E ADESSO?
Dopo
l’impressionante risultato elettorale di Grillo, su Facebook sono apparsi molti
richiami a frasi di Hitler degli anni trenta, quindi prima della ascesa al
potere, che sembrano aver ispirato diverse esternazioni del comico. Preferisco
ovviamente fare riferimento a riflessioni e pensieri che rappresentano pagine
fondamentali della nostra storia, e ringrazio Laura Tagliaferri, un’amica di
FB, per avercelo ricordato. Il 26 aprile 1921, in un articolo dell’Ordine
Nuovo, Antonio Gramsci scriveva: “Il fascismo si è presentato come l’antipartito, ha aperto le porte a
tutti i candidati, ha dato modo a una moltitudine incomposta di coprire con una
vernice di idealità politiche vaghe e nebulose lo straripare selvaggio delle
passioni, degli odii, dei desideri. Il fascismo è divenuto così un fatto di
costume, si è identificato con la psicologia antisociale di alcuni strati del
popolo italiano, non modificati ancora da una tradizione nuova, dalla scuola,
dalla convivenza in uno Stato bene ordinato e amministrato.” E qualche riga
prima: “il fascismo non può essere che
parzialmente assunto come fenomeno di classe, come movimento di forze politiche
consapevoli di un fine reale…; è il
nome della profonda decomposizione della società italiana… e oggi può essere spiegato
solo con riferimento al basso livello di civiltà che la nazione italiana aveva
potuto raggiungere in questi sessant’anni di amministrazione unitaria (e
qui potremmo solo cambiare i dati in trent’anni di craxoberlusconismo)”.
Antipartitismo, versione ancora più pericolosa
dell’antipolitica, perché esclude la possibilità di un pur minimo controllo
democratico sulla gerarchia assoluta (binomia nel caso del grillismo). Idee
vaghe e nebulose, non sostenute da alcuna prova di fattibilità (il reddito
di cittadinanza, molto simile alla restituzione dell’IMU quanto a
impraticabilità). Psicologia antisociale, frutto appunto di un
trentennio di noncultura, di nani e ballerine, di malcostume diffuso.
Certo, c’è proprio tutto questo. E anche quel riferimento gramsciano
al non poter “essere che parzialmente assunto
come fenomeno di classe”. Devo fare autocritica: ero convinto che il
grillismo potesse togliere voti solo o in misura assai prevalente alla destra. Non è andata affatto così.
Una pagina intera di dati pubblicati opportunamente dal Secolo XIX, il
quotidiano genovese, lo dimostra. Occorre premettere che fra le tante
caratteristiche di Genova c’è anche quella di una marcata corrispondenza fra
quartiere e ceto residenziale. Ebbene, il M5S conquista a Genova il 32% dei
voti espressi; ma va nettamente oltre questa percentuale, sfiorando addirittura
il 40% o persino superandolo, nei quartieri a prevalente insediamento popolare,
mentre nei quartieri ricchi o della borghesia colta si ferma al 20%. Non
foss’altro, per la sinistra ci sarebbe già materiale abbondante su cui
riflettere. E anche per il centrosinistra, che a Genova e in Liguria gode di un
insediamento diffuso che garantisce l’amministrazione della regione, del
capoluogo e di gran parte del territorio, con esclusione del feudo scajolano
dell’imperiese, prossimo alla caduta (ovviamente a sua insaputa).
Qualche spunto di riflessione, proprio sulla sinistra. Per la
cosiddetta sinistra radicale, raccolta nella lista di Rivoluzione civile, le
elezioni si sono risolte in un disastro: per restare a Genova, un risicato 2,2%
alla Camera, un terzo dei voti che Rifondazione comunista, da sola, aveva
ottenuto nel 2006. L’assemblaggio con i resti del dipietrismo non ha certo
giovato, e neppure la disinvoltura nel promuovere alcune candidature. Ritengo
tuttavia che l’errore più grave stia da un’altra parte. Nel concentrare cioè il
messaggio più sulla critica a ciò che fanno i vicini che sulla valorizzazione
della propria proposta. Quasi che l’obiettivo sia la redistribuzione dei voti
piuttosto che la affermazione di uno schieramento alternativo alla destra, al
quale partecipare anche a costo di dover rinunciare a qualche punto
programmatico, e che conquisti il consenso convinto di quanti si rivolgono alla
demagogia grillina.
Ora, intorno, ci sono solo macerie. Pensare di raccogliere
qualche mattone meno danneggiato per rimettere in piedi un muricciolo mi
sembrerebbe inutile e dannoso. Proviamo a ripartire dalle cose davvero
prioritarie da fare, senza pregiudizi e privilegiando la fattibilità e la
credibilità della proposta rispetto alla sacralità dell’ideologia e dei
simboli, nonostante il valore che possono avere e il rispetto che meritano.
Proviamoci, dobbiamo farlo, perché, tornando alle note di Gramsci in premessa,
la fase che attraversiamo è una delle più complicate e rischiose dal
dopoguerra.