Un limite grave di chi fa politica è la scarsa dimestichezza con l’aritmetica, limite che spesso investe anche i commentatori e i giornalisti. Un esempio è fornito in questi giorni dal tanto parlare (e dal poco far di conto) rispetto alla cosiddetta “tassa di solidarietà”, che dovrebbe colpire i possessori di redditi superiori ai 90.000 o ai 150.000 euro, e che naturalmente ha incontrato le ire esplicite di tanti pidiellini e quelle malcelate di un po’ di piddini.
L’altra sera, durante la trasmissione “In onda” su La7, un poco noto sottosegretario ha detto che con quella tassa aggiuntiva, che nel caso di parlamentari potrebbe prevedere il raddoppio (dal 10 al 20 per cento), un contribuente arriverebbe a pagare al fisco il 63 per cento del suo reddito lordo. Balle, ovviamente, perché il poco noto sottosegretario, oltre ad essere un cretino in aritmetica, è anche più propriamente un imbroglione (altrimenti non sarebbe sottosegretario di Berlusconi). Dai conduttori della trasmissione, purtroppo, silenzio.
Allora vediamo un po’ come stanno le cose. Poniamo un reddito lordo di 200.000 euro. Attualmente, al lordo delle eventuali detrazioni, le tasse ammonterebbero a 79.170 euro, pari cioè al 39.59%. Con la tassa di solidarietà le tasse salirebbero a 87.179 euro, pari al 43,59% (rispettivamente 92.170 euro, e 46,1% se si applicasse l’aliquota doppia del 20% sulla parte eccedente i 150.000 euro). Dov’è l’imbroglio del “poco noto”? Nella affermazione che il 20% si dovrebbe aggiungere (ma non è affatto così!) all’aliquota massima prevista già oggi (43%) per la parte di reddito che eccede i 75.000 euro lordi annui: 43 + 20 = 63 e che questa aliquota si dovrebbe applicare all'intero reddito. Chiaro? Ma non è affatto così!
Senza contare che, traducendo le percentuali in cifre reali, a quel povero contribuente da 200.000 euro lordi annui (l’equivalente di una dozzina di operai e di una ventina di precari) resterebbero comunque 9.000 euro al mese da spendere (9.400 se la maggiorazione non fosse raddoppiata e si fermasse al 10%). Insomma, comunque non farebbe la fame!
I conti sono ancora più espliciti, sotto il profilo di una proposta che non è affatto cannibalesca, se prendiamo in esame un reddito più “povero”, diciamo 160.000 euro annui. In questo caso (e non si tratterebbe di un parlamentare) le tasse passerebbero da 61.970 euro a 65.970 euro annui, con un aumento mensile di 333 euro, undici al giorno (e gliene resterebbero comunque 7.835 al mese (261 al giorno). Ancora più risibile l’aumento nel caso di un reddito da 100.000 euro lordi annui: l’aumento sarebbe di “ben” 41 euro al mese, un euro e trentotto centesimi al giorno!
Consiglierei al “poco noto” e anche a molti commentatori di fare qualche analogo conteggio rispetto all’aumento dei costi dei servizi che colpiranno le decine di milioni di cittadini “normali”. Resta tuttavia l’indignazione per l’assenza di proposte serie sul fronte della lotta all’evasione, per lo svicolare rispetto alla possibilità di colpire i redditi rimpatriati coperti dal ridicolo scudo del 5% (con un po’ di coraggio si raccoglierebbe quasi metà dell’intera manovra aggiuntiva!), per le misure che colpiscono diritti essenziali dei lavoratori, in primo luogo la sostanziale abolizione della norma di salvaguardia sui licenziamenti. Attendiamo qualche segnale dall’attuale, debolissima, opposizione parlamentare.
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