Che l’amministrazione della giustizia offra spesso esempi che eufemisticamente possano essere considerati contraddittori è cosa nota. I processi sulle tragiche vicende genovesi hanno abbondantemente confermato questa opinione: lo dimostrano le sentenze emesse nei diversi gradi di giudizio. L’opinione viene tuttavia consolidata anche da fatti assolutamente risibili rispetto a quelli genovesi. A me ne è capitato uno che qui vi racconto.
A Genova ci sono molte strisce gialle, quelle che delimitano il percorso viario riservato ai mezzi pubblici, oggetto di svariate polemiche per la collocazione non sempre funzionale, ma soprattutto oggetto di scarsa manutenzione, cosa che le rende spesso non adeguatamente visibili. Per il nobile servizio di nonno-sitter mi è capitato di percorrere una strada di Genova dove esiste una di quelle strisce, o meglio, dove si dovrebbe presumere che esista, dal momento che in quasi tutto il percorso la striscia, a quell’epoca (ottobre 2009), risultava del tutto invisibile. Tranne l’ultimo tratto, una decina di metri, sette dei quali tratteggiati, per permettere all’automobilista di prendere la corsia di destra in prossimità del semaforo che immette in una piazza. E’ quasi ovvio che la telecamera che controlla la zona sia stata collocata a dieci metri dal semaforo, dopo una curva, in modo tale che le fotografie scattate possano cogliere l’infrazione anche di quelli che, come è stato il mio caso, oltrepassano la striscia continua negli ultimi metri, con il nobile intento di non intralciare il traffico che sulle due corsie restanti imbocca un tunnel.
Nel febbraio 2010, poco prima della scadenza dei 150 giorni, mi arrivano cinque contravvenzioni. Prima della scadenza dei 60 giorni previsti faccio ricorso al Giudice di pace, allegando le foto della zona a dimostrazione della inconsistenza della segnaletica. Il giudice, l’avv. Franco Nativi, mi convoca in pubblica udienza il 19 ottobre 2010 e il giorno successivo deposita la sentenza. Respinge il ricorso ma, “ritenuto che vada garantito il diritto di difesa, anche in caso di soccombenza, appare giusto contenere la sanzione amministrativa entro il minimo di legge, oltre alle spese”. Morale, 137,51 euro in tutto per le cinque multe.
Prima della convocazione mi erano pervenute, sempre per lo stesso motivo e sempre nello stesso punto, altre otto contravvenzioni, relative al mese di novembre 2009. Rispettando i tempi previsti, nuovo ricorso al Giudice di pace, adducendo gli stessi motivi, le stesse documentazioni, e allegando ovviamente i riferimenti al precedente ricorso. Convocazione a tempi biblici, 4 luglio 2011. Questa volta mi tocca Angela Salaspini, che decide per il “minimo edittale”. La scoperta è che l’aggettivo da tardo romano impero, “edittale”, significa 82,95 euro per ciascuna contravvenzione, in totale, quindi 663,60 euro. Cioè, la contravvenzione piena. “Minimo” dovrebbe significare che non si è applicato il raddoppio per via del ritardo di pagamento, dovuto per altro al ricorso legittimo e ai tempi biblici del palazzo del giudice.
Palazzo che, vista e subita la incomprensibile difformità di giudizio, mi sembrerebbe più conforme intitolare “palazzo del bingo”!
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