È presente da tempo la considerazione che, nell’economia globalizzata, la finanziarizzazione abbia preso il sopravvento sul valore stesso della produzione industriale, e che ciò sia determinante nella crisi globale che investe il pianeta. Crisi sociale, ovviamente, peggioramento delle condizioni di vita di masse enormi, non solo nei paesi poveri ma anche in quelli considerati sviluppati. Aggravamento, in questi ultimi, del rapporto fra ricchi, sempre più ricchi, e poveri, sempre più in difficoltà. I dati recenti, per quanto riguarda l’Italia, confermano che il 10 per cento delle famiglie possiede il 50 per cento della ricchezza e che il 50 per cento della popolazione vive con il 10 per cento della ricchezza. In mezzo un 40 per cento che galleggia, il cosiddetto ceto medio, che vede tuttavia eroso costantemente il proprio potere d’acquisto e ridotto il proprio benessere. Traduciamo in cifre le percentuali per capire meglio come stanno le cose. Poniamo che la ricchezza totale sia di 1000 euro e che i cittadini italiani siano 1000. Le percentuali ci dicono che cento persone vivono, in media, con 5 euro ciascuna; quattrocento persone vivono, sempre in media, con 1 euro ciascuna; cinquecento persone dovrebbero campare ciascuna con 20 centesimi (e se anche questo è un dato medio significa che molti non hanno che da affidarsi alla Caritas). Questo colossale spostamento dal basso verso l’alto e questa colossale ingiustizia sono avvenuti negli ultimi 20 anni.
Una evidenza di quella trasformazione da produzione a finanza ci è offerta, sotto molti aspetti, dal caso FIAT. Ma non deve meravigliare che manovre molto simili fossero in atto già qualche anno fa, novanta anni per l’esattezza.
Ancora una volta è stato Antonio Gramsci a sintetizzare le modificazioni. E prese spunto dalla sconfitta subita dalla FIAT nel gran premio automobilistico d’Italia sul circuito di Brescia ad opera di una macchina francese. Qui di seguito trovate alcuni brani dell’articolo da lui scritto per L’Ordine Nuovo il 6 settembre 1921. Basta sostituire un nome!
Buona lettura
La FIAT ha perduto la sua battaglia… Questo fatto dipende forse da una momentanea defaillance della capacità tecnica dei costruttori della FIAT o da una rimediabile disorganizzazione dell’industria, o da un inizio di decadenza senza rimedio?...
I capi della FIAT erano allora veramente “capitani dell’industria”, esperti, sagaci, arditi e prudenti nello stesso tempo. In che cosa li ha trasformati la guerra? In cavalieri d’industria. Essi hanno abbandonato la tradizione degli anni passati per cercare fortuna nel campo della speculazione più temeraria, nei giuochi di banca più pericolosi…
Si aggiunga che innumerevoli industrie sorsero durante il conflitto mondiale, che aggruppamenti potentissimi di finanzieri si formarono nell’intento di conquistare industrie, banche, mercati. S’iniziarono per conseguenza lotte furibonde a colpi di milioni. Si cominciò a cercare nella speculazione l’arma che permettesse di resistere agli avversari, si tentò con artifizi di borsa di far fallire i piani minacciosi dei concorrenti…
La FIAT non è rimasta estranea a queste competizioni. L’attività del comm. Agnelli, in altri tempi rivolta a migliorare il funzionamento dell’azienda industriale, è rimasta quasi completamente assorbita dalle manovre dei gruppi di banchieri, che si assaltavano a vicenda…
L’uomo, il grande capitano d’industria, si è infiacchito rapidamente. I suoi nervi scossi violentemente dalla continua tensione gli hanno tolta la lucidità di mente, la freddezza necessaria per chi sta a capo di una grande azienda. Mentre la concorrenza industriale si trasformava in una rovinosa competizione di gruppi bancari, il capitano d’industria si trasformava fatalmente in speculatore, in cavaliere d’industria.
A questo punto è cominciata la decadenza della FIAT. Agnelli, il liberale Agnelli, scosso da tante fatiche, con un colpo di testa rinunciava alla simpatia degli operai adottando una politica reazionaria verso le maestranze. Per sbarazzarsi dei comunisti non ha più tenuto conto né dell’organizzazione tecnica degli stabilimenti né delle esigenze molteplici dell’industria. Molti fra i migliori operai furono licenziati per scuotere le basi dell’organizzazione operaia d’officina.
In molti reparti vennero a mancare gli elementi tecnicamente più capaci, i più esperti produttori. I non licenziati, profondamente colpiti nelle loro idealità dalla reazione furente, sotto la minaccia del licenziamento, costretti a lavorare in un’atmosfera di reciproca diffidenza, furono messi in condizione pessime per la continuità e per la bontà della produzione…
Anche questo può essere considerato uno strumento di Storia e di Memoria.
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