Mi
è capitato di ascoltare su RAI News un brano del discorso con cui il ministro
della difesa ha salutato i carabinieri in occasione del centonovantottesimo
dell’arma. Il ministro è un ammiraglio. Il fatto di non essere un tecnico non
gli ha probabilmente consentito di essere, come è recente consuetudine, sobrio.
Non gli è valsa neppure la presenza, sul palco delle autorità, del presidente
del consiglio e del presidente della repubblica, assidui praticanti della
sobrietà e quindi sobriamente attenti alla scorrevole oratoria del ministro.
Nessuna
sobrietà, quindi, ma elogi e riconoscimenti elargiti con dovizia persino
eccessiva. Tanta che, sul finire del saluto, il ministro non ha potuto
trattenersi dal ricordare un recente episodio accadutogli durante una visita al
contingente di stanza in Afghanistan e che testimonia la capacità che
contraddistingue il tuscania là impegnato. “Sono stati in grado di recuperare
per me, a mezzanotte, una torta alla crema!”, ha detto il ministro senza
riuscire a contenere l’emozione (per altro condivisa dalle autorità del palco,
prontamente inquadrate).
Beh,
che dire. Certo, fra lo stuprare bambine in Somalia come nel 1994; l’inseguire
manifestanti con i carri, abbattere cancelli e cantare “faccetta nera” la sera
del 20 luglio 2001 per festeggiare l’uccisione di un pericoloso nemico; e
reperire a mezzanotte una torta alla crema nelle lande dell’Afghanistan, non
v’è dubbio che sia da preferire quest’ultima attività, alla quale il ministro
potrebbe indirizzare anche altri reparti dell’arma e qualche reparto speciale
della polizia, avvalendosi per questa seconda finalità del contributo di
conoscenze e di entrature dell’ultimo sottosegretario chiamato a far parte
dell’esecutivo, anch’egli difficilmente catalogabile come tecnico sobrio. Torte
di crema a parte, il ministro ha voluto ricordare che gli uomini dell’arma sono
“sempre dalla parte della legge, sempre dalla parte del giusto”.
Vogliamo
pensare e credere, soprattutto sperare, che ciò valga per la gran parte dei
carabinieri. Ma, malignamente, vorremmo anche ricordare al ministro che, qua e
là, ci sono, come dire, dei nei che offuscano la lucentezza della carnagione.
Basta ricordare i comportamenti indegni che a volte vengono tenuti nelle
caserme in caso di fermo, e che, sempre a volte ovviamente, si concludono con
la morte del fermato (in questo caso, signor ministro, si dovrebbe sempre
parlare di uccisione, e quindi di assassinio, dato l’abisso di potere esistente
fra vittima e carnefici). O anche le condanne che, a volte ovviamente, gettano,
anche in assenza di giudizio definitivo, qualche ombra sulla credibilità
dell’istituzione. Come è il caso della condanna in primo grado a 14 anni di
carcere inflitta il 12 luglio 2010 dal tribunale di Milano al generale di
divisione capo dei ros (reparti operativi speciali), per traffico
internazionale di droga in operazioni sotto copertura.
Sembra
opportuno ricordare al ministro che troppo spesso, quasi sempre, il tutto
avviene con la complicità degli apparati, la responsabilità degli alti gradi,
una intollerabile coperta di impunità e di impunibilità. Cose gravissime
proprio ricordando le parole con le quali si è conclusa l’omelia rivolta alla
rappresentanza di carabinieri in ascolto: “Voi siete lo stato, siete il simbolo
dello stato”. Anche in questo caso, l’iniziale minuscola è d’obbligo.
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