venerdì 11 maggio 2012

UNA ANALISI DEL VOTO DI GENOVA


Come era nelle previsioni più pessimistiche, a Genova Marco Doria va al ballottaggio con un margine di 33 punti percentuali sul candidato del terzo polo, che in base alle dichiarazioni di Casini è sotto le macerie. Non dovrebbero proprio esserci problemi, a meno che non si moltiplichino i giochi inconfessabili di una parte del PD e non aumenti la corsa al suicidio della sinistra oggi extraparlamentare.
Avendo sottomano i risultati definitivi è possibile avanzare qualche considerazione sul voto del primo turno. A Genova si è votato anche per i nove municipi nei quali è divisa la città e i confronti sono di una certa utilità, così come lo sono quelli con le precedenti elezioni, in particolare quelle regionali del 2010. 


Un primo dato singolare è che nei municipi il numero delle schede bianche e nulle è quasi doppio di quelle per l’elezione del sindaco. Singolare, perché, almeno apparentemente, i candidati delle varie liste dovrebbero essere più vicini all’elettore, e in ogni caso anche nei municipi non mancavano alcune liste stravaganti che avevano portato nel Comune al totale complessivo di venticinque! Questa ipotesi non regge. Il dato certo è che il numero così elevato di bianche e nulle va riferito in buona parte al fatto che il “grand hotel” (con riferimento alle cinque stelle dei grillini) era presente solo in tre dei nove municipi, e ha raccolto molto meno della metà dei voti registrati nel comune: 14.109 voti rispetto ai 36.579 che sono andati al loro candidato sindaco. In buona sostanza, può essere una prima lettura delle oltre 11 mila schede bianche e nulle in più nei municipi (anche se mancano all’appello gli altri 11 mila voti).
In generale, i candidati sindaci (persino quelli delle liste stravaganti) prendono nelle elezioni per il Comune più voti delle liste ad essi collegate. Particolarmente rilevante la differenza per quello che riguarda il concorrente di Doria al ballottaggio, tale Musso, senatore nominato da Berlusconi e poi approdato al terzo polo, già battuto da Marta Vincenzi al primo turno nelle precedenti elezioni: si tratta di quasi 11 mila voti, che si riducono a quasi 6 mila se si confronta il dato con la lista presente nei nove municipi.
Come candidato sindaco Doria raccoglie 127.477 voti, 10 mila in più rispetto alla coalizione (117.254); ma se il confronto viene fatto con i voti di lista raccolti nei nove municipi (142.717) si desume che Doria ne ha avuti 15 mila in meno e la coalizione addirittura 25 mila in meno. Altri dati interessanti riguardano le differenze fra i nove municipi e il Comune per le liste della coalizione (ricordiamo, una coalizione di centro sinistra “prodiano”, non foto di Vasto quindi, ma con la presenza della Federazione della sinistra). Tutte indistintamente riducono il numero dei voti: il PD perde oltre 22 mila voti, quasi un terzo; l’IDV 10 mila, quasi la metà; SEL addirittura più di 14 mila, quasi il 60%; la FdS oltre 5 mila, la metà esatta. Sicuramente una parte di questi voti volatili sono confluiti nella lista direttamente collegata a Marco Doria, che raccoglie oltre 26 mila  voti, ma dove sono finiti tutti quelli mancanti all’appello (e sono 15 mila voti, cioè i 25 mila in meno delle liste ai quali vanno sottratti i 10 mila in più che Doria raccoglie come sindaco rispetto alla coalizione)? Si possono fare alcune ipotesi: certamente una parte considerevole (o forse tutti) i voti di SEL finiscono nella lista di Doria (SEL ha sponsorizzato Doria molto più di tutti gli altri); è probabile che identica fine abbiano fatto buona parte dei voti che mancano all’IDV. Quelli che mancano possono essere il risultato di una preoccupante decisione: una parte degli elettori del PD rifiutano Doria (che aveva sconfitto alle primarie la candidata ufficiale del PD, senatrice Pinotti, alla quale si era contrapposta anche la sindaca uscente Vincenzi) e hanno scelto Musso.
Diverso il giudizio che si può dare per le differenze che riguardano la FdS. Nei municipi alcune delle liste nelle quali si fraziona l’estrema sinistra non erano presenti, e può darsi che il valore del simbolo possa aver giocato un ruolo. Difficile dire che sia stato positivo, perché il dato generale segna comunque, purtroppo, un ulteriore calo di rappresentatività. Soltanto due anni fa, alle Regionali, la lista della Federazione aveva raccolto il 4% dei voti. Dimezzarsi in due anni è segno di un declino inarrestabile.
Pesante anche il segno della disaffezione al voto: 55%, cinque punti in meno rispetto a due anni fa, quando bianche e nulle erano state la metà di quelle registrate quest’anno. Significa che il totale dei voti validamente espressi si è ridotto in due anni di 35 mila unità, l’equivalente di una città di media dimensione.
L’aritmetica, come mi capita di dire spesso, serve alla politica. Sicuramente serve a cercare di capire che cosa sta succedendo.

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