domenica 3 marzo 2013


E ADESSO?



Dopo l’impressionante risultato elettorale di Grillo, su Facebook sono apparsi molti richiami a frasi di Hitler degli anni trenta, quindi prima della ascesa al potere, che sembrano aver ispirato diverse esternazioni del comico. Preferisco ovviamente fare riferimento a riflessioni e pensieri che rappresentano pagine fondamentali della nostra storia, e ringrazio Laura Tagliaferri, un’amica di FB, per avercelo ricordato. Il 26 aprile 1921, in un articolo dell’Ordine Nuovo, Antonio Gramsci scriveva: Il fascismo si è presentato come l’antipartito, ha aperto le porte a tutti i candidati, ha dato modo a una moltitudine incomposta di coprire con una vernice di idealità politiche vaghe e nebulose lo straripare selvaggio delle passioni, degli odii, dei desideri. Il fascismo è divenuto così un fatto di costume, si è identificato con la psicologia antisociale di alcuni strati del popolo italiano, non modificati ancora da una tradizione nuova, dalla scuola, dalla convivenza in uno Stato bene ordinato e amministrato.” E qualche riga prima: “il fascismo non può essere che parzialmente assunto come fenomeno di classe, come movimento di forze politiche consapevoli di un fine reale…; è il nome della profonda decomposizione della società italiana… e oggi può essere spiegato solo con riferimento al basso livello di civiltà che la nazione italiana aveva potuto raggiungere in questi sessant’anni di amministrazione unitaria (e qui potremmo solo cambiare i dati in trent’anni di craxoberlusconismo)”.


Antipartitismo, versione ancora più pericolosa dell’antipolitica, perché esclude la possibilità di un pur minimo controllo democratico sulla gerarchia assoluta (binomia nel caso del grillismo). Idee vaghe e nebulose, non sostenute da alcuna prova di fattibilità (il reddito di cittadinanza, molto simile alla restituzione dell’IMU quanto a impraticabilità). Psicologia antisociale, frutto appunto di un trentennio di noncultura, di nani e ballerine, di malcostume diffuso.
Certo, c’è proprio tutto questo. E anche quel riferimento gramsciano al non poter “essere che parzialmente assunto come fenomeno di classe”. Devo fare autocritica: ero convinto che il grillismo potesse togliere voti solo o in misura assai prevalente alla destra. Non è andata affatto così. Una pagina intera di dati pubblicati opportunamente dal Secolo XIX, il quotidiano genovese, lo dimostra. Occorre premettere che fra le tante caratteristiche di Genova c’è anche quella di una marcata corrispondenza fra quartiere e ceto residenziale. Ebbene, il M5S conquista a Genova il 32% dei voti espressi; ma va nettamente oltre questa percentuale, sfiorando addirittura il 40% o persino superandolo, nei quartieri a prevalente insediamento popolare, mentre nei quartieri ricchi o della borghesia colta si ferma al 20%. Non foss’altro, per la sinistra ci sarebbe già materiale abbondante su cui riflettere. E anche per il centrosinistra, che a Genova e in Liguria gode di un insediamento diffuso che garantisce l’amministrazione della regione, del capoluogo e di gran parte del territorio, con esclusione del feudo scajolano dell’imperiese, prossimo alla caduta (ovviamente a sua insaputa).
Qualche spunto di riflessione, proprio sulla sinistra. Per la cosiddetta sinistra radicale, raccolta nella lista di Rivoluzione civile, le elezioni si sono risolte in un disastro: per restare a Genova, un risicato 2,2% alla Camera, un terzo dei voti che Rifondazione comunista, da sola, aveva ottenuto nel 2006. L’assemblaggio con i resti del dipietrismo non ha certo giovato, e neppure la disinvoltura nel promuovere alcune candidature. Ritengo tuttavia che l’errore più grave stia da un’altra parte. Nel concentrare cioè il messaggio più sulla critica a ciò che fanno i vicini che sulla valorizzazione della propria proposta. Quasi che l’obiettivo sia la redistribuzione dei voti piuttosto che la affermazione di uno schieramento alternativo alla destra, al quale partecipare anche a costo di dover rinunciare a qualche punto programmatico, e che conquisti il consenso convinto di quanti si rivolgono alla demagogia grillina.
Ora, intorno, ci sono solo macerie. Pensare di raccogliere qualche mattone meno danneggiato per rimettere in piedi un muricciolo mi sembrerebbe inutile e dannoso. Proviamo a ripartire dalle cose davvero prioritarie da fare, senza pregiudizi e privilegiando la fattibilità e la credibilità della proposta rispetto alla sacralità dell’ideologia e dei simboli, nonostante il valore che possono avere e il rispetto che meritano. Proviamoci, dobbiamo farlo, perché, tornando alle note di Gramsci in premessa, la fase che attraversiamo è una delle più complicate e rischiose dal dopoguerra.