La GIP ha deciso per il processo immediato su entrambi i capi d’accusa: concussione e prostituzione minorile. Prima udienza il 6 aprile.
Quindi B adesso non è più solo indagato (come si ostinano a dire i suoi truffaldini parlamentari-avvocati, che certo non sono così ignoranti in materia di legge, e tutta la banda dei suoi servi): è imputato. Accanimento giudiziario? No, di accanimento ce n’è uno soltanto: quello di B a compiere reati o a comportarsi in modo da costringere magistrati e giudici a mandarlo sotto processo. E non è certo la prima volta.
Anche se questa volta è davvero diverso.
Possono succedere tante cose. Quarantanove giorni, tanti ci dividono dal 6 aprile, sono molti per uno che ha i soldi e il potere di B: corrompere coscienze e comprare corpi disponibili ad alzare una mano per votare; assoldare stallieri o vere e proprie pattuglie di guastatori; impedire la comunicazione e la diffusione di notizie e non solo proseguire la disgustosa presenza audio e video, d’ora in avanti in tutte le ore, sulle reti e sue e su quelle dirette per mano dei Masi e dei Minzolini. Si dovrà stare attenti come non mai. Vigilanza compagni, si diceva una volta, ricordiamoci ogni tanto gli slogan di tempi meno infelici di questi. Per fortuna, oggi, molto più che in quei tempi, possiamo declinarlo al femminile: vigilanza compagne, il 13 febbraio insegna!
Dovremo riuscire ad imporre la legalità. Ma la convinzione per farlo può derivare soltanto dalla comprensione di ciò che significa, o deve significare, il termine legalità. E allora, per la quarta volta consecutiva in queste mie note, torniamo a Antonio Gramsci.
Questa qui di seguito è parte di un articolo che Gramsci scrisse per L’Ordine Nuovo il 28 agosto 1921. Facciamo tesoro anche di questa lezione di Storia.
Fin dove la legalità afferma i suoi limiti? Quando questi non sono più rispettati? È certo difficile fissare qualunque limite, dato il carattere assai elastico che assume il concetto della legalità. Per ogni governo tutto ciò che si manifesta nel campo dell’azione contro di esso sorpassa i limiti della legalità. Epperò si può dire che la legalità è determinata dagli interessi della classe che detiene in ogni società il potere. Nella società capitalistica la legalità è rappresentata dagl’interessi della classe borghese. Quando un’azione tende a colpire in qualunque modo la proprietà privata ed i profitti che ne derivano, quell’azione diventa subito illegale. Questo avviene nella sostanza.
Nella forma la legalità si presenta alquanto diversa. Avendo la borghesia, conquistando il potere, concesso eguale diritto di voto al padrone ed al suo salariato, apparentemente la legalità è venuta assumendo l’aspetto di un insieme di norme liberamente riconosciute da tutte le parti di un aggregato sociale. Ci è stato ora chi ha scambiato la sostanza con la forma e dato quindi vita alla ideologia liberale-democratica. Lo Stato borghese è lo Stato liberale per eccellenza. Ognuno può in esso esprimere liberamente il suo pensiero attraverso il voto.
Ecco alla lunga a che si riduce la legalità formale nello Stato borghese: all’esercizio del voto. La conquista del suffragio delle masse popolari è apparsa agli occhi degli ingenui ideologi della democrazia liberale la conquista decisiva per il progresso sociale dell’umanità. Non s’era mai tenuto conto che la legalità aveva due facce: l’una interna, la sostanziale; l’altra esterna. La formale.
Proprio così. E infatti continuano a ripeterci che B è al di sopra della legalità, al di sopra di tutto e di tutti perché è stato votato dalla maggioranza degli italiani. Il che è platealmente falso, come è noto, perché rispetto agli elettori effettivi ha avuto meno del 50 per cento dei voti espressi, e perché rispetto ai cittadini, calcolando astensioni, schede bianche e schede nulle, ha raggiunto a mala pena un terzo dei consensi.
Non ci resta che riflettere, ancora una volta, sugli insegnamenti di Gramsci e tenere gli occhi ben aperti.
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