’ottobre, le grandi e gravi crisi economiche che hanno travagliato
le diverse società hanno sempre determinato una svolta a destra, nei casi più
terrificanti col fascismo in Italia e il nazismo in Germania. Soltanto una
volta l’uscita dalla crisi è avvenuta “a sinistra”, negli Stati Uniti con
Roosevelt dopo la crisi del ’29.
La seconda. Si dice spesso che i sondaggi non contano.
Lo trovo sbagliato e incongruo. Un esempio convincente? Se B non avesse avuto
la certezza, proprio attraverso i sondaggi, della sua sconfitta lacerante in
caso di elezioni anticipate, non avrebbe compiuto il “gesto generoso”, come i
suoi lecchini si ostinano a dire. I sondaggi sono ormai condotti con metodi
scientifici e rappresentano la realtà. Mi chiedo allora come sia possibile che,
nonostante le indiscrezioni sulla durezza a senso unico (traduco: sempre i
soliti) delle manovre annunciate da Monti, il professore continui ad avere la
piena fiducia di una grande maggioranza di cittadini italiani (fra i quali ci
sono anche parecchi di quelli che decidono di non votare alle prossime
elezioni). La risposta che mi do è una sola: la fiducia viene innanzi tutto
dalla considerazione che lì in mezzo non ci sono “politici” (poi, come
sappiamo, il dato è enfatizzato). Cioè sono il ribrezzo e lo schifo per la
politica, tanto diffusi fra i cittadini, che determinano la fiducia per coloro
che sono considerati (ripeto con un eccesso di enfasi) tecnici, e quindi
non-politici a prescindere, direbbe Totò. Una fiducia che deriva dalla
diffusione dell’antipolitica, alla quale molti portano acqua, a cominciare dal
grillismo.
La terza. Per quanto possa apparire esagerato,
soprattutto a chi continua ad avere stimoli e convinzioni sulla necessità della
politica, questo schifo e questo ribrezzo diffusi hanno purtroppo fondamento
nella situazione drammatica in cui la politica versa, ma rappresentano anche il
dato da cui partire. Il rinnovamento, la questione morale, la modestia, la
linearità dei comportamenti non possono essere opzioni, ma devono essere assunte
come condizioni essenziali per la scelta (a tempo e non continuamente
rinnovabile) dei gruppi dirigenti. E i programmi, i contenuti, le scelte da
fare nell’immediato, le priorità, la credibile fattibilità, devono essere
enunciati, discussi e spiegati nei dettagli, ed avere l’assoluta priorità sulle
declamazioni ideologiche e simboliche.
Esiste una possibilità immediata per cercare di
mettere in atto questo terzo assunto: il giudizio da dare (e come esprimerlo)
sulle misure che il governo Monti porterà finalmente a conoscenza dei
cittadini, dopo averlo illustrato ai suoi colleghi europei e ai responsabili
della finanza mondiale (a quella nostrana ci hanno pensato, per consanguineità,
alcuni ministri e sottosegretari, raccogliendo anzi preziosi suggerimenti).
Troppe voci, spesso persino contrastanti, troppe indiscrezioni sfuggite alla
sobrietà hanno finito col confondere giudizi di merito che in questa situazione
dovrebbero avere l’assoluta priorità.
Su una cosa mi pare necessario prendere posizione
subito. E ritenere indecorosa la scelta compiuta dal professore di andare ad
illustrare il programma nello studio televisivo dell’insetto, anche se ha
dovuto rassicurare che ciò avverrà dopo la frettolosa presentazione in Parlamento.
Non riesco ad immaginare il plastico sobrio del sobrio programma che il sobrio
professore presenterà. Ma certamente non mi curerò di sanare questa curiosità.
Da qui l’invito rivolto a tutti, per quella sera: CAMBIARE PROGRAMMA!
È assai probabile che debba valere anche dopo, riferendosi a ben altri
programmi; per questo occorre, appunto, una politica diversa da quella che ha
fatto apprezzare l’arrivo dei banchieri al governo (come non bastasse già la
loro invasiva presenza nell’economia finanziarizzata, prima causa della grave
crisi economica). Ma, come scriveva Robespierre in epoca non sospetta: “E’ nella natura delle cose che la marcia
della ragione sia lentamente progressiva. Il governo peggiore trova un appoggio
potente nei pregiudizi, nelle abitudini, nell’educazione dei popoli. Lo stesso
dispotismo deprava lo spirito degli uomini fino a farsi adorare e fino a
rendere la libertà sospetta e terrificante a prima vista”.
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