Venerdì scorso più di millecinquecento persone gremivano la Sala chiamata dei portuali genovesi, numeri reali non ingigantiti con le rituali moltiplicazioni, una presenza che a Genova non si verificava da tempo. Era venuto a parlare, in altri casi si direbbe tenere un comizio, Nichi Vendola. Sì, proprio parlare, perché la sua capacità affabulatoria è indiscussa, entusiasma, attrae, colpisce, come hanno sottolineato i frequenti applausi. Fra i presenti ho potuto valutare un discreto numero di giovani, cosa rara non solo a Genova ma ovunque l’argomento abbia a che vedere con la politica. Anche questo può essere ascritto a merito del governatore della Puglia, che nella sua narrazione genovese ha inserito, vorrei dire finalmente se non dovesse suonare eccessivamente polemico, qualche elemento programmatico, in primo luogo le questioni del lavoro.
Quasi in contemporanea sono stati diffusi i risultati di un sondaggio che vedono in consistente ascesa il gradimento di Vendola e del partito di riferimento, SEL. E’ persino scontato, in quest’epoca di dominio del rettangolo, fare riferimento alle sue frequenti apparizioni televisive. Ma un dato del sondaggio credo vada guardato con grande rispetto ed attenzione: emerge che una percentuale rilevante del consenso (un quarto) proviene dall’astensione. Ci sarebbero cioè molte conferme a un’analisi che si fa da tempo e a considerazioni che non hanno ancora prodotto comportamenti conseguenti. L’astensione ha colpito quasi esclusivamente lo schieramento di sinistra e a conti fatti ha consentito che la destra, votata da non più di un terzo dei cittadini, possa sbandierare una menzogna colossale spacciandola per verità: e cioè che Silvio B. ha avuto il consenso della maggioranza degli italiani.
Ho da tempo la convinzione che, per recuperare questo distacco crescente dalla politica, occorra proporre un programma di governo leggibile e credibile, fatto di concretezza, di numeri, di come e di perché. Un programma che non citi neppure una volta i termini insignificanti e mistificatori di “riforma” e, peggio ancora, di “riformismo”, che indichi invece con precisione che cosa occorre cambiare e che cosa conservare, a cominciare dagli articoli della Costituzione, ribadendone semmai l’intangibilità e sottolineando la necessità di una piena applicazione di essi.
Insomma, l’esatto contrario di quanto si sente raccontare nei convegni MoDem. Ma che c’entra il moderatismo con la crisi morale, civile, economica, culturale di questo nostro Paese? Una crisi che esige rigore, durezza di analisi e soprattutto di energia propositiva. A chi bisogna collegarsi, con questo nuovo modem veltroniano? Al terzo polo? Si può mai pensare di recuperare i delusi dalla politica con queste operazioni da prima repubblica, il sogno del grande centro, l’alleanza col cilicio? Non dicono nulla le perdite ulteriori di consenso che colpiscono il PD, che resta tuttavia indispensabile per una vera alternativa alla destra?
Occorre lavorare per rimettere insieme quanto è possibile della sinistra, aiutare una riemersione dall’oblio della Federazione della sinistra (gli sbarramenti elettorali veltroniani hanno colto nel segno), correggere errori, liberarsi di quella parte dei gruppi dirigenti che hanno fallito e aumentare la capacità di condizionamento da sinistra del PD. Non è certo impresa facile, ma è difficile illudersi che ci siano altre strade da percorrere.
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