martedì 23 agosto 2011

GLI USA, LA LIBIA E LA GUERRA

In un articolo su Repubblica di oggi, Federico Rampini riporta una frase di Obama che sintetizzerebbe la strategia statunitense in relazione alle vicende libiche: “E’ crollato in soli sei mesi un regime che durava da 41 anni, e non è stato necessario mandare un solo soldato americano sul territorio libico.” Se fosse possibile utilizzare il sarcasmo, rispetto alla perenne tragedia di una guerra, verrebbe da dire: “Appunto!”; perché in quasi tutte le altre occasioni la presenza dei soldati americani non ha certo sortito i risultati che la dirigenza statunitense si aspettava. Facciamo memoria.


Dopo il sostanziale stallo verificatosi in Corea (il presidente Truman dovette dimettere quel pazzo del generale MacArthur che voleva sganciare atomiche, peraltro decise a Hiroshima e Nagasaki dallo stesso Truman) si apre lo scontro militare più infausto per le truppe statunitensi: quello in Vietnam. Nonostante l’uso e l’abuso di mezzi militari terrificanti (Apocalypse now tradusse per gli schermi gli effetti agghiaccianti del napalm) e l’impiego di oltre un milione di soldati, gli USA non riuscirono ad impedire che il popolo vietnamita ottenesse la unificazione del paese dopo la riscossa anticoloniale nei confronti della Francia. Un conflitto durato anni, durante quattro presidenze (Kennedy, Johnson, Nixon, Ford), due democratiche e due repubblicane, una vera guerra bi-partisan.
All’inizio degli anni ’90 scoppia la Guerra del golfo, eufemismo per “guerra del petrolio”. Ci sono interessi ancora più grandi da difendere, quelli dell’oro nero del Kuwait, appunto, e l’impegno è massiccio. Ma non è ancora giunto il momento di celare gli interventi a difesa dell’impero economico occidentale con la coperta corta della “esportazione di democrazia”. Saddam Hussein è un terribile dittatore sanguinario? Ci penserà qualcun altro.
E puntuale arriva. Dabliu Bush, il più impresentabile di tutti i presidenti USA, non per altro tra i grandi amici di s. b. Prima però c’è da mescolare le carte sull’incidente, si fa per dire, provocato a Ground Zero dagli amici del suo amico Osama. E allora via con i bombardamenti e le truppe in Afghanistan. Obiettivo i talebani, cioè quelli che anni prima gli USA avevano armato contro i sovietici per garantire il controllo dei corridoi del gas e del petrolio. Già, ma adesso i sovietici non ci sono più, c’è il quasi amico Putin, quello del lettone. non a caso altro grande amico di s. b. Morale, dopo dieci anni sono ancora lì, i talebani anche, la corruzione dilaga, di democrazia non se ne parla neanche per scherzo. Stessa cosa in Iraq, con la variante teletrasmessa dell’impiccagione di Saddam e una scia di attentati e di morti che continua. Sì, è così, per fortuna in Libia non ci sono andati!
Eppure una cosa giusta erano riusciti a farla. Contribuire a sconfiggere Hitler, aiutare i partigiani a battere i fascisti di Salò. Non so se si possa dire così, ma forse quella è stata l’unica guerra “di sinistra”! (E so già quante me ne diranno i miei amici pacifisti, convinti che non esistono guerre giuste, e quindi neppure di sinistra; ma allora alla Resistenza occorre associare un altro sostantivo, perché quella è stata giusta davvero, eccome!).

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