E’ una settimana che spaventa definire decisiva. Diciamo una delle più importanti dell’anno che si è aperto. E’ persino ovvio ricordarci perché, ma forse di ovvio, in questo nostro povero Paese, non c’è quasi più nulla. Quando ci si incontra, dal giornalaio (perché gente come noi ha ancora il difetto di leggere un giornale) o alla fermata dell’autobus (perché se possiamo, soprattutto per via dei parcheggi, lasciamo l’auto dove sta) o dal besagnino (perché continuiamo a sperare che il clementino non sia prodotto in laboratorio), ce lo ripetiamo spesso: se qualcuno vent’anni fa ci avesse detto che saremmo arrivati a questo punto avremmo chiamato la Croce rossa.
E invece è successo. E può anche darsi che non sia finita, perché, come si dice, al peggio non c’è mai fine, anche se un bel tratto lo abbiamo fatto.
Allora. Venerdì 14, in serata, conosceremo l’esito del referendum tra i lavoratori di Mirafiori. Dopo l’ottimismo (“vinceremo con l’80 per cento”) i promotori del Sì si sono fatti più prudenti, anche se l’accettazione del ricatto violento imposto dal padrone della FIAT appare come il risultato più probabile. Non se ne potrà addossare la colpa alle lavoratrici e ai lavoratori che avranno ingoiato ben altro che un rospo. Ognuno di noi è obbligato a chiedersi che cosa avrebbe fatto, ma a partire non tanto, o non soltanto, dalle proprie convinzioni ideali e politiche, ma dalle condizioni materiali proprie e della propria famiglia. Perché sta qui, ce lo hanno spiegato, la portata antidemocratica, fascista, dell’ultimatum di Marchionne. Titolavano bene qualche giorno fa l’Unità (“o la borsa o la vita”) e Liberazione (“né presente né futuro”). La colpa dovrà essere addossata esclusivamente alle scelte del padrone e al consenso esplicito che la destra al governo gli ha rappresentato. E anche alla acquiescenza con cui una parte rilevante del gruppo dirigente del PD ha risposto alle decisioni della FIAT. E’ vero che si sono levate voci contro uno degli aspetti gravi del cosiddetto nuovo contratto (l’esclusione della FIOM dalla rappresentanza sindacale), ma assolutamente debole è stata la vocina sul complesso dell’intesa firmata da CISL, UIL e consoci.
Dovremo guardarci da chi criticherà coloro che avranno votato No attribuendo loro una scelta opportunistica: mi salvo insieme la coscienza di classe e il lavoro da schiavo, perché comunque vincerà il Sì. Niente affatto: sarà una scelta alla quale rendere la nostra gratitudine perché avrà dimostrato non soltanto coerenza (merce rara di questi tempi) ma soprattutto un grande coraggio civile e democratico. Un punto fermo nella necessità di ricostruire un fronte dal quale guardare a una possibile rinascita, quello di una sinistra capace di proporre una politica che parta dai problemi reali del Paese.
Allora. Giovedì 13, forse in serata, o forse già nel pomeriggio, conosceremo, sempre che non ci sia un altro rinvio, la decisione della suprema Corte sul legittimo impedimento. Sapremo cioè se ha ancora valore la frase scritta sulle pareti dei tribunali italiani (“la legge è uguale per tutti”) e se può avere ancora ragione Platone (la salvezza della città, spiegava agli ateniesi, si ha “dove la legge è signora dei governanti e i governanti sono i suoi schiavi”). Insomma, se l’attuale despota può essere processato per qualcuno dei suoi crimini o se invece deve essere considerato di fatto impunibile.
Non v’è dubbio che la decisione avrà ricadute sulla precaria situazione politica del Paese, sulle possibili elezioni anticipate, sulle difficoltà che dovremo incontrare, sul rischio che liberarsi di B non significhi affatto sconfiggere quella tara gigantesca che si è diffusa nel Paese, il berlusconismo. Ma riguarderà, appunto, una condizione assai precaria della politica.
Per questa ragione, in queste note, non ho rispettato il calendario. Perché la sconfitta del berlusconismo, al di là della sorte di B, potrà dipendere da quello che risulterà dalle urne di Mirafiori, da come sapremo raccogliere quella lezione, da quanto si riuscirà a pensare, elaborare, costruire, partendo da quella esperienza, dalle scelte politiche che ognuno di noi saprà proporsi e proporre agli altri.
Giuliano Giuliani
2 commenti:
Purtroppo penso che il risultato di Mirafiori sia già scritto. Quello che si terrà alla Fiat non è un referendum, è un ricatto.
CIAO GIULIANO , HO CONDIVISO QUESTO POST SULLA MIA PAGINA DI FACEBOOK ........... E ANDRO' ANCHE AD INSERIRE IL LINK , NELLA PAGINA DEL GRUPPO ........ ANCHE NOI CON LA FIOM .
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UN SALUTO DA BRUNO ESPOSITO .
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